Una Rivoluzione Colorata in un bicchier d’acqua (Comedonchisciotte25.05.18)
Il concetto di successo cambia con l’età. Quando si è giovani, ma non abbastanza maturi, ci si può impegnare in ogni sorta di ridicola impresa. Dopo, quando non si è più tanto giovani, una passeggiatina fruttifera fino alla latrina è già più che sufficiente per brindare al successo. La stessa cosa succede agli imperi che invecchiano. In gioventù distruggono nazioni grandi ed importanti, ma poi le aiutano nella ricostruzione. In seguito, si limitano solo a distruggerle. Alla fine, tentano di abbattere nazioni piccole e deboli e non riescono a fare neanche quello. Dopodichè questi fallimenti diventano troppo insignificanti per essere notati. Avete fatto caso a che cosa è appena successo in Armenia? Esattamente.
Casomai non lo sapeste, gli Armeni sono una delle popolazioni più antiche della Terra. La nazione conosciuta come Armenia esisteva già nel 9.000 A.C. con il nome di Regno di Urartu, ed è arrivata fino ai giorni nostri, anche se la maggior parte degli Armeni attualmente costituisce una diaspora, come gli Ebrei. Fino agli anni ’90 l’Armenia aveva fatto parte dell’URSS, traendone grossi vantaggi, ma, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la situazione era diventata stagnante. Praticamente tutte le industrie costruite in Armenia dai Sovietici avevano chiuso e i tecnici che vi lavoravano erano espatriati, alla ricerca di pascoli più verdi. L’Armenia si era deindustrializzata ed era diventata prevalentemente agricola, con un’economia incentrata su prodotti come albicocche, vino, liquori, con in più un po’ di turismo.
Le difficoltà dell’Armenia derivano da alcuni problemi connessi alla sua collocazione geografica. L’Armenia non ha accessi al mare, ed è tagliata fuori dalle rotte commerciali più importanti. Confina con nazioni che sono o inutili o ostili: la Georgia è più o meno ostile ed anche inutile dal punto di vista economico; la Turchia è utile ma ostile; stessa cosa per l’Azerbaigian (abitato da Turchi azeri); l’Iran è inutile (e al nord è anche popolato da Turchi azeri). Aggiungeteci una regione contesa fra Armenia ed Azerbaigian (il Nagorno-Karabakh), abitata da Armeni ma reclamata dall’Azerbaigian, che necessita della presenza di truppe di pace russe per il mantenimento dello status quo ed avrete la ricetta per un limbo politico ed economico.
La situazione in Armenia sembrava abbastanza triste, ma poi era entrata a far parte dell’Unione Economica Eurosiatica [EAEU], una zona di libero scambio che comprende la Russia ed altre repubbliche ex-sovietiche. Essa garantisce un’ampia zona di libera circolazione di capitali, merci e forza lavoro, e ci sono progetti per un’integrazione anche delle forze di sicurezza. Grazie sopratutto al suo inserimento nell’EAEU, l’anno scorso, l’economia armena ha fatto un balzo del 7,5% e i signori di Washigton, DC e di Langley, VA si sono seduti e ne hanno preso nota. L’establishment americano considera questi successi economici “russocentrici” abbastanza preoccupanti. Era giunto il momento di rimettere in riga l’Armenia.
A dare una mano a questa operazione c’era il fatto che Yerevan, la capitale armena, ospita un’ambasciata americana che è la seconda, come grandezza, del mondo intero, con un folto organico di aizzafolle molto ben addestrati. Aggiungeteci la presenza, tanto per dare una mano, di ONG occidentali, generosamente finanziate da Soros e soci. Tutti questi spingevano, per dirlo senza mezzi termini, verso lo smantellamento dell’Armenia e la sua trasformazione nell’ennesimo territorio anonimo, governato alla perfezione dai burocrati e dai banchieri internazionali. In particolare, facevano pressioni per una riforma costituzionale, che consentisse il passaggio da repubblica presidenziale a repubblica parlamentare (una mossa stupida per una nazione in perenne stato di semibelligeranza a causa di vicini ostili e territori contestati).
Aggiungeteci il fatto che l’Armenia è un po’ rimbambita. E’ la sventura delle nazioni in diaspora, che il paese di origine rimanga alla fine ben rifornito di cretini. Prendete una popolazione di ratti. (Attenzione, non sto paragonando gli Armeni ai ratti, sto paragonando l’Armenia ad un esperimento di laboratorio). Lasciamo che tutti i ratti abbastanza svegli da attraversare un labirinto (o, nel caso degli Armeni, da imparare una lingua straniera, ottenere un passaporto, un visto e trovarsi un lavoro all’estero) possano andarsene e, qualche generazione dopo, i ratti rimasti saranno, per lo più, quelli rincoglioniti.
E così, il Sindacato Rivoluzioni Colorate si era messo all’opera. Dopo alcuni giorni di proteste di piazza che avevano paralizzato la capitale, il parlamento era stato intimidito a sufficienza per eleggere alla carica di Primo Ministro un certo Nikol Pashinian, un parlamentare con alle spalle un partito che i sondaggi davano al di sotto del 10%. La mossa era stata favorita dal fatto che l’ex Primo Ministro era abbastanza inetto e, in ogni caso, non sembrava trovarsi molto a suo agio con il proprio lavoro. Il Primo Ministro di nuova nomina era considerato un riformista filo-occidentale.
Fino ad ora pensavo che il Sindacato Rivoluzioni Colorate fosse praticamente defunto. In effetti, tutte le nazioni principali hanno sviluppato un’immunità nei suoi confronti. La sua ultima vittima è stata l’Ucraina, che sta ancora attraversando le varie fasi del collasso. La Russia ora è chiaramente immunizzata. Il campione dell’Occidente, Alexei Navalny, che aveva seguito i corsi di Tecnologia Politica delle Rivoluzioni Colorate a Yale e che avrebbe dovuto rovesciare Putin con l’aiuto di una grande folla di adolescenti idioti, è diventato adesso il pifferaio magico del Kremlino che ripulisce le città dagli adolescenti idioti. L’Ungheria ha appena bandito Soros e tutti quelli che navigano con lui. Ma i Rivoluzionari Colorati non ne vogliono sapere di ritornare nel dimenticatoio. Dopo tutto, hanno ancora dei soldi da spendere per destabilizzare i regimi che vanno a braccetto con Mosca o che non vogliono collaborare con Washington. E così hanno deciso di scegliere un bersaglio piccolo e facile: l’Armenia.
Ma anche in Armenia le cose non sono andate esattamente come previsto. I pianificatori della Rivoluzione Colorata non hanno preso in considerazione certi parametri dell’equazione politica armena. Primo, l’Armenia ha un sacco di rimesse dagli Armeni che vivono e lavorano in Russia. Secondo, circa la metà della popolazione armena è, per dirlo in modo politicamente scorretto ma accurato, russa: parla il russo, è culturalmente affine alla Russia ed è una nazione che fa parte di quella grande famiglia di oltre 100 nazioni che si autodefiniscono russe. Terzo, Nikol Pashinyan è un tipo volubile. Aveva iniziato come nazionalista, poi era diventato filo-occidentale, e domani sarà quello che dovrà essere in base alla direzione che prenderà il vento. Ha carisma, ma è praticamente un peso-piuma: uno che ha abbandonato gli studi universitari, senza esperienza di governo o di affari, ma con istinti opportunistici da vendere.
La natura malleabile di Pashinyan era diventata evidente quando si era candidato [a Primo Ministro] davanti al parlamento armeno. All’inizio, la sua piattaforma politica non era stata un granchè, solo qualche vaga affermazione filo-occidentale. Dopo aver capito che così non avrebbe funzionato, aveva cambiato marcia ed era diventato decisamente filo-russo. Per stare sul sicuro, dopo aver assunto la carica di Primo Ministro, il suo primo incontro come capo di stato era stato con Vladimir Putin, e tutte le sue dichiarazioni pubbliche avevano riguardato i legami fra le grandi e non così grandi nazioni di Russia e Armenia. Aveva partecipato al summit dell’EAEU di Sochi, facendo un po’ la figura del novellino in mezzo a tutti quei politici stagionati, ma ricevendo rassicuranti pacche sulle spalle dai notabili euroasiatici. Il messaggio di fondo sembrava essere: non fare casino e ti terrai il 7,5% di crescita annuale del PIL e farai la figura dell’eroe.
Così, che cosa hanno ottenuto Washington, Langley, Soros e il resto del Sindacato Rivoluzioni Colorate in cambio degli sforzi e delle decine, e forse centinaia, di milioni di dollari spesi per cercare di trasformare l’Armenia in una nazione vassalla dell’Occidente o, in alternativa, in uno stato fallito? Sono quasi sicuro che anche loro non saprebbero rispondere a questa domanda. I brillanti geopolitici occidentali avevano guardato una carta geografica e, vedendo una piccola, debole e vulnerabile nazione, strategicamente incuneata fra Russia ed Iran, avevano pensato: “Dovremmo andare ad occuparcene”. E così hanno fatto. Ma, guardando ai risultati, avrebbero potuto benissimo starsene a casa, farsi una passeggiatina fruttifera fino al cesso e celebrare la vittoria.