Yerevan e Baku al bivio, la Russia fa la voce grossa (Osservatorio Balcani e Caucaso 24.09.24)
Nonostante le speranze che un accordo tra Armenia e Azerbaijan potesse essere siglato o firmato entro novembre di quest’anno, la situazione appare sempre più incerta mentre la Russia entra di nuovo nella mischia
Quattro anni dopo l’inizio della guerra dei 44 giorni tra Armenia e Azerbaijan, e un anno dopo l’esodo di 100mila armeni etnici dalla regione separatista del Nagorno Karabakh, le speranze che ci potesse essere una nuova opportunità per risolvere il conflitto stanno svanendo.
Sebbene Yerevan, sostenuta da Francia e Stati Uniti, creda che sia possibile prima di novembre, Baku sostiene che nessun accordo finale può essere firmato finché non saranno rimosse quelle che considera rivendicazioni territoriali, sebbene espresse indirettamente, nella costituzione armena. Yerevan sostiene invece che è l’Azerbaijan a presentare tali rivendicazioni sul suo territorio.
In ogni caso, novembre sarà anche un mese cruciale per definire finalmente un accordo o almeno fare progressi significativi. Le presidenziali americane del 5 novembre potrebbero segnare un cambiamento nella politica nei confronti della regione.
Il prossimo vertice della Comunità politica europea si terrà il 7 novembre in Ungheria, prima che Baku ospiti la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di quest’anno (COP 29) l’11 novembre. Sebbene l’Armenia sia stata invitata a partecipare, non ha ancora preso una decisione a riguardo.
In una rara dichiarazione congiunta di Yerevan e Baku dello scorso dicembre, tuttavia, l’Armenia ha sostenuto la candidatura dell’Azerbaijan per ospitare l’evento.
All’inizio di quest’anno è seguito uno storico accordo sul ritorno dei villaggi non enclave sotto il controllo dell’Armenia dall’inizio degli anni ’90, così come l’inizio della delimitazione e della demarcazione dei confini su quella parte del confine condiviso.
Il 30 agosto le parti hanno firmato i regolamenti per la futura demarcazione dei confini, che dovranno essere approvati dalla corte costituzionale e ratificati dal parlamento.
Tuttavia, permangono altri ostacoli. Entrambe le parti hanno confermato che sono stati concordati 13 dei 17 articoli di un accordo sulla normalizzazione delle relazioni. Dei restanti quattro, tre sono stati parzialmente concordati, mentre uno rimane uno scoglio importante.
Alla fine di agosto, l’Armenia ha rimosso tutti e quattro i punti e ha restituito il documento modificato a Baku dichiarandosi pronta a firmare immediatamente i punti concordati. L’Azerbaijan ha criticato la mossa e ha ribadito che non si potrà firmare nulla di definitivo senza un accordo su tutti gli articoli.
Invece, Baku afferma che potrebbe essere pronta a siglare quei punti concordati come documento provvisorio, continuando a negoziare sui restanti quattro. A meno che l’Azerbaijan non ritiri la sua insistenza nel cambiare la costituzione armena, sembra improbabile che un accordo di pace possa essere firmato prima del 2027, quando il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha in programma di cambiarla comunque tramite referendum.
L’anno scorso Pashinyan aveva riconosciuto il problema con il preambolo costituzionale e continua a ribadire che l’Armenia non ha più rivendicazioni territoriali sull’Azerbaijan. Il presidente azero Ilham Aliyev, tuttavia, non sembra fidarsi della sua parola o della posizione di chi potrebbe arrivare al potere in futuro.
L’opposizione armena e molti commentatori nazionali sostengono che il premier armeno ha disperatamente bisogno di un accordo di pace se vuole affrontare con agio le prossime elezioni parlamentari che si terranno entro metà giugno 2026.
Avendo basato il suo primo incarico del dopoguerra sul successo del suo tanto pubblicizzato programma di pace, il primo ministro andrebbe incontro ad un fallimento se non ne uscisse nulla di concreto. I suoi detrattori lo accusano già di aver fatto concessioni unilaterali a Baku. Parlando ad una conferenza a Yerevan la scorsa settimana, Pashinyan ha ribadito questa posizione: “C’è solo una garanzia di sicurezza: la pace”, ha detto al pubblico.
Tuttavia, c’è un certo senso di ansia evidente anche tra i suoi alleati nella società civile e tra gli osservatori solidali all’estero, soprattutto dopo la visita del presidente russo Vladimir Putin a Baku il 19 agosto.
Mentre il suo governo continua a segnalare un orientamento verso gli Stati Uniti e l’Unione Europea, la Russia potrebbe rivolgere di nuovo alla regione la sua attenzione, precedentemente distratta dall’Ucraina.
Yerevan continua a dipendere da Mosca per la sua energia e per la sua economia in particolare. All’inizio di questo mese, Pashinyan ha accettato un invito dal presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo incontro dei BRICS a Kazan in ottobre.
I BRICS, un blocco geopolitico fondato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica nel 2009, si è da allora espanso per includere altri paesi come l’Iran, ed è sempre più considerato un potenziale rivale del G7. All’inizio di questo mese, la Turchia ha fatto domanda per entrare nel blocco.
La partecipazione del presidente azero Ilham Aliyev sia al vertice dei BRICS che a quello dei leader della Comunità di stati indipendenti del mese prossimo in Russia fa temere ad alcuni che anche la Russia possa tentare di influenzare i negoziati tra Armenia e Azerbaijan.
Con la rivalità geopolitica in aumento nel Caucaso meridionale ad un ritmo senza precedenti, soprattutto per lo sblocco dei trasporti regionali, non si sa se Armenia e Azerbaijan possano siglare o firmare un documento.
Ciò che è chiaro, tuttavia, è che le settimane prima di novembre potrebbero dimostrare se un accordo di pace verrà raggiunto prima che l’Armenia entri nel suo prossimo ciclo elettorale a partire dall’anno prossimo.
Yerevan sembra temere che Mosca tenti di interferire. Il 18 settembre, Yerevan ha annunciato di aver impedito un tentativo di colpo di stato armato da parte di cittadini armeni ed ex residenti del Karabakh, presumibilmente addestrati in Russia.
Il 20 settembre, la portavoce del ministero degli Affari Esteri russo Maria Zakharova ha ricordato a Yerevan i vantaggi che trae come membro dell’Unione economica eurasiatica guidata dalla Russia. “Il 90% del grano che va in Armenia […] proviene dalla Russia. Forse allora potete contattare la Federazione russa […] per discutere della vostra sicurezza alimentare”, ha affermato.
E poiché l’Armenia dipende dalla Russia anche per la sua energia, l’ex ambasciatore statunitense all’OSCE Daniel Baer e vicepresidente senior del Carnegie Endowment si è espresso minacciosamente in una recente udienza del Congresso. “Gli armeni devono essere preparati a sopportare alcuni inverni freddi”, ha affermato.