Viaggio in Armenia. Fra diaspora e mistica (Atribune 29.04.17)

Un milione e mezzo di morti fra il 1915 e il 1916. Checché ne dica – o meglio, checché lo neghi – la Turchia, quello perpetrato ai danni del popolo armeno da parte dell’Impero Ottomano è stato un genocidio in piena regola. Un reportage a quasi due anni dal Leone d’oro come miglior padiglione nazionale che si è aggiudicata la mostra Armenity curata da Adelina Cübeyan von Fürstenberg sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, proprio nel centenario del genocidio.

Riavvolgere le immagini dei film di Sergej Iosifovič Paradžanov, stranianti, altamente evocative, dense di dettagli e di minuziose ricerche estetiche, è un po’ come immergersi nella storia dell’Armenia. Il colore del melograno (1968) resta ciò che Tarkovskij definì un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale, e ci trasporta nelle tradizioni e nella storia di questo piccolo ma strategico Paese caucasico.
Visitare la casa-museo del regista può essere da solo il motivo di un viaggio a Yerevan. Ai bordi di uno dei vecchi quartieri della città, oltre alle immagini dai set dei suoi film, locandine, e cimeli vari, il museo offre una vasta raccolta di opere del regista, ben apprezzato anche come artista e creatore di collage, fotografie, sculture. Le sue opere tendono alla suggestione e all’evocazione emotiva dello spettatore, attraverso l’utilizzo di allegorie, fantasie surrealiste, ambientazioni oniriche. Di grande rilievo sono le scelte cromatiche e l’uso di metafore. Appassionato di storia dell’arte, soprattutto quella rinascimentale italiana, Paradžanov è considerato uno dei maggiori innovatori del linguaggio cinematografico legato alle arti.

YEREVAN E LA DIASPORA

Uscendo da questo viaggio nella memoria e nell’estetica, la città contemporanea travolge.
Yerevan si srotola su un altipiano roccioso. Polverosa e caotica, offre lo sguardo alla montagna sacra per eccellenza: il Monte Ararat, maestoso con i suoi 5.200 metri di altezza e la vetta coperta da nevi perenni. Nel Vecchio Testamento si cita il Monte Ararat come il luogo in cui fu deposta l’Arca di Noè dopo il Diluvio Universale, quindi luogo di salvezza per l’intera cristianità. La Chiesa armena, vicina a quella ortodossa in quanto altamente conservatrice e ritualistica, ha alle sue spalle una tradizione antichissima: basti pensare che l’Armenia fu il primo Paese al mondo ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale.
La città di Yerevan non supera il milione di abitanti. Oltre otto milioni sono invece gli armeni della diaspora – quelle famiglie che riuscirono a fuggire all’eccidio turco del 1915 –, residenti all’estero, suddivisi soprattutto tra Iran, Francia, Libano, Russia e Stati Uniti. La popolazione locale è piuttosto giovane e ha un’età media di trent’anni; è composta da armeni (97%), da una minoranza di curdi (yazidi), russi (molokan), ucraini e greci.

15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Padiglione Armenia. Independent Landscape. Photo Artur Lumen
15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Padiglione Armenia. Independent Landscape. Photo Artur Lumen

L’ARCHITETTURA DELLA CAPITALE

Una stratificazione di stili costituisce la struttura e l’architettura della capitale Yerevan. Dai tipici quartieri in stile bizantino, con vecchie case in legno e i balconi aggettanti, agli enormi soviet block, gigantesche strutture tipo case popolari, realizzate in cemento armato durante il periodo di aggregazione all’ex Unione Sovietica. Più di recente sono sorte nuove costruzioni “monumentali: il Municipio, le sedi dei Ministeri, piazza della Repubblica… Sulle facciate risaltano le due pietre di cui è ricco il Paese: il basalto (scuro) e l’arenaria (rosa chiaro o giallo/arancio), creando un gioco di cromie molto originale. Interessante è la possibilità di seguire una visita della città, guidati dagli studenti dall’Istituto d’Architettura.
Grande attenzione è dedicata anche alle aree verdi, giardini pubblici e parchi, molto amati dai cittadini e frequentati nei periodi estivi (gli inverni qui sono rigidi), ricchi di giochi d’acqua e fontane.

I MUSEI CITTADINI

Tra i musei e le gallerie da visitare, sicuramente il più particolare in assoluto è la Cascade- Cafesjian Art Foundation, un’originalissima struttura a cascata, con giardini pensili e sculture all’aperto appoggiate su una piccola altura, oltre a un museo di arte e design scavato all’interno della collina. L’imponente opera architettonica e la collezione d’arte – che include autori internazionali quali Fernando Botero, Arshile Gorky, Barry Flanagan, Jaume Plensa, Yue Minjun [nella foto], Joana Vasconcelos – sono il dono di Gerard Cafesjian, uno dei maggiori collezionisti armeni della diaspora di New York.
Altro museo da non perdere è Matenadaran – Μuseo degli Antichi Manoscritti, tra i maggiori depositari di antichi manoscritti e miniature al mondo, con oltre 17mila opere di inestimabile valore spirituale e storico. Poi la National Art Gallery, con una ricca collezione di oltre 25mila pezzi di arte armena, russa e occidentale. E il Folk Art Museum, un centro culturale unico, dove sono conservati esempi di arte decorativa, applicata e belle arti del folklore armeno.

La scultura di Yue Minjun al Cascade di Yerevan
La scultura di Yue Minjun al Cascade di Yerevan

LA SCENA CREATIVA

Per quanto riguarda le arti, i padri della letteratura armena vengono riconosciuti nei due fondatori dell’accademica “Scuola dei Traduttori”, Sahak il Grande e Mesrop Mashtots, già inventore dell’attuale alfabeto armeno, originato delle Sacre Scritture.
Dal 1800 la storia e le vicissitudini del popolo armeno costituiscono il tema principale della letteratura del Paese, con autori quali il poeta Arsiak Ciobanan, Hrand Nazariantz e Antonia Arslan. Se nell’ultimo secolo il panorama armeno ha risentito dell’influenza e degli indirizzi dell’arte sovietica, artisti internazionali come il cantante Charles Aznavour, il regista Atom Egoyan, il pianista jazz Tigran Hamasyan si sono distinti per aver seguito un percorso originale, che li ha spinti a scavare nella tradizione armena, pescando a volte elementi dal folklore.
Tra gli artisti contemporanei, lo scultore Mikayel Ohanjanyan, con le sue opere in basalto, ricorda il genocidio del popolo armeno e sottolinea il legame con la musica e le proprie tradizioni. Tutti gli artisti contemporanei armeni – fra gli altri: Sarkis, Anna Boghiguian, Ayreen Anastas, Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Melik Ohanian, Hrair Sarkissian –, in qualunque parte del mondo vivano, sottolineano la nozione di dislocamento e territorio, di giustizia e riconciliazione, portando con sé memoria, identità e verità delle proprie origini. Con una qualità tale che, durante la scorsa Biennale di Venezia, la mostra curata da Adelina Cüberyan von Fürstenberg è stata premiata con il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale.

PAESAGGI MISTICI

Infine, i bellissimi paesaggi dell’Armenia: un territorio in prevalenza montuoso, senza sbocchi sul mare, ricco di vulcani spenti, considerato il frutteto dell’ex Urss. Le differenze d’altitudine offrono scenari geograficamente diversificati quali alte vette innevate, valli fertili, cascate, colonne di basalto e sculture di roccia. Il territorio è ricco d’acqua, attraversato da oltre duecento fiumi, ruscelli, laghi. Il Lago Sevan è il principale specchio d’acqua dell’Armenia, occupa una depressione che si trova nella parte centrale del paese a 2mila metri ed è il secondo lago al mondo (dopo il Titikaka) per estensione e altitudine. Il bacino del lago è ricco di monumenti archeologici e storici, con un panorama mozzafiato su boschi di querce, lecci, betulle, e con oltre cento specie di uccelli, alcuni dei quali endemici, come il gabbiano dalmata.
Su queste montagne si trovano i monasteri più suggestivi dell’Armenia, luoghi di preghiera e di riflessione, di riposo e studio. Si narra che George Ivanovič Gurdjieff, filosofo, scrittore, mistico e maestro di danze di origini armene, qui in ritiro, ispirato dal paesaggio e dalla quiete, scrisse alcuni dei suoi saggi più significativi.

15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Padiglione Armenia. Independent Landscape. Photo Martin Manukyan
15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Padiglione Armenia. Independent Landscape. Photo Martin Manukyan

OLTRE L’EREDITÀ SOVIETICA. UN’ISTANTANEA SULL’ARCHITETTURA ARMENA

A più di venticinque anni dalla riconquista dell’indipendenza, l’ex Repubblica Sovietica dell’Armenia continua a manifestare con evidenza i lasciti architettonici del suo tormentato passato. L’eredità dell’Urss è materia viva, riflessa in decine di esempi di edilizia residenziale o con finalità collettive disseminati in tutto il Paese, a partire dalla capitale. Blocchi compatti, unificati dal notevole impiego del calcestruzzo armato e dal rispetto di parametri dimensionali, estendono la memoria del secolo scorso sulla contemporaneità; strutture severe e massicce restituiscono lo spirito di un’epoca.
Per capire cosa si cela oltre l’atemporalità e monotonia di questi complessi e la ieraticità di alcuni monumenti celebrativi, l’architettura dell’Armenia indipendente è stata oggetto di un’analisi, lunga un semestre, condotta proprio in Italia. Il padiglione nazionale presentato alla 15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, infatti, ha promosso la più consistente mappatura del paesaggio armeno dal 1991 al 2016.
Curato da Sarhat Petrosyan – architetto attivo nel contesto di Yerevan – e allestito nella Chiesa di Santa Croce della Congregazione Armena Mechitarista, Independent Landscape ha proiettato in una dimensione internazionale i segni del mutamento in corso nel contesto, soprattutto urbano, del Paese. “Si tratta di cambiamenti tali per cui”, ha messo in luce il curatore, “il loro potenziale e la loro ambizione non vogliono solo rendere diverso lo spazio, ma far sì che, in un secondo momento, a queste alterazioni venga riconosciuto un valore culturale.”
In assenza di interventi in grado di conquistare una risonanza mediatica, come nel caso dell’azione intrapresa dalla municipalità di Baku, attraverso un’indagine multidisciplinare, il padiglione ha rivelato come ai settant’anni della robusta urbanizzazione, pianificata dall’ex Unione Sovietica, siano sopravvissute tracce di sistemi socio-culturali ancora precedenti. In particolare, la documentazione visiva relativa al panorama abitativo di Yerevan può risultare agli occhi dell’osservatore occidentale particolarmente efficace per comprendere cos’ha comportato l’ascesa della proprietà privata, tra i principi fondamentali della carta costituzionale, sommata a un quadro legislativo ancora incerto. Ragioni anche di tipo economico hanno generato negli ultimi anni forme di “espansione volontaria”, il cui moltiplicarsi genera una metamorfosi continua nello skyline cittadino.
Seguendo una logica dettata da una volontà di personalizzazione, queste “architetture spontanee” e informali producono estensioni in ogni dimensione: si occupano cortili, si chiudono balconi, nascono mansarde e superfetazioni. Non a caso, dunque, Petrosyan ha sottolineato come “il valore di questa ricerca e delle sue risultanze dovrà essere necessariamente salvaguardato dalla società e dallo Stato”.

Claudia Zanfi e Valentina Silvestrini

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