UN APPELLO PER RUBEN VARDANYAN (Gariwo 18.07.24)
Lo scambio di prigionieri segue una prassi che non è regolamentata a livello internazionale. Domina la convenienza del momento, il tornaconto dei paesi che realizzano lo scambio e per lo più i governi che tengono conto del grado di coinvolgimento dei soggetti detenuti nelle istituzioni degli Stati di provenienza. L’Azerbaigian, paese vincitore nel conflitto secolare con l’Armenia per l’area dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), detiene in carcere dal 27 settembre 2023, assieme ad altri militari ed esponenti politici, Ruben Vardanyan, ministro dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, sconfitta, assoggettata, svuotata della presenza armena. Il presidente Aliyev, in merito all’arresto avvenuto alla distanza di una settimana dall’accordo di capitolazione, ebbe a dichiarare che si trattava di “membri del regime criminale che vanno portati davanti alla giustizia”. Vardanyan è stato accusato dalle autorità azere di “finanziamento del terrorismo, creazione di formazioni armate illegali e attraversamento illegale di un confine di Stato”.
Ho incontrato personalmente Ruben Vardanyan in due occasioni: la prima l’11 ottobre del 2014 a Dilijian, in Armenia, quando è stato inaugurato l’UWC Dilijan College da lui fondato assieme alla moglie Veronika Zonabend, un collegio internazionale per l’educazione di giovani di talento, chiamati ad assumersi delle responsabilità per contribuire a migliorare lo status del mondo. È il quattordicesimo della catena dei Collegi del Mondo Unito, United World Colleges, che si caratterizzano, in particolare, per la proposta di migliorare la condizione educativa della regione in cui sorgono attraverso contatti con la dimensione sociale del luogo e costituiscono un esempio di dialogo interculturale che predispone alla risoluzione dei conflitti e alla costruzione della pace, assumendo uno sguardo che dalla realtà locale si allarga al mondo. Una scuola internazionale che, a partire dal primo lancio della proposta nel 2006, ha avuto centinaia di sostenitori. Oggi sono circa 200 gli studenti che la frequentano; arrivano da ogni ogni parte del mondo e hanno un’età compresa tra i 16 e i 18 anni. Va ricordato il fatto che nel febbraio di quest’anno il parlamentare norvegese Alfred Bjørno ha proposto di inserire l’United World Colleges nell’elenco dei destinatari del premio Nobel per la Pace. Studenti provenienti anche da paesi in guerra tra di loro, vivono insieme e condividono il cammino di formazione. Accade così anche ad Arezzo dove Rondine Cittadella della Pace, forma giovani capaci di “vedere la persona nel volto del nemico” , e in Israele a Neve Shalom-Wahat al Salam.
L’incontro con Ruben Vardanyan è stato per me l’occasione di conoscere una persona comunicativa, aperta, carica di entusiasmo e di determinazione, e vogliosa di migliorare il futuro dell’Armenia attraverso l’educazione dei giovani. La sua idea di fondo è di unire popoli, nazioni, culture per la pace. Aveva accolto con favore la mia proposta di far conoscere agli studenti del College di Dilijan l’esperienza della Fondazione Gariwo, presente a Gyumri, la seconda città dell’Armenia dove, il 6 giugno del 2012, avevamo inaugurato con il supporto del console italiano in Armenia, Antonio Montalto, il Giardino dei Giusti dell’Umanità, dedicando un cippo e un albero a Hrant Dink.
La seconda volta che ci siamo incontrati è stata il 9 ottobre 2021 quando mi ha invitato a Venezia, nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni, dove si svolgeva l’annuale meeting dell’Aurora Prize Avekening Humanity, iniziativa voluta da Ruben Vardanyan, Vartan Gregorian e Noubar Afeyan. Dal 2016 ogni anno viene assegnato, a nome dei sopravvissuti del genocidio degli armeni e in segno di gratitudine verso i loro salvatori (progetto “100 lives”), un milione di dollari a persone che si impegnano quotidianamente per salvare vite umane, dare un futuro ai sopravvissuti di conflitti, guerre, violenze, povertà e soprattutto diffondere nel mondo, con una sorta di staffetta tra operatori e testimoni, il valore dell’impegno umanitario che si traduce nella “globalizzazione del bene”. È stata l’occasione per cercare di consolidare i rapporti con Gariwo, sottolineando l’idealità che ci unisce e progettando l’avvio di una collaborazione dopo l’interruzione forzata dovuta alla pandemia del Covid. Quest’anno la cerimonia dell’Aurora Prize si è svolta a Los Angeles, assente purtroppo il fondatore Ruben Vardanyan che si trova in carcere a Baku. Noubar Afeyan, co-fondatore e presidente del Consiglio Direttivo del Premio, lo ha ricordato commosso parlando di lui come “cuore e anima” dell’iniziativa. Tra i premiati troviamo il dottor Denis Mukwege del Congo, premio Nobel per la Pace nel 2018, onorato su proposta di Gariwo nel 2019 al Giardino dei Giusti del Monte Stella di Milano.
Ruben Vardanyan, armeno, si è formato a Mosca e all’estero. Già capo del Consiglio di sicurezza russo e consigliere di Vladimir Putin, ha scelto dal novembre del 2022 l’impegno politico nel governo dell’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh. Ha avuto l’incarico di Primo Ministro, rinunciando al passaporto russo. Vardanyan aveva acquisito la cittadinanza armena nel giugno 2021, dichiarando di avere deciso di tornare in Armenia dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh. In passato non aveva mai preso in considerazione l’azione politica. Il suo incarico di governo è durato pochi mesi, visto che è stato poi costretto a dimettersi per trattative complesse e non ben decifrabili con il governo azero. Con una operazione ricattatoria il presidente azero prometteva, in cambio delle sue dimissioni, di sospendere il blocco dei rifornimenti nel corridoio di Lachin. Dal 12 dicembre 2022, infatti, un presidio azero aveva bloccato, sull’unica via che dal territorio armeno conduce in Karabakh, il passaggio di generi alimentari, materiale sanitario e medicine, rifornimenti energetici e transito di persone addette ai servizi. Come abbandonare il campo in questa situazione in cui la morsa di Baku sulla popolazione armena del Nagorno Karabakh si faceva sempre più stringente? Quando iniziava un “genocidio bianco” da carestia provocata?
Vardanyan ha continuato a lavorare in Artsakh, scegliendo di condividere con i connazionali armeni la crisi umanitaria creata dal blocco dei rifornimenti da parte azera, ma il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha deciso di lanciare un attacco violento sul territorio del Karabakh, dando il via ad una operazione definita di “antiterrorismo”. La popolazione non ha via d’uscita: l’unica salvezza è la fuga in Armenia. Inizia così l’esodo biblico di donne, anziani, bambini, e lunghe carovane di profughi con le loro povere masserizie si snodano sulla strada che conduce in Armenia attraverso il corridoio di Lachin, ora riaperto, ma in un’unica direzione. Pulizia etnica, crimine di guerra, crimine contro l’umanità? In pochi giorni più di centomila cittadini del Karabakh di etnia armena raggiungono l’Armenia. Non più di dieci accettano di rimanere, e sono costretti a diventare cittadini azeri. Il 27 settembre anche Ruben Vardanyan cerca di attraversare il corridoio di Lachin, ma viene arrestato. Il 28 settembre del 2023 l’Autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh cessa di esistere.
Ruben Vardanyan è nato nel 1968 a Yerevan, in Armenia. Il nonno era un orfano sopravvissuto al genocidio del 1915 nell’area di Van, allora Impero Ottomano, salvato da una organizzazione americana. Nel 1985 si è diplomato a Yerevan e si è poi iscritto alla Facoltà di Economia dell’Università Statale di Mosca, laureandosi con lode nel 1992. Si è formato facendo esperienza alla Cassa di Risparmio di Torino, alla Merrill Lynch a New York, all’INSEAD (Fontainebleau, Francia), all’Harvard Business School, alla Yale University e alla Stanford GSB. Si è dedicato all’attività commerciale e finanziaria che si è dispiegata tra Mosca, Londra e New York, raggiungendo grandi risultati, senza mai dimenticare, tuttavia, le sue origini armene. Alle molteplici attività di investimenti finanziari, Vardanyan ha affiancato atti di mecenatismo e filantropia garantendo il sostegno a musei, orchestre, scuole, istituti di formazione universitaria e di ricerca scientifica in Russia, in Armenia, in Georgia e in varie aree del mondo, dal Brasile alla Cina, al Giappone. È stato incluso nella lista dei cento leader mondiali del futuro. La sua fondazione, “IDeA”, ha lanciato e realizzato il progetto per il restauro del monastero di Tatev in Armenia e per la funivia ad unica campata, per i restauri di chiese in Georgia e a Mosca, di moschee nel Nagorno Karabakh. Grazie al suo supporto e con la collaborazione di altre personalità armene, è nata nel 2016 la “Fondazione per la scienza e la tecnologia armena”.
Vardanyan è sposato con Veronika Zonabend, co-fondatrice del UWC Dilijan College. Ricopre anche un incarico all’Università Americana di Yerevan ed è a capo del comitato esecutivo della “Teach For Armenia Educational Foundation”. La sorella maggiore di Vardanyan, Marine Ales, è una compositrice e cantautrice, membro dell’”Aurora Prize Creative Council” e co-fondatrice del fondo di beneficenza “Grant Life Armenia”.
Numerosissimi i premi e i riconoscimenti ricevuti in patria e all’estero. Si ricorda in particolare il “Search for Common Ground”, ricevuto assieme al co-fondatore dell’iniziativa umanitaria Aurora Prize, Noubar Afeyan, un premio per onorare i risultati ottenuti nella risoluzione dei conflitti, nella diplomazia, nella costruzione di comunità di pace. Ad un certo punto del suo cammino l’impegno politico è nato dal desiderio di stare con il suo paese nel momento in cui si profilava il disastro. “Oggi la gente dell’Artsakh si trova in uno stato molto difficile, non ha fiducia nel futuro. Gli abitanti della repubblica, sopravvissuti a due guerre si sentono abbandonati”, ha dichiarato.
Il 27 settembre 2023, la moglie di Vardanyan, Veronika Zonabend, ha detto di avere “perso i contatti”. Vardanyan, prelevato dal Servizio di frontiera azera del corridoio di Lachin, viene portato in carcere a Baku, in manette, assieme ad altri politici con le accuse che abbiamo visto. Se condannato rischia fino a 14 anni di carcere.
Vardanyan ha iniziato in marzo lo sciopero della fame per chiedere un processo rapido, ma la sua famiglia ha riferito che il 25 aprile 2024 aveva sospeso lo sciopero avendo ottenuto in cambio di poter telefonare alla moglie, dato che non gli era più permesso di comunicare all’esterno. Ultimamente la sua detenzione è stata prolungata di molti mesi, mentre suo figlio cerca di sensibilizzare Stati e governi per riuscire a liberarlo. Molte istituzioni internazionali si sono mosse, e hanno chiesto anche la liberazione di altre personalità politiche armene detenute, fra queste tre ex presidenti dell’Artzakh, un consigliere presidenziale, il presidente del parlamento, l’ex comandante dell’esercito e il suo vice. Il Raphael Lemkin Institute, il figlio e la moglie di Vardanyan, molte personalità note fra le quali anche il celebre calciatore dell’Inter Henrik Mkhitaryan hanno inviato al governo azero richieste e petizioni per la sua liberazione.
Un team di avvocati internazionali che lo sostengono ha inviato un appello urgente al Comitato delle Nazioni Unite chiedendo di condannare le torture e i maltrattamenti che il governo azero infligge a Vardanyan e agli altri detenuti. Gli avvocati della difesa sono venuti a conoscenza del fatto che durante lo sciopero della fame, Vardanyan è stato messo in una cella di punizione, privato del sonno, dell’acqua potabile, dei libri e della carta per scrivere; nessuna comunicazione con il mondo esterno era possibile. Un trattamento che viola gli obblighi internazionali riguardo ai prigionieri. L’avvocato Jared Genser ha sottolineato che il governo azero responsabile di una detenzione arbitraria, considera Vardanyan una minaccia. E ha aggiunto: “Se l’Azerbaigian vuole essere preso sul serio sulla scena internazionale – e se vuole che la COP29 sia la ‘COP per la pace’ – allora deve smettere di maltrattare Ruben e rilasciare immediatamente lui e gli altri prigionieri politici del Nagorno-Karabakh”.
“Siamo rimasti scioccati nell’apprendere degli orrori che mio padre ha dovuto sopportare. È terrificante pensare a ciò che viene fatto ad altri prigionieri meno importanti che non hanno ricevuto il sostegno internazionale di cui gode mio padre. Per il bene di tutti gli attuali prigionieri politici in Azerbaigian – siano essi armeni, azeri o di qualsiasi altra nazionalità – questo trattamento disumano dei prigionieri deve essere fermato. Esortiamo le Nazioni Unite a ritenere il governo dell’Azerbaigian responsabile e ad aiutare a proteggere la vita di mio padre”, ha dichiarato il figlio di Vardanyan, David. Numerose organizzazioni per i diritti umani, governi nazionali e organizzazioni internazionali continuano a fare pressione sul governo azero per il rilascio dei prigionieri. Più di recente, il senatore degli Stati Uniti Ed Markey ha chiesto in Senato il rilascio dei prigionieri, condannando i maltrattamenti inflitti a Ruben Vardanyan. Paul Polman, già amministratore delegato di Unilever, noto per la sua organizzazione “Imagine World” nata per combattere la povertà e il cambiamento climatico, insieme al co-fondatore dell’azienda farmaceutica Moderna, Noubar Afeyan, sono tra coloro che si battono attivamente per il rilascio di Vardanyan.
Mettersi al servizio del proprio paese e stare a fianco dei propri connazionali nel momento più tragico della sconfitta del “principio di auodeterminazione dei popoli”, è considerato un crimine solo all’interno della logica amico-nemico, dominante nella nostra contemporaneità, una logica esasperata che ha trascinato il mondo nella “terza guerra mondiale a pezzi”. Ruben Vardanyan ha condiviso la sofferenza di un popolo cacciato da un fazzoletto di terra al quale era aggrappato da millenni. Ha dovuto assistere e ha voluto condividere la resa senza condizioni di un piccolo popolo altro “per etnia, cultura, religione, consegnato a una realtà politica altra”, che lo ha identificato, costruito, indicato come nemico. Con Carl Schmitt possiamo dire che nel conflitto secolare tra azeri e armeni dell’enclave del Karabakh, il binomio amico-nemico è stato utilizzato da parte azera per compattare e solidificare l’identità della nazione potenziando il nazionalismo e per costruire un programma di conquista.
L’armenofobia è stata ed è risorsa per la coesione sociale e forza per realizzare il piano d’azione portato a termine grazie all’intensificazione del riarmo e al sostegno dei fratelli turchi. Sovranismi e nazionalismi possono scatenare e scatenano violenza e distruzione. La politica dell’odio compatta i sudditi indifferenti. Il compito, affidato a ognuno di noi, è trovare gli antidoti alla costruzione del nemico e alla diffusione dell’odio. È necessario recuperare figure di giusti come quella di Akram Aylisli, scrittore azero onorato l’anno scorso al Giardino del Monte Stella di Milano (qui il discorso pronunciato da Pietro Kuciukian in quell’occasione, ndr), autore di un breve racconto, “Sogni di pietra”, in cui esprime il sogno di vedere i due popoli, armeni e azeri, ancora insieme. Quando nel 2016 l’anziano scrittore è stato bloccato dalla polizia azera all’aeroporto di Baku e non ha potuto raggiungere Venezia per la presentazione del libro, ha inviato una lettera che ancora oggi è una pagina da meditare. Scrive Aylisli: “Un’enorme quantità di uomini che nell’anima non hanno nulla, o hanno solo un vuoto malvagio, si nascondono dietro la cosiddetta idea nazionale e diffondono i semi dell’odio tra popoli e nazioni che sino a ieri vivevano pacificamente fianco a fianco. Il nazionalista è tanto più temibile in quanto per sua natura è un ottimista duro di cuore, che rifiuta la comprensione tragica della vita e si oppone pertanto radicalmente alla verità. La sua è una rivolta contro la ragione e l’umanità”.
Gli armeni del Karabakh avevano perso ogni speranza nella possibilità di avere un futuro e Vardanyan, consapevole di rischiare la libertà e la vita, ha ritenuto necessario stare al loro fianco, sostenuto da quello spirito ottimista che lo portava ad indicare all’Armenia la strada da percorrere:
“L’Armenia è un paese indipendente da 25 anni, ma come popolo e nazione la civiltà armena ha 5.000 anni. Dobbiamo costruire su questo. Dobbiamo liberarci del nostro senso di vittimismo e guardare al futuro” … “È difficile. È un cambiamento nella mente. Stiamo incoraggiando l’Armenia ad andare oltre la sopravvivenza e verso la prosperità. È rivoluzionario, ma è una rivoluzione da una prospettiva diversa”.
Il progetto di Ruben Vardanyan è stato interrotto. Non solo in Armenia. I pascoli, le montagne, le pianure, i torrenti, i monasteri antichi e i cimiteri secolari dell’Artsakh, devastati e conquistati. L’impotenza è stata la cifra della scelta di condividere la sconfitta. Per l’Armenia è difficile guardare al futuro, ma con “la resa” e l’esodo, tante vite umane sono salve e i fratelli hanno accolto altri fratelli. Se insieme riusciranno a realizzare il progetto di costituire il “crocevia della pace”, gli armeni riprenderanno il cammino nella dimensione dell’accoglienza, la sola che può garantire ai popoli di crescere e prosperare. L’appello per la liberazione di Ruben Vardanyan e degli altri prigionieri è impegno da assumere riflettendo sulla motivazione della sua scelta: “… mi sono detto: questo è il momento di fare una scelta, o continui a fare filantropia e ad essere una persona generosa ma solo emotivamente legata alla causa, oppure diventi responsabile e inizi ad agire in prima persona”.
Pietro Kuciukian