TRADIMENTI di Pietro Kuciukian (Gariwo 14.12.23)
Per più di trent’anni i negoziati fra armeni e azeri si sono attenuti alla logica binaria del “tutto o nulla”, con la conseguenza di non poter mai giungere ad un trattato di pace. Il compromesso è stato considerato da ambo le parti “tradimento”. Land for peace, la pace in cambio di terra, è il principio regolatore di ogni accordo, ma ciò implica che un leader sia disposto a sacrificare un pezzo di terra e venire inevitabilmente considerato dai suoi un “traditore”. Fernando Gentilini, diplomatico di carriera, lavora per il servizio diplomatico europeo a Bruxelles. Come responsabile e rappresentante speciale dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, ha alle spalle una grande esperienza di gestione delle crisi internazionali nei Balcani, in Turchia, nel Kosovo, nell’area israelo-palestinese e in Afghanistan; dal 2018 è direttore generale del servizio diplomatico in Medio Oriente e nel Nord Africa. E’ autore di saggi in cui coniuga la sua cultura letteraria con la lucida analisi geopolitica, alimentata dall’intensa attività diplomatica sul campo. Dalle pagine culturali del quotidiano la Repubblica [1] lancia un singolare richiamo: “ Bisogna tradire per fare la pace”. Per l’autore il tema del tradimento, visto anche attraverso le pagine del celebre libro di Amos Oz, Giuda, “è il tema di chi, a torto, viene considerato dai suoi come un traditore perché ha il coraggio di cambiare quando gli altri non cambiano, o perché non ha paura di sembrare un codardo quando tutti gli altri giocano a fare i patrioti e gli eroi”. Nella storia, molti statisti che raggiunsero la pace furono etichettati traditori, ci ricorda Gentilini riprendendo Amos Oz: “Churchill che aveva smembrato l’ impero britannico, De Gaulle che si era ritirato dal Nord Africa, Gorbaciov che aveva provocato la disgregazione dell’Unione Sovietica”. Per non parlare di Ben Gurion che aveva accettato la risoluzione dell’ONU per la Palestina, Rabin che aveva firmato gli accordi di Oslo, e molti altri casi. E per portare la pace in Palestina fra israeliani e palestinesi quando la guerra sarà conclusa, ci sarà bisogno di un “traditore”, il “Giuda” evocato da Amos Oz.
Il Nagorno Karabagh è stato “svuotato” dei suoi abitanti armeni tra la fine di settembre e i primi di ottobre. La colonna dei profughi, carichi di masserizie, composta di donne, uomini, anziani, bambini, ha raggiunto faticosamente l’Armenia, stremati da un anno di carestia provocata dal governo azero con il blocco del corridoio di Lachin e terrorizzati dai bombardamenti e dall’attacco azero del 19 settembre. Il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan scegliendo di salvare “vite umane”, ha dovuto sacrificare la terra abitata dagli armeni da 2600 anni,. Oggi sembra che questo sacrificio stia portando l’aggressore e l’aggredito, a superare la soglia oltre la quale si entra nello spazio in cui si dialoga per la pace. Con il rilascio di trentadue soldati armeni e due soldati azeri è stato raggiunto un accordo sull’adozione di passi concreti, “fatti e azioni”, con l’obiettivo di creare un clima di fiducia tra i due paesi. Una possibilità storica per la pace a lungo attesa nella regione. Due paesi nemici, rispondendo alle sollecitazioni dell’ONU, rivelano l’intenzione di normalizzare le relazioni e raggiungere un accordo sulla base del rispetto dei principi di sovranità e integrità territoriale. Come segno di buona volontà, l’accordo prevede il sostegno dell’Armenia alla candidatura dell’Azerbaigian per ospitare il vertice sul clima del 2029 e il ritiro da parte armena della propria candidatura.
“La Repubblica d’Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian” – si legge nella dichiarazione – “sperano che anche gli altri paesi del Gruppo dell’Europa orientale sostengano la candidatura dell’Azerbaigian ad ospitare la COP 29. Come segno di buona volontà, la Repubblica dell’Azerbaigian sostiene la candidatura armena per l’adesione all’Ufficio COP del Gruppo dell’Europa orientale. La Repubblica dell’Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian continueranno le loro discussioni sull’attuazione di ulteriori misure di rafforzamento della fiducia, efficaci nel prossimo futuro e invitano la comunità internazionale a sostenere i loro sforzi che contribuiranno a costruire la fiducia reciproca tra i due paesi e avranno un impatto positivo sull’intera regione del Caucaso meridionale”, così conclude la dichiarazione.
Nikol Pashinyan si è dimostrato un grande leader, disposto a diventare impopolare, a “tradire” la nazione ; un leader “capace di sacrificare”- come scrive Fernando Gentilini nella conclusione dell’articolo – “il bene più caro – un pezzo di terra – per un bene più grande, la pace fra i due popoli “. Obiettivo considerato per troppo tempo irraggiungibile.
[1] La Repubblica, giovedì 7 dicembre 2023, p. 33