Turchia: la guerra degli espropri (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.05.16)

Nel sud-est della Turchia, sconvolto dagli scontri tra esercito e formazioni armate curde, ora è in gioco anche il futuro urbanistico dei centri urbani devastati dalle armi. Nostro approfondimento

Mentre continuano incessanti i combattimenti tra l’esercito turco e i militanti dei movimenti curdi autonomisti, il futuro urbanistico delle città del sudest a maggioranza curda è diventato il nuovo terreno di una battaglia combattuta non con le armi, ma con il cemento della futura ricostruzione.

Con una mossa che era nell’aria da diverso tempo, il 25 marzo scorso il governo turco ha avviato le procedure legali per l’esproprio d’urgenza di molte proprietà private nei distretti amministrativi di Sur (Diyarbakir) e Silopi (Sirnak). Quattro giorni dopo in una discussione parlamentare il ministro dell’Ambiente e della Pianificazione Urbana Fatmagül Demet Sarı ha motivato la decisione come legata a progetti di riqualificazione urbana avviati nel paese.

In una recente visita a Diyarbakır, il primo ministro Davutoĝlu ha poi annunciato un piano d’azione da 9 miliardi di dollari per “rimediare ai danni causati dal terrorismo” in città e di voler fare di Sur la “nuova Toledo”, in riferimento alla città spagnola ricostruita dopo la guerra civile. Non si conoscono i dettagli di questo piano d’intervento, pubblicizzato anche tramite un video caricato su Youtube.

Distruzione

In conseguenza ai pesanti scontri degli ultimi mesi, molti distretti provinciali quali Sur, Nusaybin, Silopi, Cizre, Idil, Silvan, Yuksekova, dove i movimenti curdi hanno cercato di creare delle zone autonome de facto, appaiono irriconoscibili. Ovunque si vedono cumuli di macerie ed edifici fatiscenti crivellati dai colpi delle armi. Lo spostamento del conflitto dalle aree rurali a quelle urbane, mesi di coprifuoco ininterrotto, l’uso di congegni esplosivi, carri armati ed altre armi pesanti si sono rivelati devastanti per aree dove, fino a poco tempo fa, vivevano in centinaia di migliaia.

Oltre 90mila persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, spesso senza alcun preavviso e senza poter portare nulla con sé, altre volte invece carichi di tutto ciò che era salvabile. Molte famiglie hanno ricevuto dalle autorità governative avvisi di allontanamento coatto dalle abitazioni, pesantemente danneggiate dagli scontri. Altre sono state fatte allontanare dallo YDG-H, la milizia urbana del PKK. Molte lamentano l’impossibilità di ritornare alle proprie case anche solo per recuperare beni di prima necessità. La maggior parte degli sfollati si è spostata verso le periferie o verso i villaggi nei dintorni, trovando ospitalità e riparo solo grazie alla disponibilità di parenti, amici o alla generosità degli altri abitanti.

Quella in corso è un’emergenza umanitaria che non viene riconosciuta né dallo stato turco né dalla comunità internazionale, ma che sta assumendo risvolti di giorno in giorno sempre più drammatici.

Confische seriali

La drammaticità degli scontri ancora in corso rende implausibile al momento ogni tentativo di avviare attività di ricostruzione e la confisca delle proprietà è finora l’unico intervento di natura non militare condotto dal governo nella regione.

In molti cominciano a vedere il conflitto in corso non soltanto come il risultato dell’antagonismo tra stato turco e PKK, ma anche come la volontà del governo di intervenire con opere di ingegneria sociale direttamente sul tessuto urbanistico della regione, oltre che come il frutto della pressione della potente lobby della speculazione immobiliare.

A Sur, il cuore antico della città di Diyarbakir e sotto protezione UNESCO, è previsto l’esproprio di oltre l’80% delle proprietà, coinvolgendo oltre 50mila persone. Tra le confische anche quelle dei maggiori edifici monumentali come ad esempio la moschea Ulu Camii, la Casa dei Dengbej, chiese siriache, caldee e armene.

Le reazioni

Le opposizioni politiche e numerosi esponenti del mondo civile hanno duramente contestato la decisione del governo, accusandolo non solo di infliggere ulteriore sofferenza ad una popolazione già duramente colpita dal conflitto, ma di voler in questo modo attaccare il tessuto urbano-sociale della società curda. L’associazione degli avvocati di Diyarbakir ha annunciato di voler fare ricorso contro un’iniziativa considerata illegale secondo le norme turche ed internazionali, come riportato da Bianet, partner di OBC.

Anche alcune autorità religiose come l’arcivescovo armeno Aram Ateşyan di Diyarbakir, città che ospita luoghi di culto di diverse confessioni, hanno manifestato la propria opposizione al piano di confisca.

La popolazione locale è preoccupata anche dal ruolo attivo che il TOKI, l’Ente governativo per l’edilizia pubblica, potrebbe avere nella fase di ricostruzione. Si temono conseguenze pesanti sull’identità culturale e storica dei centri urbani, oltre che sul tessuto sociale già martoriato dalla guerra. Il TOKI è noto per essere stato al centro dei contestati progetti di gentrificazione in numerose città del paese e per aver spesso privilegiato l’immediato ritorno economico rispetto alla qualità degli interventi. Un coinvolgimento dell’ente è stato smentito dal vice primo ministro Kurtulmuş, una rassicurazione che non sembra poter far breccia nella maggioranza della popolazione locale, tanto più che già nel 2009 a Sur lo stesso TOKI aveva tentato di avviare un progetto di ristrutturazione del tessuto urbano, fermato solo dopo forti proteste.

Il conflitto continua

Anche se il conflitto armato cessasse immediatamente, e in realtà la tendenza è opposta, buona parte della popolazione non nutre alcuna fiducia nelle buone intenzioni dichiarate dal governo, che dopo il crollo del processo di pace ha risposto con il pugno di ferro dell’esercito alle rivendicazioni di autonomia e di rispetto dei diritti della minoranza. Inoltre, non esiste alcuna cooperazione tra il governo centrale AKP e le istituzioni locali, governate dalle rappresentanze curde, dopo che negli ultimi mesi sono stati centinaia gli arresti nelle file dell’HDP e delle altre sigle di rappresentanza curda, spesso con l’accusa di collusione con il terrorismo.

Per questo qualsiasi piano calato coercitivamente dall’alto, anche volendo assumerne le migliori intenzioni, verrebbe totalmente rigettato a livello locale. Nella regione lo stato riesce ad imporre la propria autorità solo con la violenza e con costi altissimi in termini umanitari, sociali ed economici. L’intervento militare non solo ha distrutto il processo di pace ed ogni capacità di fare presa sugli abitanti, ma sta anche spingendo sempre più persone nelle fila del PKK, specie tra i giovani.

Di fatto il PKK sta riguadagnando nuovo prestigio tra i curdi e sta riaffermando la propria leadership all’interno del movimento autonomista, ruolo che durante il processo di pace aveva in parte perduto in favore dell’HDP e del suo approccio politico e non armato alla questione curda.

È difficile che gli espropri a cui si assiste in queste settimane possano favorire una conciliazione. Il timore generale è che, concluse le operazioni militari, accanto alla necessaria ricostruzione, il governo avvierà unilateralmente il proprio piano di ristrutturazione sociale e di spopolamento, che passerà anche attraverso la riedificazione dei centri abitati.

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