Turchia, «una messa all’anno in un luogo sacro non è motivo di vanto». Lastampa/Vaticaninsider
La scrittrice Arslan firma la prefazione di un volume sullo sterminio degli armeni. E giudica «cose di facciata» le promesse del governo turco sulla libertà religiosa
Luciano Zanardini
Roma
Il 24 aprile del 2015 ricorre il centenario del genocidio armeno che colpì 2 milioni di persone. A lungo taciuto, ancora oggi la Turchia non lo riconosce. Antonia Arslan è impegnata da anni, attraverso le sue pubblicazioni, a far conoscere il genocidio armeno, che fu programmato dall’alto e i cui metodi vennero ripresi su scala maggiore da Hitler. Del resto tedeschi e austriaci erano stati collaboratori dell’Impero ottomano.
Lo stesso Hitler nel 1939, programmando la strage degli ebrei arrivò a dire: «Noi possiamo fare quello che vogliamo. Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?». Proprio in queste settimane la Casa Editrice Giuntina ha ripubblicato un piccolo volume «Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno», curato da Fulvio Cortese e Francesco Berto, che ospita a commento delle quattro testimonianze la prefazione della Arslan: «Questo non è un romanzo: è una storia di armeni e di ebrei. Sono qui raccolte le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno e hanno vissuto da vicino quei mesi e quegli anni terribili, spesso in posizioni privilegiate di osservazione».
In marzo manda, invece, alle stampe, per Rizzoli, il terzo volume (il titolo è ancora da definire) della sua storia personale iniziata con «La masseria delle allodole (arrivata alla 32ª edizione)» e continuata con «La strada di Smirne». La scrittrice nel 2009 aveva vissuto l’esperienza del coma diventata poi un libro («Ishtar 2») che «ha commosso parecchia gente: non c’è romanzo, è una breve cronaca di cosa succede quando ci si risveglia; la malattia da un lato ti fa apprezzare la vita e poi ti rende emotivamente più sensibile. Ho avuto un periodo di disperazione, ma il risveglio dal coma mi ha ridato allegria, perché è allegro tornare alla vita». Nella sua vita la fede ha giocato un ruolo decisivo, quella fede troppo spesso osteggiata dai governi autoritari.
Dal 23 al 25 aprile la Turchia ha organizzato una grande rivisitazione della battaglia di Gallipoli, invitando i capi di Stato di tutto il mondo. «È senza dubbio per distogliere l’attenzione dallo sterminio armeno. Non è soltanto una questione di un gruppo di persone che si riuniscono per commemorare… Dobbiamo, comunque, imparare dalla storia. Il cammino dell’essere umano è tutto un movimento; è importante tenere presente quello che è successo proprio per evitare che si possa ripetere. La frase che ripetiamo spesso “perché non succeda mai più” non è, purtroppo, vera. Le grandi potenze sono cieche, non comprendono che certi interventismi inutili o un certo voltarsi dall’altra parte facendo finta di nulla si rivolta contro di loro…».
Erdogan ha promesso nuovamente anche la costruzione di una chiesa per la comunità siriaca. «Se ne vantano, ma sono cose di facciata. Il governo turco ha permesso, per esempio, che dopo quasi 100 anni si celebri una messa una volta all’anno nel monastero di Sumela vicino a Trebisonda (è un grande monastero greco di una bellezza sconvolgente) e una messa all’anno nella grande chiesa armena dell’ottavo secolo ad Asmar sul lago di Van. Concedere una messa all’anno in un luogo sacro non mi sembra motivo di grande vanto. Per carità, se guardiamo il bicchiere è mezzo pieno, quindi è meglio che succeda, non ne farei però una medaglia per dire “quanto sono democratici”».