ZABEL YESSAYAN 1978 – 1943 scrittrice femminista e pacifista nell’Impero Ottomano e nell’Impero Sovietico (Gariwo 08.03.21)
Zabel Yessayan, armena di Costantinopoli, intellettuale impegnata e scrittrice, appartiene alla schiera dei disobbedienti, di quelle persone dotate di coraggio, fedeli a sé stesse, disposte a rischiare la libertà e la vita per testimoniare la verità. La sua prosa asciutta, priva di amplificazioni retoriche, rispecchia la sua personalità. Una lucida intelligenza si accompagna alla forza interiore, all’esercizio di una critica che la porta a cogliere in anticipo, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, i segni di un passaggio epocale e di grandi cambiamenti a livello politico, sociale e culturale.
Zabel Yessayan nasce a Costantinopoli nel 1878, e ancora bambina rivela la sua vocazione alla scrittura. Conseguito il diploma a 17 anni, grazie ad una borsa di studio offerta dalla comunità armena, prosegue gli studi a Parigi. Si iscrive alla Sorbona dedicandosi alla letteratura e alla filosofia. Collabora con articoli e traduzioni a numerose riviste letterarie francesi, Mercure de France, Humanité Nouvelle, Ecrit pour l’Art e con le riviste armene Tzolk, Mer Ugin; aderisce ai movimenti femministi, sostenendo con particolare impegno e passione la causa della pace, che vede non disgiunta dall’obiettivo di creare le condizioni perché le donne possano accedere a tutti i livelli dell’istruzione. Un primo poema in prosa, Ode alla notte, viene pubblicato nel 1895 nel periodico armeno, “Tsaghig”, diretto da Arshak Chobanian.
Nel 1902, forse intuendo di vivere il momento cruciale della fine di un’epoca e la necessità di esserne testimone, da Parigi rientra a Costantinopoli, sola con una bambina in braccio, affrontando la reazione scandalizzata della comunità armena e turca per non essere accompagnata dal marito. Vive in casa della madre e insegna francese e letteratura nelle scuole armene di Costantinopoli; scrive sui giornali della capitale, fatto inconsueto per una donna in Turchia.
Entusiasta del nuovo regime parlamentare dei Giovani Turchi che ha preso il potere nel 1908, parla dalle tribune e organizza comizi politici, carica di speranze per il futuro. Si attiva anche nella fondazione di un circolo per riunire tutte le donne dell’Impero Ottomano di diverse religioni e etnie. In una lettera al marito Dikran scrive di avere incontrato il principe Sultanazade Mehmed Sabâhaddin discendente della dinastia Osman, definito la più importante voce liberale nel tramonto dell’Impero, presto costretto all’esilio; si è confrontata con lui sui temi della democratizzazione del Paese e il principe ha accolto con entusiasmo l’idea di Zabel di fondare una “Lega della pace”.
Dopo pochi mesi, tutto precipita nel buio della violenza e dei massacri. La rivoluzione dei Giovani turchi porta con sé un’anima autoritaria, violenta che presto avrà il sopravvento e schiaccerà sul nascere il progetto di cambiamento all’insegna della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Era nato “il secolo delle idee assassine”. Nel 1909 in Cilicia, 30.000 armeni vengono brutalmente attaccati e sterminati. Ad Adana figure spettrali di sopravvissuti si aggirano tra le rovine di quella che era stata una città fiorente, ricca di fermenti economici, politici, culturali.
I Giovani Turchi, divisi al loro interno, avviano una indagine e Zabel è invitata dal Patriarcato a far parte di una delegazione per ricostruire in loco i fatti atroci scatenati in un mercoledì di Pasqua dall’irrompere di un odio incontrollabile. Ha anche l’ingrato compito redigere le liste degli orfani e dei sopravvissuti.
Dal giugno 1909 trascorre tre mesi tra Adana, Mersin e Kilis e alla fine di settembre torna a Costantinopoli. Scrive concentrata sulla tragedia del suo popolo il libro Nelle rovine, che pubblica prima dell’inizio del genocidio armeno. Testimonianza terrificante, non una semplice cronaca della tragedia di Cilicia, come precisa il traduttore, perché la narrazione degli eventi è diventata “pura letteratura” (Z. Yessayan, Nelle rovine, Ed. peQuod. Ancona 2008, traduzione di Haroutioun Manoukian).
Nell’introduzione Zabel osserva: Vorrei che la personalità dell’autrice fosse dimenticata, per ricordare che in queste pagine parlano talora il dolore, talora l’agitazione, talora l’angoscia, talora la disperazione provocata solamente da sentimenti umani. E conclude: Queste pagine devono essere considerate più che il risultato della sensibilità di una donna armena, le impressioni spontanee e sincere di qualsiasi essere umano. (Nelle rovine, pp.8-9). È, una riprova del livello universale a cui si è elevata la scrittura di Zabel Yessayan che guarda con dolore al fatto che tra turchi ed armeni si siano rafforzati sospetti e conflitti proprio nel momento in cui vivevano insieme “la grande gioia per la libertà nascente”. Zabel continua ad essere convinta che è possibile far nascere lo spazio in cui vivere insieme in pace.
Nel 1912 il ritorno degli immigrati musulmani profughi dai Balcani che si erano rifugiati a Costantinopoli suscita in lei sentimenti di condivisione dell’esilio: Privati della propria terra, della propria patria e clandestini… Cosa hanno in comune con noi? … Le loro espressioni di dolore mi ricordano sofferenze profonde difficili da dimenticare, che dentro di me si stavano affievolendo (Melissa Bilal, Pavagan E- Yeter: Zabel Yesayan’ın Barış Çağrısını Duyabilmek, Kültür ve Siyasette Feminist Yaklaşımlar, Marzo 2009, Numero 7).
Zabel coglie i segni del male al loro sorgere. Si sta avvicinando la guerra, e non sopporta la mancanza di comprensione della catastrofe mondiale che si sta abbattendo sull’umanità. Ognuno vede solo il proprio dolore, mentre si imporrebbe una visione del sangue innocente che scorre negli schieramenti nemici: Da ambo le parti la gente dovrebbe gridare “Basta! Basta!” così forte da coprire il rumore dei fucili.“ (Zabel Yesayan, Pavagan E – Yeter, 1912, p.162).
Il 24 aprile del 1915 nell’Impero Ottomano si dà inizio al genocidio degli armeni da parte del governo dei Giovani Turchi con l’arresto e l’eliminazione degli intellettuali armeni, prima a Costantinopoli e poi nel resto dell’Impero. Diventata l’intellettuale più odiata per la pubblicazione del libro sui massacri di Adana e per il suo impegno pacifista; il suo nome è nella lista di proscrizione assieme a quello di poeti e intellettuali celebri subito eliminati. Sfugge alla caccia affannosa della polizia turca, e riesce fortunosamente a raggiungere prima la Bulgaria e poi il Caucaso, dove lavora con i rifugiati e raccoglie le testimonianze dei pochi sopravvissuti al genocidio.
Nel 1918 è a Baku, poi in Cilicia dove cerca di organizzare il trasferimento degli orfani. Continua il suo impegno di scrittura nelle novelle, L’ultima coppa e La mia anima in esilio, dove narra le molte tragedie a cui ha assistito.
Dopo la presa del potere dei Soviet in Armenia alla fine del 1920, la Yessayan rientra a Parigi, dove partecipa al movimento letterario armeno dirigendo il giornale “Erevan”, e cercando di sostenere quella che definisce l’unica patria armena. A Parigi avverte la cocente delusione di una diaspora armena silente, fiaccata e prostrata. Per lei la letteratura armena occidentale è morta con il genocidio. Dello stesso parere sarà lo scrittore Hagop Oshagan,che a proposito della letteratura armena occidentale dirà che i talenti autentici di Parigi si logorarono “soggiogati dalle proprie disgrazie”.
Nel 1933 è di nuovo in Armenia, con i due figli. A coloro che le chiedono come ha potuto abbandonare gli agi di Parigi per una vita a Yerevan, Zabel risponde di avere scelto di lavorare per il futuro della sua patria.
A Mosca prende parte al primo Congresso degli Scrittori dell’Unione Sovietica. Insegna letteratura francese e armena all’Università statale di Yerevan e prosegue nella sua intensa produzione letteraria e poetica. Nel 1935 pubblica il suo capolavoro “I giardini di Silihdar” (Z. Yessayan, I giardini di Silihdar, Ed. pe Quod, Ancona 2010, traduzione di Haroutioun Manoukian),un’autobiografia e uno spaccato straordinario della vita della Costantinopoli cosmopolita di fine Ottocento. E’ presumibile che a questo testo si sia ispirato Orhan Pamuk per scrivere Istanbul.
Nel 1935 a Yerevan, il più grande poeta del tempo, Yeghishe Charents (1897-1937), comunista convinto, viene accusato di “nazionalismo”. Nel corso dell’interrogatorio condotto dal “Tribunale del popolo” dell’Armenia Sovietica, il grande poeta armeno non trovò nessun intellettuale che lo difendesse. Tutti conoscevano la devozione del poeta all’ideale del comunismo, ma la paura dominava i presenti. Zabel Yessayan, unica di 200 intellettuali, pronunciò una difesa appassionata di fronte ai colleghi che ascoltavano muti. Zabel conosceva il rischio al quale andava incontro con questo atto, ma in quel momento fece prevalere i valori in cui credeva e per i quali aveva lottato tutta la vita. Testimoniò in favore del poeta e scrisse il proprio destino. Fu un suicidio, ma non poteva ripensarsi diversa da ciò che sapeva di essere, una disobbediente testimone di verità. Charents fu condannato e imprigionato. Non si sa se sia morto in Siberia o a Yerevan in prigione. Zabel viene arrestata nel 1937, deportata in Siberia dove muore, in circostanze sconosciute, si ipotizza nel 1943. L’Armenia volle dimenticare questo tragico episodio, portato alla luce recentemente dalla figlia di Charents. Il suo coraggio civile e la sua scelta di verità la resero vittima predestinata dello stalinismo.
Ho fotografato la casa natale in rovina di Charents a Kars, in Turchia, era in vendita, ma era proibito cederla a un armeno. Mi hanno riferito che ora è stata demolita. Un ennesimo episodio di “genocidio culturale” che accompagna i crimini contro l’umanità e che sino ad oggi viene attuato in Turchia per cancellare le tracce della presenza armena. Resta viva la voce del poeta e resta l’atto di coraggio di Zabel Yessayan, prima donna armena ad avere raggiunto le vette della letteratura universale, che voglio ricordare per le sue scelte di vita che testimoniano una fede incrollabile nella libertà e nella verità.
Nella quarta di copertina del libro Nelle rovine, la scrittrice turca Elif Shafak così si esprime: “Sto leggendo un libro eccezionale scritto da un’autrice eccezionale: parlo del romanzo di Zabel Yessayan Nelle rovine. Vissuta durante gli ultimi anni dell’Impero Ottomano, fu l’unica tra ben 234 intellettuali armeni che i Giovani Turchi temevano, al punto tale da farla fuori. Un’intellettuale autentica in perenne esilio”.
Ieri come oggi, gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti, i Giusti ” testimoni di verità” sono perseguitati dai regimi autoritari. Per i disobbedienti non c’è via di scampo, è la fuga, l’esilio, la prigione, la morte. Sono la spina nel fianco del potere. La lista dei perseguitati continua ad allungarsi in tutti i paesi illiberali dove il nuovo nemico è l’autonomia di pensiero, la parola, la voce libera.
Nella giornata della donna ho voluto ricordare la storia poco nota di Zabel Yessayan, ma ricordo anche quella di tante donne in tanti paesi che hanno perso la vita, la libertà e la patria di origine per rimanere fedeli alle scelte di verità, per la lotta contro ogni forma di violenza e per l’aspirazione a migliorare il mondo.
Oggi, 8 marzo, il mio pensiero va alle donne armene, turche, azere: di ieri come Zabel Yessayan, di oggi come Pinar Selek, Ayse Nur Zarakolu, Eli Shafak, Arzu Geybullaieva. Alcune le abbiamo onorate al giardino dei Giusti di Monte Stella, e in altri giardini in Italia e nel mondo. Altre le onoreremo in futuro.
Biografia a cura di Pietro Kuciukian, Co-fondatore di Gariwo