Un anno dopo la guerra in Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 11.11.21)
Sebbene il futuro rimanga imprevedibile, la guerra dello scorso anno tra Armenia e Azerbaijan per il territorio conteso del Nagorno Karabakh ha cambiato il panorama geografico e geopolitico nel Caucaso meridionale dopo tre decenni di amarezza, conflitto e divisione. Stando a quanto alcuni analisti sperano, ora c’è l’opportunità di voltare pagina nelle relazioni Armenia-Azerbaijan.
Il cessate il fuoco del 9-10 novembre 2020 che ha posto fine ai combattimenti dello scorso anno avrebbe dovuto chiarire questo futuro, ma la mancanza di trasparenza e una scarsità di analisi obiettive o informate hanno lasciato il pubblico in entrambi i paesi confuso e al buio. Certamente, alcune disposizioni dell’accordo rimangono insoddisfatte, anche se ciò potrebbe cambiare nelle prossime settimane e mesi.
L’Armenia vuole che l’Azerbaijan restituisca i rimanenti prigionieri che detiene, mentre Baku è frustrata dal fatto che un collegamento di trasporto previsto che attraversa l’Armenia fino alla sua exclave di Nakhichevan, come dettato dall’accordo di cessate il fuoco, non sia stato ancora stabilito. Chiede inoltre che Yerevan consegni tutte le mappe dei campi minati nel territorio ora sotto il controllo di Baku.
Nel frattempo, nonostante si parli più frequentemente di normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaijan (e forse anche Armenia e Turchia) non ci sono ancora stati chiari segnali su quando ciò potrebbe accadere.
“Il governo armeno e gran parte della popolazione sono stati limitati ad uno stato di negazione per un periodo di 12 mesi, e c’è voluto molto tempo per accettare la nuova realtà”, afferma Richard Giragosian, direttore del Centro studi regionali (RSC) di Yerevan. Ora, dice, quei segni potrebbero essere all’orizzonte.
“Il punto di svolta”, afferma Giragosian, “è arrivato a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York [a settembre] quando i ministri degli Esteri armeno e azero, con i mediatori del Gruppo di Minsk dell’OSCE, sono stati in grado di riunirsi di nuovo in un incontro per annunciare la rivincita della diplomazia contro la forza delle armi”.
“Questo segna un ritorno alla diplomazia e un tardivo adattamento armeno a una nuova realtà dolorosa e senza precedenti”.
Infatti, due settimane prima del primo anniversario della guerra del 2020, il giornalista veterano armeno e osservatore del Karabakh, Tatul Hakobyan, ha rivelato che fonti ufficiali anonime lo hanno avvisato della possibilità che il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, e il presidente azero, Ilham Aliyev, si sarebbero incontrati a Mosca con il presidente russo Vladimir Putin.
Secondo Hakobyan, sarebbero stati firmati due nuovi documenti: uno riguardante la demarcazione dei confini e l’altro sullo sblocco delle rotte economiche e di trasporto regionali.
Tuttavia, al momento non c’è ancora stata alcuna conferma ufficiale di tale incontro, seppure non sia stato nemmeno categoricamente smentito. Stando a quanto dichiarato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, se un tale incontro dovesse avvenire, ci sarebbe un annuncio ufficiale da parte dei servizi stampa di entrambi i governi.
Ad esempio, il 7 novembre, pochi giorni prima del primo anniversario dell’accordo di cessate il fuoco, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha confermato che una videoconferenza tra i tre leader era in corso in data da determinarsi.
Giragosian e Ahmad Alili, il direttore del Caucasus Policy Analysis Center (CPAC), con sede a Baku, ritengono che tale incontro sia possibile. “Siamo in attesa che altri documenti vengano firmati nelle prossime settimane o mesi”, afferma Alili. “Ci sono molti sviluppi positivi in questo senso, quindi speriamo che abbia luogo”.
Tuttavia, tali sviluppi potrebbero riportare risultati controversi. La delimitazione e la demarcazione dei confini potrebbero rivelarsi particolarmente delicate date le tensioni sulla Nuova linea di contatto Armenia-Azerbaijan (LoC). Inoltre, molti armeni temono che il riconoscimento dei confini dell’Azerbaijan possa effettivamente significare anche l’accettazione della sua integrità territoriale.
Tuttavia, secondo quanto riferito e stando ai recenti sviluppi, il presidente russo Vladimir Putin ha già offerto assistenza concedendo l’accesso alle mappe dell’era sovietica.
Giragosian, però, ritiene che questo intervento tardivo nella questione sia stato intenzionale, dato che fino ad ora, dice, l’Armenia e l’Azerbaijan avevano usato mappe di epoche differenti e anche scale diverse.
“Penso che l’obiettivo riguardasse lo sfruttamento dell’insicurezza, ovvero l’accumulo militare russo nell’Armenia meridionale e l’acquisizione da parte della Russia del terzo confine esterno dell’Armenia”, dice Giragosian, riferendosi al dispiegamento di forze russe al confine con l’Azerbaijan e alla presenza costante di quest’ultimo sui confini iraniani e turchi, lasciando Yerevan responsabile solo del suo confine con la Georgia.
“Sarei d’accordo con Richard sul fatto che la Russia voglia sfruttare la situazione per ottenere più influenza su Armenia e Azerbaijan”, dice Alili. “Qualsiasi attore razionale di politica estera farebbe lo stesso”.
Nel frattempo le tensioni tra Teheran e Baku ribollono a causa dei piani che prevedono di collegare l’Azerbaijan, passando per l’Armenia, alla sua exclave di Nakhichevan. Secondo Alili, agendo in questo modo l’Iran ha voluto denunciare il fatto che la stabilità e la sicurezza regionali sono improbabili senza la sua considerazione e partecipazione.
Questa rotta di collegamento, che si ritiene corra vicino al confine iraniano, solleva ulteriori domande, specialmente in termini di funzionamento. In modo quasi controproducente, l’Azerbaijan ha alimentato l’incertezza in Armenia riferendosi alla rotta come al “Corridoio di Zangezur”, infiammando timori che ciò significhi cedere territorio a Baku, anche se recenti dichiarazioni ufficiali chiariscono che ogni paese manterrà la sovranità.
“La rotta che collega l’Azerbaijan a Nakhichevan”, dice Giragosian, “potrebbe banalmente rappresentare una strada e una ferrovia da un punto all’altro senza uscita in Armenia. L’altro punto critico concerneva l’importo oneroso dei dazi doganali armeni per le tonnellate di merci o passeggeri”.
Tuttavia, osserva Alili, l’ultimo punto dell’accordo di cessate il fuoco è abbastanza chiaro.
“La dichiarazione tripartita dice che ci dovrebbe essere una ‘circolazione senza ostacoli’ di merci e passeggeri”, dice Alili. “Quindi questo significa che in nessun modo l’Armenia può fermare qualsiasi auto che passa. Questo è ciò che l’Azerbaijan intende quando dice ‘corridoio’. La grande domanda è: questa regola si applicherà anche ai veicoli stranieri?”.
Tuttavia, continua Alili, le recenti dichiarazioni del presidente azero indicano che ci sono progressi in materia. La scorsa settimana Pashinyan ha ammesso che l’Armenia è pienamente favorevole a consentire la rotta in cambio di un tragitto simile che attraversi l’Azerbaijan dirigendosi verso la Russia. È stata anche menzionata la questione dei dazi doganali.
Le implicazioni e i benefici regionali sono molto più ampi di quel che riguarda Armenia e Azerbaijan. Infatti, anche Ankara potrebbe trarre beneficio da questa situazione.
“Penso che la Turchia fosse in una posizione soccombente alla fine della guerra”, spiega Giragosian. “In altre parole, all’inizio, la Turchia ha fornito un sostegno militare diretto senza precedenti all’Azerbaijan, ma alla fine è stata la Russia ad entrare grazie al dispiegamento unilaterale di forze di pace, portandosi a casa la vittoria geopolitica”.
Per la Turchia, dice l’analista di Yerevan, la normalizzazione delle relazioni con l’Armenia è un modo per “riconquistare un posto al tavolo in termini commerciali e di trasporti regionali”.
Il confine tra Armenia e Turchia è stato chiuso nel 1993 in seguito alla presa da parte delle forze armene della regione azera di Kelbajar. Ora che il territorio è tornato sotto il controllo di Baku, insieme alle altre regioni che circondano l’ex Oblast autonomo del Nagorno Karabakh (NKAO), non c’è più una ragione giustificabile per tenere il confine chiuso. Anche Baku ora non obietta al riallacciamento delle relazioni tra Armenia e Turchia, anche se ciò potrebbe dipendere dalla normalizzazione della relazione tra Armenia e Azerbaijan.
Dopo la guerra tra Russia e Georgia dell’agosto 2008, Ankara aveva già cercato di riallacciare i rapporti attraverso la “diplomazia del calcio” e la firma di due protocolli tra Armenia e Turchia. Purtroppo, questi ultimi non sono mai stati ratificati e alla fine revocati a causa della resistenza dell’Azerbaijan. Alili crede, però, che la situazione sia diversa questa volta.
“Alcuni decisori turchi volevano separare questi processi nel 2009, ma non ci sono riusciti”, spiega. “Questi sono processi paralleli e ora direi che la politica estera turco-azera sia molto più allineata di prima. Ma è possibile per l’Armenia normalizzare le relazioni con la Turchia senza la Russia?”
Giragosian inoltre afferma che le relazioni tra Armenia e Turchia potrebbero dipendere effettivamente dalle decisioni prese da Ankara e Mosca. “L’Armenia dovrà lottare per assicurarsi che l’attuazione della normalizzazione sia alle sue condizioni piuttosto che quelle di Russia e Turchia”.
Anche il futuro di un formato regionale 3+3 sostenuto da Azerbaijan, Russia e Turchia e che coinvolga Armenia, Georgia e Iran, rimane incerto, specialmente a causa della storica resistenza di Tbilisi alla cooperazione con Mosca. Eppure, anche se il numero delle domande ha gravemente superato quello delle risposte un anno dopo la guerra del 2020, Giragosian rimane ottimista.
“Proseguendo”, dice, “penso che siamo in un periodo senza precedenti che rappresenta una sfida profondamente radicata, ma anche ricca di opportunità”.