Un dolce profumo tra l’Armenia e il Salento (Cosmopolismedia 04.08.16)
Furono i Romani, però, a portarla nel Mediterraneo verso la prima metà del I secolo a.C.; ne fa menzione Dioscoride con il nome di armeniakòn mìlon e afferma che i latini lo chiamassero praikòkion come confermato anche da Plinio che lo chiama praecocium a causa della precocità della sua fioritura. La sua diffusione, però, venne consolidata, in particolar modo, dagli arabi attorno al X secolo d.C. e dal loro epiteto di al-barquq deriva praticamente tutta le denominazione negli stati europei, mentre l’epiteto “armeniaco” si è conservato solo in alcune rare denominazioni italiane come “pesco armeniaco”
di Antonio Caso
L’albicocco è originario della parte nordorientale della Cina, al confine con la Russia e la sua presenza storica è attestata a più di 4000 anni fa. Da questa zona del paese del dragone si estese lentamente verso Occidente attraverso tutta l’Asia centrale fino a gungere in Armenia dove, si dice, fu scoperta da Alessandro Magno nel corso della sua campagna militare. Furono i Romani, però, a portarla nel Mediterraneo verso la prima metà del I secolo a.C.; ne fa menzione Dioscoride con il nome di armeniakòn mìlon e afferma che i latini lo chiamassero praikòkion come confermato anche da Plinio che lo chiama praecocium a causa della precocità della sua fioritura. La sua diffusione, però, venne consolidata, in particolar modo, dagli arabi attorno al X secolo d.C. e dal loro epiteto di al-barquq deriva praticamente tutta le denominazione negli stati europei, mentre l’epiteto “armeniaco” si è conservato solo in alcune rare denominazioni italiane come “pesco armeniaco”. Pare, inoltre, che gli Arabi lo usassero anche per curare il mal d’orecchi. A partire dal XV secolo, la produzione di questa pianta è cresciuta sino ai giorni nostri dove viene coltivata in numerosi paesi dell’area euroasiatica, ma anche negli Stati Uniti e in Australia. La tradizione è rimasta, per, solidissima, soprattutto in Armenia dove se ne coltivano, attualmente, circa 50 varietà. Pare, inoltre, che il terreno di origine vulcanica ed il clima mite del paese euroasiatico conferiscano alle albicocche una straordinaria dolcezza. Un’antica tradizione armena, peraltro, è quella della lavorazione del legno di albicocco, utilizzato per realizzare oggetti intagliati come il duduk, un flauto tradizionale. Racconta una leggenda che quando l’Armenia vene invasa l’albicocco non era altro che una pianta ornamentale con splendidi fiori bianchi, ma che non producesse alcun frutto. Quando fu ordinato di abbattere tutti gli alberi improduttivi per ottenerne legname, una fanciulla, particolarmente legata ad un albero, pianse tutta la notte ed al suo risveglio vide sulla chioma dei frutti dorati: le albicocche. Nella tradizione popolare inglese, invece, sognare l’albicocca pare porti fortuna, mentre altrove è simbolo della timidezza in amore.
Ne esiste anche una variante nera (che sostituisce il classico colore tra il dorato e l’arancione), l’albicoccanera cinese, un ibrido naturale per metà albicocca, un quarto susina ed un quarto ciliegia Oltre alle albicocche fresche, una grande tradizione dell’area mediorientale e centroasiatica è quella dell’essicazione, in particolare in Armenia, Iran, Egitto, Algeria e Siria dove si produce anche una pasta che si riduce poi, distesa su tele, in fogli. Oltre al frutto, vengono utilizzati anche i semi, noti come mandorle amare (o armelline) come ingredienti in sciroppi ed amaretti in quantità molto limitate dato che contengono un derivato dell’acido cianidrico e in dosi maggiori risulterebbero tossiche. Celebre è anche l’impiego della marmellata di albicocche per la farcitura della torta Sacher, regina della tradizione dolciaria viennese. Le albicocche fresche sono una grande fonte di betacarotene e di vitamina C, mentre quelle secche eccellono anche per fibre e ferro. In Puglia esiste una varietà autoctona di albicocca coltivata nel Salento: l’albicocca di Galatone. A pochi passi dalla costa jonica si trova, infatti, Galatone, fino al primo dopoguerra importante centro agricolo e commerciale del territorio salentino, ma che, a seguito dell’industrializzazione dell’agricoltura e dell’allargamento del mercato ortofrutticolo ha visto progressivamente declinare la coltivazione delle sue varietà autoctone per far spazio ai più redditizi vigneti e uliveti. Malgrado questo, però, l’albicocca di Galatone (in dialetto “arnacocchia”) non è affatto scomparse. Si tratta di una variante precoce di dimensioni pari ad una noce con screziature scure vicino al peduncolo che, secondo una bella consuetudine locale, sarebbero state dipinte da San Luca. Il profumo è particolarmente intenso e la polpa dolce e piuttosto morbida, il che la rende svantaggiata rispetto all’albicocca industriale per la difficoltà del trasporto. Mentre le varietà più utilizzate attualmente hanno una vita produttiva di circa 8 anni, però, la varietà di Galatone fruttifica anche ben oltre i 50, di solito nella prima metà di giugno.
Esiste ancora, ad esempio, nella campagna della zona un albero di circa 80 anni che continua, ogni anno, a presentarsi a giugno con i rami piegati dal carico di frutti. Secondo i contadini questa longevità è dovuta, inoltre, alla pratica di innestare le albicocche su un mandorlo amaro anziché su un franco o un susino. Si tratta di un frutto, peraltro, dalla storia molto affascinante: secondo una leggenda, infatti, fu introdotto tra Lecce ed Otranto dai Templari insediatisi in epoca medievale di ritorno dall’Oriente. L’albicocca è ora presidio Slow Food grazie al lavoro svolto dall’imprenditore agricolo Luciano Erroi. Slow Food ha riunito, quindi, diversi coltivatori che gestiscono le ultime cinquanta piante per cercare di ricreare almeno in parte quella piccola economica caratteristica che fino agli anni ’50 aveva contraddistinto Galatone. Grazie alla sua dolcezza e morbidezza, ad esempio, l’albicocca di Galatone è perfetta per la produzione di confetture e marmellate. Una storia, quella dell’albicocca che ci riporta a quel contesto euroasiatico che dalle coste adriatiche si dipana verso l’Egeo di cui la nostra terra è sempre stata punto di approdo e di partenza. Uno scambio di venti e mareggiate che porta con sé le lingue albanesi ed elleniche, le influenze ortodosse e profumi intensi armeni e persiani come quello dell’albicocca di Galatone.