Turchia: nuove rivolte e irrisolte questioni.
Le vicende di piazza Taksim impongono alla stampa ed all’opinione pubblica italiana valutazioni che rifuggano dalla mera cronaca di quanto sta accadendo.
Infatti, così come è necessario ascoltare la voce della gente, le istanze di un popolo che si ribella ad un regime, alla stessa maniera la rivolta di piazza Taksim impone una riflessione approfondita sul ruolo della Turchia e sulle sue irrisolte questioni.
E noi armeni chiediamo, allora, che si rifletta sul fatto che ogni qualvolta si parla del processo di democratizzazione della Turchia si tace del genocidio armeno pianificato dai “ Giovani Turchi” nel 1915.
Dunque, a proposito di quanto sta accadendo in Turchia in questi giorni, noi riteniamo che:
1) L’autoritarismo (e l’esclusione dei diritti) è ed è stata una caratteristica di tutti i governi turchi: da quello del partito “Unione e Progresso” di Enver e Talaat ed i loro sanguinari Giovani Turchi a Kemal Ataturk (che in Occidente è considerato persino più di quanto venga idolatrato in Turchia ma il cui regime, la storiografia ce lo insegna, non è stato certamente da meno di tanti altri che tra gli anni Venti e gli anni Trenta hanno caratterizzato la storia d’Europa), ai governi repubblicani successivi fino ai giorni nostri.
2) È la struttura stessa dello stato turco, per come fino ad oggi è stato organizzato e manipolato, ad essere l’origine dell’autoritarismo e della esclusione degli Altri siano essi armeni, curdi, arabi, sindacalisti, libertari o il popolo che chiede di salvare un parco pubblico dalla speculazione immobiliare.
3) Dietro il sistema turco ci sono le Forze Armate ed un apparato che sorregge i governi, mette in atto colpi di stato, pianifica l’occupazione di Cipro, la repressione dei Curdi e l’annientamento degli armeni.
4) La contrapposizione tra il nuovo islamismo di Erdogan e l’opposizione kemalista è di facciata: l’apparato controlla le regole dello stato, si muove nell’ombra, fa e disfa; reprime ogni tentativo del popolo turco di uscire dal medioevo del proprio nazionalismo ottomano.
5) Dobbiamo essere solidali con il popolo turco (o meglio quella parte del popolo turco) che vuole uscire dall’isolamento, che si batte per i diritti umani, che non accetta più passivamente di finire sotto processo solo perché cinguetta su Twitter, che non tollera più di vivere in uno stato che fa della negazione sistematica del Genocidio armeno del 1915 la sua primaria attività all’interno e fuori dai confini; quel popolo che scende in piazza per ricordare il giornalista armeno Hrant Dink che si batteva per il dialogo e la tolleranza e che fa dire a centomila turchi “siamo tutti armeni!”.
6) Aiutare la nuova Turchia a crescere democraticamente ed a consolidarsi come stato solido da un punto di vista politico ed economico significa liberarla, in una sorta di processo catartico, dai fantasmi del passato; ogni regime turco, da quello dei colpi di stato agli apparenti governi democratici degli ultimi anni, si regge sulla forza nazionalista ed autoritaria che si base sull’odio verso l’Altro, sulla negazione del passato, sul dna della conquista del territorio altrui.
7) Gli armeni chiedono all’opinione pubblica italiana di spezzare le catene che legano il popolo turco; senza nascondere la testa sotto la sabbia per paura di pronunciare le parole “genocidio armeno”, senza paura delle isteriche reazioni dei governi turchi, senza timore di denunciare la politica di odio verso gli armeni che ancora oggi anima la Turchia, che fa pronunciare ad Erdogan frasi di minaccia che suonano terribilmente simili a quelle che ripeteva il feroce Talaat pascia (“Noi non siamo crudeli ma soltanto energici”, L’Idea Nazionale 24 agosto 1915).
8) I giornali dovrebbero aiutare il popolo turco: non solo solidarizzando con la gente di piazza Taksim, non solo denunciando la campagna di repressione, ma anche parlando di tutto il resto a cominciare dal genocidio armeno; uno stato nel quale il ministero della pubblica istruzione fa circolare nelle scuole elementari libelli dove si racconta “che gli armeni cucinavano e mangiavano i bambini (sic…)” è uno stato nel quale il cammino della democrazia è ancora lungo. Uno stato che di fronte alle parole di papa Francesco sul genocidio del 1915 convoca il Nunzio Apostolico ad Ankara è uno stato che non riesce a maturare e a crescere.