Ventisettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Gran Bretagna e Russia uniti per impedire la condanna dell’Azerbajgian nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Korazym 07.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.01.2023 – Vik van Brantegem] – È sempre attivo il blocco illegale del Corridoio di Berdzor (Lachin). Nessun segno apparente di negoziati o dei loro risultati da parte delle parti coinvolte. Tutto il traffico (di persone e merce) tra l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’Armenia (e il resto del mondo) rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere e il contingente di mantenimento della pace russo che presiede il Corridoio… il blocco. Ciò significa che i 120.000 cittadini Armeni Cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh sotto assedio vengono tenuti in ostaggi, con mancanza di cibo, carburante, medicine e altri beni di prima necessità.

Lo storico e sociologo turco Altuğ Taner Akçam ha espresso la sua preoccupazione per la chiusura dell’unica strada che collega l’Artsakh al mondo e la conseguente crisi umanitaria. Akçam ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Gli Armeni festeggiano il Natale. Mi congratulo con tutti gli amici armeni il giorno di Natale. Possa questa festa portarci tutti felicità, pace e bei giorni. Voglio aggiungere che i nostri cuori e sentimenti sono con gli Armeni in Karabakh (Artsakh) nei loro giorni molto difficili. Più di 120.000 persone sono sotto assedio azero, con il loro futuro incerto. E il mondo, sfortunatamente, chiude un occhio su ciò che sta accadendo proprio davanti ai nostri occhi”.

Akçam è stato uno dei primi accademici turchi a riconoscere e a discutere apertamente il genocidio armeno compiuto dal governo turco nel 1915. Nel 1976 fu arrestato e condannato a dieci anni di prigionia per aver discusso pubblicamente del genocidio armeno, ma l’anno successivo fuggì di prigione e riparò nella Repubblica Federale di Germania, dove gli venne riconosciuto asilo politico. Attualmente Visiting Associate Professor di Storia presso la University of Minnesota, USA.

L’Eurodeputato, membro del Partito Popolare Europeo, Peter van Dalen, ha condiviso su Twitter un articolo della BBC sulla crisi umanitaria in Artsakh dopo la chiusura del Corridoio di Lachin, e ha commentato: “I brutali risultati del blocco azero del Nagorno-Karabakh; negozi vuoti e gente disperata. Perché l’Unione Europea è così silenziosa?! Non capisco! Josep Borrell deve agire ora!”

«Donne dell’Artsakh: forti, resilienti, umili. Anche durante il #ArtsakhBlockade, quando 120.000 persone stanno subendo un’altra aggressione azerbajgiana e stanno affrontando il progetto di pulizia etnica azero, le donne armene danno ancora la forza di vivere e costruire nella nostra patria» (Edgar Harutyunyan).

Nuove immagini dal posto di blocco azero del Corridoio di Berdzor (Lachin) mostrano “eco-attivisti” e picchetti organizzati dallo Stato dell’Azerbajgian che cantano l’inno nazionale. In gran parte hanno le facce coperte, per impedire il riconoscimento, che ha reso possibile in passato rintracciare militari dei servizi speciali azeri tra i dimostranti. Il #ArtsakhBlockade sta procedendo secondo tattiche chiaramente pianificate dallo Stato dell’Azerbaigian. C’è un gruppo di propaganda operativa livello statale, che si trova nella sede principale e accetta nuovi gruppi.

Un altro degli “eco-activisti” azeri che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin). Sulla giacca a vento in versione borghese porta il logo della Fondazione per i Giovani dell’Azerbajgian, sotto il Ministero della Gioventù e dello Sport.

Altri veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa, 4 questa volta, ripresi dalla parte dell’Azerbaijan che attraversavano il posto di blocco.

Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian permette il passaggio solo ai veicoli della Croce Rossa e del contingente di mantenimento della pace russo. Qualunque cibo e beni essenziali trasportati attraverso il posto di blocco azero verso il Nagorno-Karabakh, passano esclusivamente con i camion del contingente di mantenimento della pace russo. Non sono ammessi veicoli civili.

A causa del blocco azero dell’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia, gli interventi chirurgici programmati continuano ad essere sospesi nelle strutture mediche che operano sotto il Ministero della Salute dell’Artsakh. 13 bambini sono nelle unità di terapia intensiva e neonatale dell’unità medica “Arevik”. Al “Centro Medico Repubblicano”, 13 pazienti sono ricoverati nel reparto di terapia intensiva, 6 dei quali sono in condizioni critiche. I medici stanno facendo del loro meglio per stabilizzare le condizioni dei pazienti.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha trasportato altri 3 pazienti da Stepanakert a Yerevan, tra cui un bambino di 2 mesi con sindrome di Down e un adulto con leucemia acuta. Fino ad oggi, un totale di 13 pazienti, due dei quali bambini di 4 e 2 mesi, sono stati trasferiti dall’Artsakh in Armenia con la mediazione e l’accompagnamento del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il Ministero della Salute della Repubblica dell’Artsakh sta adottando tutte le misure possibili per superare adeguatamente la situazione creatasi a causa del blocco azero, si legge in un comunicato.

Sembra che la leadership di Baku stia ora costringendo le forze di pace russe oltre le loro capacità, a svolgere un importante compito umanitario. Dal 12 dicembre 2022 le vite degli Armeni dell’Artsakh dipendono sostanzialmente dalle forze di pace russe. Sebbene nell’Artsakh non siano state segnalate ancora episodi significativi di fame, ulteriori interruzioni da parte dell’Azerbaijan dei trasporti russi possono provocarli. Le scorte di antibiotici per bambini si esauriscono pericolosamente, paracetamolo e ibuprofene sono difficili da trovare.

Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, ha rilasciato interviste ai media internazionali, presentando la situazione creata dal blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian.

In un’intervista rilasciata alla Radio Nazionale Svedese, rispondendo alle motivazioni ambientali della chiusura del Corridoio di Lachin, presentate dalla parte azera e alla domanda sulla violazione della dichiarazione tripartita del 9 novembre del 2020, Ruben Vardanyan ha risposto che le affermazioni dell’Azerbajgian non suonano credibili a nessuno, perché il mondo intero sa che in un Paese autoritario non accade nulla sotto la “responsabilità degli ambientalisti”. “Ricordi quante proteste ambientali hanno avuto luogo in Azerbajgian negli ultimi 10 anni? Non abbiamo meccanismi in Artsakh per fare pressione su un Paese che ha firmato un documento che conferma il diritto di utilizzare liberamente il corridoio, e oggi lo sta violando. Chiediamo che alla comunità internazionale a fornirci un corridoio aereo umanitario in modo da poter portare cibo e generi di prima necessità. Tuttavia, l’Azerbajgian non consente neanche questo. Pertanto, la percepiamo come una politica statale, una posizione del governo, che mostra chiaramente che vogliono portarci tutti fuori di qui e portare avanti la pulizia etnica per avere l’Artsakh senza Armeni”.

In un’intervista al periodico britannico Byline Times (che di seguito riportiamo integralmente nella nostra traduzione italiana dall’inglese), Ruben Vardanyan ha descritto la situazione creatasi a seguito del blocco azero nell’Artsakh. Presentando alla comunità internazionale l’appello del Ministro di Stato dell’Artsakh a imporre sanzioni contro l’Azerbajgian se il blocco continua, il giornalista nota che la situazione in Ucraina ha “gettato l’Occidente tra le braccia dell’Azerbajgian, spinto dalla disperata ricerca di sicurezza energetica”.

“Bloccando il Corridoio di Lachin, Aliyev segnala ancora una volta che si sta muovendo verso il controllo completo di un’area che gli Armeni considerano parte della loro eredità, religione, cultura e identità storica”, scrive il giornalista.

Presentando alla comunità internazionale l’appello del Ministro di Stato dell’Artsakh a imporre sanzioni contro l’Azerbajgian se il blocco continua, il giornalista nota che la situazione in Ucraina ha “gettato l’Occidente tra le braccia dell’Azerbajgian, spinto dalla disperata ricerca di sicurezza energetica”. “Bloccando il Corridoio di Lachin, Aliyev segnala ancora una volta che sta cercando il controllo completo su un’area che gli armeni considerano parte della loro eredità, religione, cultura e identità storica”, conclude il giornalista.

Registriamo nuove provocazioni azere.

Mentre dei dipendenti statali azeri travestiti da “attivisti per l’ambiente” ancora bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) isolando da 26 giorni l’Artsakh, i soldati dell’Azerbajgian bruciano l’erba secca destinati alle mandrie, vicino al villaggio di Verishen, nei territori del Sud dell’Armenia occupati dall’esercito del dittatore azero, Ilham Aliyev.

La polizia dell’Artsakh riferisce che un contadino armeno del villaggio di Hatsi è stato preso di mira da postazioni militari dell’Azerbajgian mentre lavorava nei campi con il suo trattore. Non solo il blocco del Corridoio di Lachin per affamare l’Arsakh, ma impedire anche i contadini di lavorare nei campi e produrre generi alimentari.

Mentre nega cibo, carburanti e forniture mediche alla popolazione dell’Artsakh dal 12 dicembre scorso, dal 27 febbraio 2022 l’Azerbajgian invia aiuti umanitari all’Ucraina: medicinali, forniture mediche, dispositivi e attrezzature da utilizzare durante i soccorsi medici nei casi improrogabili e di emergenza, nonché cibo e prodotti alimentari per la popolazione. Inoltre, si ricorda anche che tutte le stazioni di servizio della Compagnia petrolifera statale dell’Azerbaigian (Socar) in Ucraina forniscono gratuitamente carburante a tutte le ambulanze.

Inoltre, mentre l’Azerbajgian con fatti e parole dimostra che ha nessuna intenzione di risolvere i conflitti con l’Armenia e l’Arsakh in forma pacifica per via diplomatica, a marzo 2022, Hikmet Hajiyev, Assistente del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian e Capo del dipartimento per gli affari esteri dell’amministrazione presidenziale, a margine di un forum diplomatico svoltasi ad Antalya in Turchia, ha affermato che se ci fosse una proposta, l’Azerbajgian sarebbe pronto a ospitare un incontro tra i rappresentanti di Russia e Ucraina. “C’era una tale proposta da parte ucraina. In caso sia confermata questa intenzione, siamo pronti a ospitare un incontro del genere. In precedenza, Baku ha accolto gli incontri tra le delegazioni militari della Russia e degli Stati Uniti, così come i negoziati tra la Russia e la NATO. L’Azerbajgian non è né un membro della NATO, né un membro della CSTO, presiede il Movimento dei non allineati, ha una sorta di status di non allineato”, ha detto Hajiyev. “Sulla base di questo, crediamo che entrambe le parti possano sentirsi a proprio agio. Se vi fosse una tale proposta, l’Azerbajgian sarebbe pronto a sostenerla e a dare il suo contributo”, ha sottolineato.

L’Accademia nazionale delle scienze dell’Azerbajgian avvia un nuovo dipartimento chiamato “Storia dell’Azerbajgian Occidentale”.

Si può ridere di questa assurdità, ma il dittatore azero Ilham Aliyev vuole legittimare i suoi sforzi occupazionali del territorio armeno con una storia completamente falsa. Questa assurdità inventata chiamata “Azerbajgian Occidentale” significa Armenia. Guardate le mappe antiche: dove troverete l’Azerbajgian? Da nessuna parte, inesistente.

La Turchia sta costruendo una base militare modulare sul monte Ararat al confine con l’Armenia, a 2.100 m.s.l.m., che sarà dotata di moderni sistemi di telecamere per la visione notturna e droni. I media turchi, che ne parlano, riferiscono che viene costruita “per combattere il terrorismo”.

Il cinico patto tra Russia e Regno Unito
Sull’aggressione dell’Azerbajgian nei confronti dell’Armenia
La Gran Bretagna si è unita alla Russia nel bloccare una dichiarazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanna il blocco azero del Nagorno-Karabakh
di Pietro Oborne
Byline Times, 6 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Le relazioni tra Gran Bretagna e Russia sono state congelate da quando Vladimir Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina nel febbraio dello scorso anno. Ma a Natale, le due potenze ostili – non riportate dai media britannici – si sono unite per una causa comune.

Il Ministro degli Esteri britannico, James Cleverley, e il suo omologo russo, Sergey Lavrov, hanno lavorato su percorsi paralleli presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per proteggere l’ex Stato sovietico dell’Azerbajgian dalle critiche per la sua brutale condotta nei confronti della popolazione armena del Nagorno-Karabakh.

Non stiamo parlando di riconciliazione – o qualcosa del genere – tra Londra e Mosca. Ma la Gran Bretagna e la Russia hanno un interesse comune a mantenere al potere Ilham Aliyev, il notoriamente corrotto e insensibile Presidente dell’Azerbajgian.

In parole povere, la Gran Bretagna ha bisogno di petrolio e gas azeri. Per quanto riguarda un Vladimir Putin sempre più combattuto, Aliyev è un alleato vitale sul confine inquieto e pericoloso tra l’Europa orientale e l’Asia centrale, un’area in cui la Russia ha un profondo interesse strategico.

La crisi che ha unito Russia e Gran Bretagna è stata la decisione del Presidente Aliyev del mese scorso di bloccare il collegamento – noto come Corridoio di Lachin – tra Armenia e Nagorno-Karabakh.

Il Nagorno-Karabakh (noto agli Armeni come Artsakh) è stato conteso tra l’Azerbajgian e l’Armenia in una serie di sanguinosi conflitti dal crollo dell’Unione Sovietica trent’anni fa.

Bloccando il Corridoio di Lachin, Aliyev segnala ancora una volta che si sta muovendo verso il controllo completo di un’area che gli Armeni considerano parte della loro eredità, religione, cultura e identità storica.

La reazione della comunità internazionale è stata immediata e – in un primo momento – forte. La Francia – Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – ha convocato una riunione il 20 dicembre durante la quale una nazione dopo l’altra ha chiesto la fine del blocco. Tra loro c’era la Gran Bretagna, il cui Ambasciatore ONU, James Kariuki, ha chiesto “l’immediata riapertura del Corridoio”.

Ha detto che “il Corridoio di Lachin è l’unico mezzo con cui le necessità quotidiane possono essere consegnate alla regione. La chiusura del Corridoio per oltre una settimana aumenta il rischio di gravi conseguenze umanitarie, soprattutto in inverno”.

Sulla scia di questa riunione frettolosamente convocata, la Francia iniziò a redigere una dichiarazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condannava il blocco.

Sia le fonti armene che quelle azere concordano su ciò che seguì. L’Azerbajgian si è messo al lavoro per assicurarsi che la condanna del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non vedesse mai la luce del giorno. Le pressioni sono andate avanti per tutto il periodo natalizio e Gran Bretagna e Russia (che sono state forze di pace in Karabakh sin dalla fine della guerra dei 44 giorni di due anni fa) erano entrambe ansiose di ascoltare la versione azera della storia. Funziona così: il Corridoio di Lachin non è bloccato dallo Stato dell’Azerbaigian. I responsabili sono degli eco-manifestanti, irritati dalle operazioni minerarie. È inconcepibile che Gran Bretagna e Russia credano a questa assurda storia di copertura. Ma potrebbe essere stato conveniente a loro farlo.

Entro il 30 dicembre ogni prospettiva di una denuncia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro l’Azerbajgian era crollata. Ciò è diventato pubblico quando un sito di notizie armeno, Factor TV, ha riferito che la Russia ha introdotto una serie di modifiche alla bozza dell’ultimo minuto “sapendo molto bene che non sarebbero state accettate dagli altri membri, cosa che in effetti è avvenuta”.

Il giorno seguente un esultante Ambasciatore dell’Azerbajgian a Brussel, Vaqif Sadiqov, confermò il racconto armeno. In un tweet pavoneggiando, pubblicato alla vigilia di Capodanno, Sadiqov si è vantato: “Oggi la Francia ha perso un’altra battaglia contro l’Azerbajgian nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel tentativo fallito di spingere una dichiarazione di parte filo-armena del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Lachin, che ha scatenato una dura reazione da parte di altri membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Il suo tweet concludeva: “Parole di gratitudine vanno ad Albania, Russia, Emirati Arabi Uniti e Regno Unito! Un ottimo lavoro dei diplomatici dell’Azerbajgian!”

L’Albania e gli Emirati Arabi Uniti sono membri non permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Gran Bretagna e Russia sono membri permanenti.

Questa squallida storia di tradimento è vecchia quanto la stessa diplomazia. Gran Bretagna e Russia, sebbene acerrime nemiche, si unirono in una causa spregevole per perseguire vantaggi privati.

Come sempre in tali circostanze ci sono dei perdenti. In questo caso, i 120.000 abitanti del Nagorno-Karabakh. Oggi normalmente celebrerebbero il Natale armeno. Secondo la tradizione, gli Armeni si riuniscono alla vigilia di Natale con un piatto chiamato Khetum, il loro equivalente del nostro tacchino, salsa di pane e patate arrosto.

Quest’anno gli ingredienti – riso, pesce e verdure – sono irraggiungibili. Si parla di fame imminente se il blocco continua. Le scorte mediche sono già finite. Gli scaffali di molti negozi sono vuoti. Molti membri delle famiglie sono separati, impediti dal blocco a compiere il viaggio dall’Armenia all’Artsakh.

Ieri ho parlato via Zoom con Ruben Vardanyan, il Ministro dello Stato dell’Arksakh, nel suo ufficio a Stepanakert, la città più grande della regione. Come tutti i Ministri in quel luogo disperato e combattuto, indossa l’abbigliamento casual ma robusto preferito dal Presidente Volodymyr Zelensky in Ucraina: una razza di leader politici pronti a correre al riparo o prendere una mitragliatrice in un attimo.

“Da ventiquattro giorni siamo in questo blocco”, ha detto. “Riceviamo un po’ di cibo dalla Croce Rossa e dalle forze di pace russe. Ma in realtà non abbiamo generi alimentari di base. Niente frutta, niente verdura. Abbiamo un po’ di grano e carne e un po’ di latte. Altre cose non esistono più”. “Niente sigarette”, aggiunse in modo significativo.

Mi ha detto tristemente che era tra i 5.000 residenti dell’Artsakh che sono separati dalle loro famiglie questo Natale. “Mia moglie e quattro figli hanno pianificato il nostro Natale molti mesi fa”. A causa del blocco dell’Azerbajgian sono separati: “Per la prima volta nella mia vita, sono separato dalla mia famiglia a Natale. Fondamentalmente, siamo ostaggi dell’Azerbajgian mentre la strada”. Ha invitato la comunità internazionale a imporre sanzioni se l’Azerbajgian persistesse con il blocco.

Ci sono poche possibilità. Per una perversa ironia, l’invasione russa dell’Ucraina ha gettato l’Occidente, tra le braccia dell’Azerbajgian, spinto da una disperata ricerca di sicurezza energetica. Il Presidente europeo Ursula von der Leyen lo ha reso esplicito quando ha affermato a luglio che “l’Europa si sta rivolgendo a fornitori di energia affidabili. L’Azerbajgian è uno di questi”.

C’è un brutto paradosso qui. Putin è un mostro, ma lo è anche il Presidente Aliyev dell’Azerbajgian, un leader dinastico il cui regime ha precedenti di corruzione, repressione, torture e omicidi mentre reprime ogni parvenza di opposizione politica.

Insistiamo sul fatto che stiamo combattendo per i diritti umani in Ucraina. Ma sul Nagorno-Karabakh abbiamo stretto un’alleanza grottesca, insieme alla Russia di Putin, con uno dei peggiori tiranni del mondo. Le vittime di questo cinico patto sono gli Armeni dimenticati.

Ieri presto ho contattato il Ministero degli Esteri britannico e ho chiesto la loro risposta al messaggio di ringraziamento dell’Ambasciatore azero a Brussel. Ho chiesto se la Gran Bretagna fosse d’accordo sul fatto che aveva contribuito a far fallire la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro l’Azerbajgian. Ho chiesto se fosse d’accordo con l’Ambasciatore dell’Azerbajgian che la Gran Bretagna e la Russia si trovassero dalla stessa parte su questo problema. Un funzionario del Ministero degli Esteri ha promesso una risposta entro il pomeriggio. Ieri sera ho inviato un messaggio di follow up. Questa mattina ne ho inviato un altro. Quando questo articolo è andato in stampa, non c’era ancora alcuna risposta dal Ministero degli Esteri britannico.

Caucaso, il Nagorno Karabakh sotto assedio
L’appello degli armeni: “È pulizia etnica, il mondo fermi l’Azerbaigian”
di Roberto Travan
La Stampa, 6 gennaio 2023

Non c’è pace per gli armeni del Caucaso. L’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh è isolata, sull’orlo di una grave crisi umanitaria. Dal 12 dicembre l’Azerbaigian ha chiuso il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia (e al mondo), strada su cui transitavano tutte le forniture di beni essenziali, 400 tonnellate di merci al giorno. Baku, la capitale azera, ha inoltre tagliato l’erogazione del gas e dell’acqua potabile. Per i 120.000 abitanti del Karabakh – dal 2017 ribattezzato Artsakh – superare l’inverno sarà difficile, forse servirà un miracolo. Perché il cibo inizia a scarseggiare, gli ospedali sono a corto di medicine, le scuole e gli uffici pubblici chiusi, privi di riscaldamento. Impossibile fuggire perché i civili – quasi la metà sono anziani e bambini – sono letteralmente bloccati, in trappola. Quello che si sta consumando è solamente l’ultimo atto del conflitto scatenato oltre trent’anni fa dall’Azerbaigian per il possesso di una terra le cui radici armene e cristiane sono autentiche, profonde, inestirpabili. Nel 2020 uno degli scontri più duri di sempre, la Guerra dei 44 giorni: gli azeri fiancheggiati dalla Turchia – Ankara fornì droni e mercenari jihadisti arruolati in Siria – non lasciarono scampo alle deboli e impreparate difese del Nagorno Karabakh. Furono oltre settemila i morti e centomila gli sfollati, vittime che allungarono la drammatica contabilità del conflitto portandola a quasi quarantamila caduti e più di un milione di profughi. L’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre 2020 da Russia, Armenia e Azerbaigian prevedeva, oltre a nuove e dolorose concessioni territoriali a Baku, il dispiegamento di un contingente russo a protezione del Karabakh, oramai ridotto a un terzo dei suoi precedenti confini. Da quasi un mese l’Azerbaigian, infrangendo quel patto, sta tenendo in ostaggio la pacifica enclave armena per completarne, secondo molti osservatori, l’occupazione.

RISCHIO PULIZIA ETNICA. «Gli azeri stanno violando tutte le leggi internazionali nate per proteggere i civili nelle zone di guerra» denunciano i Difensori dei Diritti umani di Armenia e Karabakh. Secondo le informazioni raccolte nel loro ultimo rapporto, le proteste ambientaliste che da settimane stanno impedendo il transito a Lachin sarebbero in realtà «inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo dell’Azerbaigian o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del presidente Aliyev». Provocatori, insomma, tra cui «numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri e simpatizzanti dei Lupi grigi, formazione terroristica dell’estrema destra turca». E non si tratterebbe di un fatto isolato, ma «di una vera e propria strategia per provocare la fuga della popolazione armena e lo spopolamento del Paese». Il dossier documenta «gli attacchi alle infrastrutture civili, l’interruzione sistematica di gasdotti e acquedotti, le incursioni nei villaggi pacifici per mettere in ginocchio l’agricoltura e l’economia, le campagne di propaganda e disinformazione per terrorizzare gli abitanti». Infine il drammatico allarme: «È in corso un’autentica pulizia etnica, il mondo deve intervenire».

LE AMBIGUITÀ DELLA RUSSIA. Neppure la forza di interposizione russa è riuscita fino ad ora a rompere l’isolamento dell’enclave armena. «Non ha fatto nulla per impedire il blocco, è stata complice degli azeri e dei turchi» accusa con fermezza Karen Ohanjanyan, attivista e fondatore del locale Comitato Helsinki 92, organizzazione non governativa per i diritti umani. «Mosca si è voltata dall’altra parte tradendo perfino il Trattato di sicurezza con Yerevan e alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica: perché non è intervenuta quando l’Azerbaigian ha più volte attaccato l’Armenia negli ultimi due anni?» domanda Ohanjanyan dal suo ufficio a Stepanakert, la capitale della Repubblica de facto. Spera di ottenere maggiori attenzioni da Putin il nuovo premier del Nagorno Karabakh Ruben Vardanyan, noto filantropo e oligarca russo (con cittadinanza armena) di cui sono altrettanto noti gli ottimi rapporti con l’entourage del Cremlino. «L’Azerbaigian non è interessato ad offrire alcuna protezione al nostro popolo» ha dichiarato senza troppi giri di parole. Laconica la risposta incassata dal portavoce russo Dmitry Peskov: «Sono preoccupato per l’interruzione dell’unica strada tra il Karabakh separatista e l’Armenia. E spero i colloqui tra le due parti proseguano». Un legame certamente opaco quello tra Mosca e Yerevan. Perché la Russia – dal 1995 in Armenia con un consistente presidio militare – è da sempre uno dei principali fornitori di armi dell’Azerbaigian, il nemico insomma. E fino a marzo 2023 fornirà a Baku pure un miliardo di metri cubi di gas, risorsa che in Azerbaigian abbonda essendo la sua principale fonte di ricchezza. Ma di cui ora ha grande bisogno per esaudire le maggiori forniture promesse all’Europa, con buona pace delle sanzioni a Mosca per aver invaso l’Ucraina.

L’APPELLO AL MONDO. L’Armenia ha le mani legate dopo la sconfitta del 2020. E il suo premier Nikol Pashinyan sa perfettamente di essere in un vicolo cieco. È immobilizzato in primis dall’ingombrante alleato russo che, impantanato militarmente sul suolo ucraino, certo non lo soccorrerà per evitare un nuovo fronte nel Caucaso; intimorito dalla Turchia armenofoba di Erdogan intenzionata a portare a termine il genocidio iniziato un secolo fa dall’Impero Ottomano, ecatombe che inghiottì un milione e mezzo di armeni; attaccato sul campo dall’Azerbaigian di Aliyev, famiglia al potere da oltre trent’anni, intoccabile per i suoi grassi affari con l’Europa affamata di gas; indebolito dalle proteste popolari in cui serpeggia il malessere della débâcle bellica e diplomatica, certo, ma non meno il peso della crisi sociale ed economica in cui da tempo è precipitato il Paese. I ministri degli Esteri di Armenia e Nagorno Karabakh hanno ammonito con chiarezza la comunità internazionale: «L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi». Ne ha discusso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 20 dicembre. E l’indomani – dopo il decesso di uomo rimasto senza cure a causa dei confini bloccati – la Corte europea dei Diritti umani ha intimato all’Azerbaigian di consentire l’evacuazione dei pazienti più gravi, permettendo alla Croce Rossa Internazionale di mettere in salvo un neonato e consegnare un convoglio di aiuti umanitari. Ma il giorno di Natale è stato l’intero Karabakh a scendere in piazza per appellarsi al mondo. Erano quasi ottantamila, hanno marciato pacificamente a Stepanakert chiedendo la rimozione dell’assedio che giorno dopo giorno li sta inesorabilmente soffocando. «Siamo le nostre montagne!» hanno gridato scandendo il nome del monumento all’ingresso della capitale diventato il simbolo di questo popolo fiero e coraggioso. Montagne aspre, intrise di storia, memoria e dolore: il Caucaso degli armeni che ancora una volta implorano aiuto.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]