Un messaggio di Dio agli armeni e al mondo che li ha scaricati (Tempi 01.11.24)
Non voglio spegnere fiammelle di speranza. Ci pensano da sole a estinguersi (qui da noi in Armenia, specie sui confini orientali, da cui passava l’aspra e dolce via della seta caucasica, lasciandosi alle spalle il lago di Sevan dai cui bordi vi scrivo, fratelli Italiani).
Ce n’è una che però appena si smorza, eccola ravvivarsi e si ostina a scottarmi le dita. La guardo, e provo ad illudermi. La Cop 29, cioè la XXIX Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico quest’anno si tiene dall’11 al 22 novembre, a Baku. Cosa ne penso? Che è uno schifo. È il premio che i Paesi occidentali porgono all’Azerbajgian mentre l’autocrate Ilham Aliyev agita lo scalpo del popolo Armeno e Cristiano cacciato dal nostro caro Artsakh/Nagorno-Karabach con una guerra di conquista in due tempi. Dapprima l’aggressione del settembre-novembre 2020, condotta con droni, missili e scimitarre dei pasdaran al soldo turco (duemila Armeni caduti in battaglia o liquidati a sangue freddo); quindi l’assalto definitivo con un blitz sanguinario il 19 settembre dello scorso anno e la cacciata da case, chiese e abbazie, vigne e tombe, dei 102mila Armeni, dopo che l’assedio di nove mesi, con complicità russa e silenzio europeo, aveva stremato per fame Stepanakert e i villaggi della regione.
Un voto mafioso di scambio. Questo è il mercimonio silenzioso che è intercorso anche in questi ultimi mesi tra Occidente e il duo Azerbajgian-Turchia. La conferma della Cop 29 a Baku dà enorme prestigio e mette in vetrina davanti al mondo la potenza economica e politica di Baku vassalla di Ankara.
Dapprima nel 2020, l’assenso alla prevaricazione azera contro l’enclave armena in Azerbaijan, fu un omaggio ai disegni di ricostituzione dell’Impero ottomano da parte della Turchia con il suo docile vassallo azero. Gas in cambio di silenzio accomodante e pieno di comprensione per la prosecuzione del genocidio contro gli Armeni.
Oh buon Signore, non riesco proprio a ingoiare queste ingiustizie, soprattutto insistite da parte della mia amatissima Italia. I due dittatori ottomani, il citato Azero, della dinastia brezneviana e cechista degli Aliyev, e il Turco Recep Tayyip Erdoğan, il quale – come ho documentato il mese scorso [QUI] – si è impunemente vantato di aver invaso con le sue truppe “il Nagorno”.
E quale sarebbe allora la speranza? La pressione americana su Baku perché accetti una pace che non metta più in discussione l’esistenza stessa dell’Armenia, come continuamente minacciato da documenti storici fasulli e dalla propaganda filo-turca. Un triste trattato di pace sarebbe. In quanto riconosce definitivamente come parte della Repubblica dell’Azerbajgian il nostro Artsakh. Ma lascia margini per una trattativa per il reingresso con garanzie di autonomia degli Armeni nella loro terra oggi occupata, magari in cambio di una via di comunicazione diretta tra Azerbajgian e Turchia, attraverso l’Armenia e il Nakhichevan, l’enclave azera nel nostro territorio.
Una presenza profetico in Libano
Quante cose vorrei dirvi sul Nakhichevan, e sull’estirpazione delle croci dalle tombe, la dispersione dei resti dei nostri cari, con un atto di disumanità che la dice lunga – tremo e temo – sul destino delle memorie cristiane e sui nostri monasteri e cimiteri in Artsakh (umanità viene, secondo l’etimologia proposta da Giovan Battista Vico, dal latino inhumare, seppellire, atto di pietà supremo anche tra nemici).
Fiammella flebile, flebilissima. Speranza mescolata a consapevolezza del nostro essere stati scaricati dai fratelli un tempo Cristiani nella pattumiera della storia, con un nuovo ordine mondiale che assegna il Caucaso meridionale e la sua anomalia Cristiana alla resa dei conti ottomana. Nulla sorride nel mondo alla nostra sorte.
C’è un’altra comunità armena, storicamente e culturalmente e profeticamente importantissima nel mondo: ed è quella che abita gloriosamente il Libano. La guerra, che mentre scrivo è in corso, mette in questione l’esistenza del Paese dei Cedri, che il vostro Papa San Giovanni Paolo II eresse a messaggio reale ed emblematico di una convivenza tra i figli di Abramo. Non tolleranti tra loro, ma capaci di riconoscimento fraterno, collaborando al governo della Nazione divisa in tre nazioni, anzi – se le contiamo tutte – in dodici nazioni. Tra esse quella Armena, e in particolare Armeno Cattolica.
L’ordine mondiale che cosa prevede per il Libano? Aspettiamo le elezioni americane, dicono tutti. Esse ci saranno quando questa mia lettera sarà già nelle vostre mani. Il Libano sarà una dependance ebraico-americana, magari con propaggini verso la Siria? La pace può mai essere – come scrisse Tacito – un deserto, dove conta solo sopravvivere, e al diavolo fede speranza e carità? Certo, Hezbollah è egemonico tra gli sciiti, e vuole la distruzione di Israele, ha spedito mille tra razzi e missili verso Haifa e Tel Aviv tra l’8 ottobre 2023 e il 7 ottobre 2024. Ovvio che lo Stato di Israele abbia il diritto di difendersi e soffocare future minacce esistenziali, ma la devastazione sistematica dei villaggi Cristiani nel Sud del Libano (di cui nessuno parla) da parte delle truppe davidiche non ha giustificazione.
Fiori e benedizioni
Eppure spero nel miracolo: non delle strategie furbe dei potenti, ma della preghiera. Quella di noi poveri cristi mendicanti, e soprattutto quella in cielo dei nostri santi.
C’è un messaggio che Dio manda agli Armeni e al mondo proprio dal Libano. Vi chiedo di coglierlo nei segni straordinari che hanno accompagnato l’apertura della causa di beatificazione del Cardinale Agagianian. Quando ho visto l’immagine sono piombato, meschino come sono, in ginocchio: dimostra trent’anni e ne aveva 76 alla morte nel 1971 quel corpo incredibilmente intatto (davvero!) quando è stato aperto il sepolcro.
Il Servo di Dio Krikor Bedros Agagianian, già XV Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, è stato quindi traslato dalla chiesa armena di San Nicola da Tolentino in Roma alla cattedrale Cattolica Armena di Beirut, dedicata ai Santi Elia e Gregorio Illuminatore. C’è stata una cerimonia di unità nazionale e di dialogo interreligioso in piazza dei Martiri, qualcosa che nel caos degli ultimi anni è parso sorprendente. Il feretro è stato accompagnato alla tumulazione da fiori e benedizioni, portato a spalla da dodici rappresentanti delle dodici confessioni religiose. Fiammella non spegnerti (Di Krikor Bedros, cioè Gregorio Pietro, Agagianian racconterò prossimamente).
Il Molokano
Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di Tempi di novembre 2024 e sulla edizione online Tempi.it [QUI].
La traslazione del Servo di Dio Agagianian
da Roma a Beirut
Il 12 settembre 2024, al termine del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica, è avvenuta la traslazione dalla chiesa di San Nicola da Tolentino adiacente al Pontificio Collegio Armeno, nel cuore di Roma, a pochi passi dal palazzo del Dicastero di Propaganda Fide che guidò dal 1960 al 1970 come Prefetto, a Beirut delle spoglie mortali del Servo di Dio Cardinale Gregorio Pietro (Krikor Bedros) Agagianian, XV Patriarca di Cilicia degli Armeni, figura di spicco della Chiesa armena e simbolo della cultura libanese, morto a Roma nel 1971 in odoro di santità.
Il volo proveniente da Roma che trasportava i resti mortali del Servo di Dio Agagianian è stato accolto all’aeroporto internazionale di Beirut da Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, dal Primo ministro Najīb Mīqātī e dalle massime personalità religiose e politiche.
Poi, il feretro nell’urna trasparente portato a spalla da dodici rappresentanti delle dodici confessioni religiose, ha attraversato la città di Beirut, applaudito da migliaia di fedeli che lanciavano petali di rose come al passaggio di un santo, fino alla cattedrale armena dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore, dove è stato sepolto.
La cerimonia in piazza dei Martiri a Beirut è parsa una cosa sorprendente nel caos degli ultimi anni. Il Libano ha reso omaggio con profondo rispetto e devozione al compianto porporato, la cui traslazione rappresenta un momento straordinario e storico non solo per la Chiesa e la comunità armena Cattolica, ma per l’intera nazione libanese.
Ciò che ha reso straordinaria questa traslazione è che il corpo del Servo di Dio Agagianian, oltre mezzo secolo dopo la sua morte, malgrado non sia stato imbalsamato, durante il trasporto in Libano è apparso incorrotto, senza i tipici segni di decomposizione. perfettamente integro, con il suo volto tranquillo e sorridente.
Marco Mancini, giornalista di ACI Stampa ed esperto del Collegio cardinalizio, autore di una biografia di cardinali del XX secolo dal titolo Usque ad sanguinis effusionem: I Cardinali di Santa Romana Chiesa da Pio X a Francesco, ha affermato che “sebbene i corpi di personalità della Chiesa orientale ricevano solitamente una qualche forma di imbalsamazione, è chiaro che lo stato del corpo del cardinale non può essere definito meno che eccezionale, se non soprannaturale. E questo ha commosso le migliaia di fedeli Armeni che hanno visto il suo corpo in Libano”. Mancini ha aggiunto che la “fama di santità del cardinale era già nota nella Curia romana, tanto che è aperto un solido processo di beatificazione”.