Tensioni nel Nagorno-Karabakh: gli interessi economici in gioco (Lookoutnews.it 04.04.16)

Rotte energetiche, accordi commerciali, confronto a distanza tra Russia e Turchia. Perché alla base degli ultimi scontri nel Caucaso non c’è solo una questione etnica

Nonostante l’annuncio di una tregua unilaterale, nel Nagorno-Karabakh la tensione resta alta. Negli ultimi giorni in questa regione situata nel sud del Caucaso, e da anni oggetto di contesa tra Armenia e Azerbaijan, negli scontri iniziati sabato 2 aprile tra l’esercito azero e i separatisti di etnia armena sono rimaste uccise decine di persone.

Stilare con esattezza un bilancio di morti e feriti non è al momento possibile considerato che i numeri diffusi dai due Paesi dell’ex Unione Sovietica sono assai differenti. L’Armenia ha dichiarato di aver subito la perdita di almeno 18 militari e il ferimento di altri 35. Mentre gli azeri contano 12 vittime oltre a un carro armato e un elicottero andati distrutti. Nei primi scambi di colpi di artiglieria gli armeni avrebbero colpito proprio un elicottero azero causando l’uccisione di 12 militari che si trovavano a bordo del velivolo. Quelli degli ultimi giorni sono a detta di molti osservatori gli scontri più violenti registrati nel Nagorno-Karaback dal 1994, quando venne siglata una prima tregua dopo sei anni di conflitto in cui persero la vita circa 30.000 persone, molte delle quali civili.

La storia del Nagorno-Karaback

Il Nagorno-Karaback è una regione situata nel Caucaso meridionale, confinante a ovest con l’Armenia, a sud con l’Iran a nord e a est con l’Azerbaijan. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, questa piccola repubblica presidenziale ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza dall’Azerbaijan nel 1992, scatenando il conflitto con le autorità di Baku. Il nuovo staterello caucasico non è stato ancora riconosciuto internazionalmente da nessuno Stato e i negoziati per la pace hanno incluso come interlocutori diretti l’Azerbaijan e l’Armenia ma non le autorità del Nagorno-Karaback.

In questi anni a promuovere i negoziati di pace nella regione è stato soprattutto il “Gruppo di Minsk” dell’OSCE, senza che però finora siano stati ottenuti risultarti tangibili. Della questione i rappresentanti del Gruppo di Minsk torneranno a discutere la prossima settimana.

 

Gli interessi nella regione

In attesa di avere un quadro più chiaro della situazione, è possibile che quanto accaduto inneschi le reazioni dei due principali Paesi stranieri che hanno interessi in quest’area: la Russia da una parte, legata al governo armeno di Yerevan per motivi di carattere commerciale; la Turchia dall’altra, che coltiva da tempo un’alleanza energetica con l’esecutivo azero di Baku. Da anni Ankara si sta facendo promotrice di una serie di intese con l’Azerbaijan con l’obiettivo di concretizzare progetti di cooperazione economica.

Formalmente Ankara e Baku hanno sempre fatto esplicita la volontà di trasformare il Caucaso meridionale in un’area di “stabilità e prosperità”: ancorata ai meccanismi di sicurezza e cooperazione atlantici ed europei, solcata dai corridoi multi-dimensionali e trans-europei – energia, trasporti, comunicazioni – lungo gli assi Est-Ovest e Nord-Sud.

La condizione primaria e preliminare è però la risoluzione dei conflitti regionali, “pacifica e nel più breve tempo possibile”: quello del Nagorno-Karabakh, che come detto oppone l’Azerbajian all’Armenia; quelli dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, che dividono Georgia e Russia. In effetti, proprio all’indomani della guerra lampo russo-georgiana (nell’agosto 2008) l’allora premier e oggi presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva proposto la creazione di una “Piattaforma per la cooperazione e la stabilità nel Caucaso”, con l’inclusione di tutti gli Stati della regione ma il progetto non è mai decollato.

Oltre l’aspetto etnico il vero nodo della crisi nel Nagorno-Karabakh rimanda dunque agli enormi interessi economici in gioco: dall’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan al gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, già realizzati, alla linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars, che costituirà uno dei tasselli della “via ferrata della Seta” tra Londra e la Cina. In più, non mancano richiami a nuovi progetti energetici così come alle fonti rinnovabili. Progetti ambiziosi che però adesso rischiano di essere ostacolati da un nuovo conflitto nel Caucaso.

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