Sulle tracce degli armeni, presentata la ricerca sull’antica iscrizione presso la Cattedrale di Salerno (SalernoToday 25.04.24)

“Prendersi un momento per restare “in ammirazione” di quest’antica incisione, conoscendone il significato, può restituire a ciascuno di noi un profondo senso di appartenenza all’umanità di tutti i tempi, sempre alla ricerca della propria pienezza e felicità”, ha detto la Teologa Parente

Si è tenuta questa mattina, la presentazione de “L’antica iscrizione del Duomo di Salerno: sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia”, iniziativa volta a valorizzare l’incisione in lingua armena che si trova sullo stipite sinistro della porta centrale della Cattedrale di Salerno, organizzata dall’Ufficio Cultura e Arte dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, in collaborazione con la Fondazione Alfano I. Presso il Portico del Duomo, dunque, è stato illustrato l’opuscolo bilingue che racconta il significato dell’iscrizione lasciata da un pellegrino armeno giunto a Salerno per venerare le Reliquie di San Matteo Apostolo, con l’inaugurazione di una colonnina descrittiva che consentirà ai visitatori di interpretare l’incisione. Presenti alla conferenza in Cattedrale, l’Arcieparca di Costantinopoli degli armeni, Monsignor Levon Zekiyan, luminare di storia e spiritualità armena che si è soffermato sulla presenza del popolo armeno a Salerno e in Italia, l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, Sua Eccellenza Monsignor Andrea Bellandi, la Teologa, nonché promotrice dell’evento, la professoressa Lorella Parente, il Vicepresidente della Fondazione Alfano I, Don Ugo De Rosa e la consigliera comunale Vittoria Cosentino.

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“Sono molto lieto del fatto che l’Ufficio Cultura e Arte dell’Arcidiocesi di Salerno- Campagna-Acerno, con il suo Direttore, la teologa Lorella Parente, si sia fatto promotore di questa bellissima iniziativa, concernente la traduzione di un’iscrizione posta sullo stipite sinistro della cornice lapidea del portale centrale della nostra Cattedrale Primaziale Metropolitana di Santa Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII, scritta in lingua armena, opera probabilmente di un pellegrino devoto a Matteo – il «santo apostolo» – le cui spoglie riposano nella Cattedrale medesima. L’opera di trascrizione e traduzione, ovviamente complessa, si deve alla profonda competenza del prof. don Matteo Crimella, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti e quelli dell’intera Arcidiocesi. – ha detto l’Arcivescovo – Indubbiamente, tale lavoro contribuisce ad offrire un ulteriore elemento di conoscenza e valorizzazione di quel patrimonio inestimabile di arte, spiritualità e cultura di cui la nostra Cattedrale è affascinante custode e testimonianza da quasi due millenni e che intendiamo rendere ancora più fruibile non solo ai fedeli salernitani, ma anche ai sempre più numerosi turisti e visitatori che avranno modo di fare esperienza diretta di tale scrigno di memoria cristiana. Un ringraziamento, infine, alla Fondazione “Alfano I” per aver promosso la pubblicazione di queste preziose pagine, culturalmente assai significative”, ha concluso Sua Eccellenza Monsignor Bellandi.

 

“In pochi sanno che l’incisione posta sullo stipite sinistro della cornice lapidea del portale mediano è  un’iscrizione in lingua armena, contenente la supplica di un pellegrino. L’alfabeto armeno fu coniato dal monaco e teologo Mesrop Mashtots (361ca. -440), il quale, all’inizio del V secolo d.C., portò in forma scritta una lingua fino ad allora soltanto parlata, con l’intento principale di far conoscere i testi sacri alla popolazione, abituata a un culto liturgico in greco e in siriaco, incomprensibile alla maggior parte dei fedeli armeni. – incalza la Teologa Lorella Parente –  La tradizione più antica di questo popolo fa risalire le proprie origini al personaggio biblicoì di Hayk, discendente di Japhet, uno dei figli di Noè sbarcato dopo il diluvio universale sul monte Ararat, che è un luogo simbolo dell’Armenia. Infatti, il nome della nazione in lingua originale è Hayastan, “terra di Hayk”. “Armenia” è il nome che ad essa hanno sempre attribuito le popolazioni confinanti.  È interessante ricordare che l’Armenia abbracciò ufficialmente la religione cristiana già a partire dall’anno 301 (data tradizionale), in seguito alla conversione dei regnanti dell’epoca, avvenuta grazie alla predicazione di san Gregorio “l’Illuminatore”, nel senso di “grande evangelizzatore”. Noi, in Campania, lo conosciamo bene con il nome di “San Gregorio Armeno”, per la caratteristica strada di Napoli dedicata ai pastori del presepe, dove è ubicata l’omonima chiesa che custodisce le reliquie del santo, giunte nell’VIII secolo per mano di alcune monache basiliane in fuga dalla repressione iconoclasta dell’Oriente. Non siamo a conoscenza della data esatta in cui il pellegrino armeno a Salerno volle incidere – ma più probabilmente fece incidere da uno scalpellino – la sua preghiera sullo stipite della porta del duomo, ma possiamo dare per certo che egli si trovasse qui per venerare le reliquie del Santo Apostolo Matteo, custodite nella cripta a partire dall’anno 954.  Diversi ricercatori si sono interessati alla sua origine e al suo significato. Il primo studio più noto è quello del gesuita Raffaele Garrucci (1812- 1885), autore de La Storia dell’arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa (voll. 6, Prato 1873-1881) e fondatore del Bullettino archeologico napoletano (nuova serie, Napoli 1851 ss., insieme con G. Minervini). La sua analisi del testo armeno è raccolta nel volume dal titolo Intorno ad alcune iscrizioni antiche di Salerno. Illustrazioni del Padre Raffaele Garrucci della Compagnia di Gesù (Napoli 1851), e precisamente alle pp. 32-35, dove si presenta una possibile traduzione della scritta, ossia: «Il Santo Apostolo abbia misericordia dell’anima di colui, che lo spera. Amen». Il gesuita sottolineava la difficoltà di distinguere alcune lettere, dovuta, secondo lui, a varie imperfezioni nell’esecuzione materiale dell’incisione. Negli ultimi tempi, diversi sono stati gli specialisti che hanno condotto ricerche sulla scritta avventizia”.

“Nel 2020, lo studioso salernitano architetto Renaldo Fasanaro ha effettuato personalmente un rilievo grafico sul posto, utilizzando un particolare metodo – già impiegato per la decifrazione dei reperti linguistici e cultuali sui massi erratici del Friuli, del Bellunese e del Veneto – che consiste nella sovrapposizione di un foglio di carta pergamena sulla superficie lapidea e il successivo disegno “per contrasto” con grafite della scritta sottostante”. “Grazie a tale rilievo, si può notare, all’inizio, il signum crucis, molto presente all’interno delle iscrizioni medievali e anche come incisione singola. L’uso dei pellegrini di incidere croci sugli stipiti delle porte testimonia simbolicamente l’ingresso, o, meglio, il passaggio da uno spazio esterno, laico, verso un’area sacra, cultuale. Il resto dell’iscrizione armena – visibile anche ad occhio nudo, seppur con qualche tratto meno definito – è composto da parole che formano un testo di supplica, analizzato per noi, nelle pagine successive, dal biblista e studioso di lingua armena, prof. Matteo Crimella. Il contenuto della sua traduzione risulta essere questo: «Santo Apostolo, abbi pietà dell’anima di Daniele e di me pellegrino. Amen». Prendersi un momento per restare “in ammirazione” di quest’antica incisione, conoscendone il significato, può restituire a ciascuno di noi un profondo senso di appartenenza all’umanità di tutti i tempi, sempre alla ricerca della propria pienezza e felicità”, ha concluso.

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