Sul riconoscimento del Genocidio Armeno (Gariwo 17.04.19)
l 10 aprile 2019 la Camera dei deputati ha approvato, con 382 voti a favore e 43 astenuti (nessun voto contrario), la “mozione unitaria che impegna il governo a riconoscere ufficialmente il genocidio e a darne risonanza internazionale”.
Prima di “riconoscere” bisogna “conoscere”. È a partire dalla conoscenza dell’identità di un popolo, del peso che ha avuto nella storia, dei valori di cui è portatore, che è possibile fare proprio l’impegno di combattere il negazionismo, definibile come “tutto ciò che è contro la verità storica”. Nel caso armeno, le basi della storiografia ufficiale negazionista della Repubblica turca furono poste da Mustafa Kemal, detto Atatürk, il padre della patria. Il fondatore della Repubblica turca in un primo tempo aveva condannato l’operato del Partito dei Giovani turchi, definendoli assassini e ladri, ma poi, quando gli ufficiali, i governatori, i militari, i gendarmi e l’intera burocrazia genocidaria sono confluiti nel partito repubblicano da lui organizzato per costruire la Turchia del futuro, cambiò atteggiamento. Quattro dei maggiori carnefici erano divenuti suoi ministri e Mustafa Kemal portò a compimento la pulizia etnica degli armeni su tutto il territorio: dei 3 decreti legge emanati dal precedente governo unionista (riforme, deportazione e confisca dei beni degli armeni), ha mantenuto in vita la legge della confisca dei beni abbandonati. Sui passaporti dei pochi armeni sopravvissuti, poi “espulsi”, era scritto: pas possible le retour (non è possibile ritornare).
In un celebre discorso politico del 1927, Mustafa Kemal sottolineava la capacità del Paese di rinascere e di uscire rafforzato dalla guerra avendo saputo resistere agli attacchi di “minoranze immorali”, nello specifico della minoranza armena insediata da tremila anni sul territorio e che veniva così separata ed espulsa dalla storia dell’Impero ottomano. Come potevano i turchi dopo la fine della Prima guerra mondiale disconoscere gli “eroi” che avevano dato vita alla repubblica monoetnica, sterminando gli armeni e appropriandosi di tutti i loro beni? Se ci interroghiamo sulle cause che impedirono agli armeni di ricevere giustizia e di dare sepoltura ai loro morti, può servire operare un confronto con la Germania dopo la Seconda guerra mondiale. L’esercito tedesco fu sciolto, i nazisti messi fuori legge, le nazioni vittoriose ottennero giustizia. Se oggi ci fossero al potere in Germania i nazisti chi potrebbe affermare che c’è stata la Shoah, il genocidio degli ebrei?
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, gli occidentali non hanno voluto disarmare l’esercito turco che è diventato la spina dorsale della nazione e in tutta la Turchia sono state innalzate statue ai carnefici, gli “eroi”: continuità, contro discontinuità. Se la Turchia avesse riconosciuto la messa in atto dello sterminio intenzionale e sistematico degli armeni da parte del governo dei Giovani turchi, ovvero il “genocidio”, avrebbe potuto essere tra le nazioni della Comunità Europea. Con quel riconoscimento sarebbe entrata nel novero degli Stati democratici. La cancellazione dalla storia e dalla memoria dei turchi di intere epoche ed eventi dura sino ad oggi. Ma trattandosi del “crimine dei crimini” di cui il popolo armeno è stato vittima agli inizi del Novecento, vale a dire del crimine di “genocidio” – condannato nel 1946 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e definito come “rifiuto al diritto dell’esistenza di un intero gruppo umano che sconvolge la coscienza dell’umanità” -, si ricava facilmente l’entità dell’impegno richiesto a chi voglia oggi intraprendere un cammino che coinvolge il diritto internazionale e la politica nella sua accezione più alta. Fare memoria e condannare il crimine di chi ha legiferato contro i propri cittadini è un messaggio universale, valido per tutta l’umanità, ieri e oggi.
L’approvazione della mozione sul riconoscimento del genocidio armeno votata dalla Camera dei deputati del Parlamento Italiano, è importante poiché apre un’altra “porta” alla possibilità di ripensamento e di presa di coscienza della gente turca o turchizzata. Ed è proprio dalla società civile turca che ci si può aspettare la spinta al cambiamento: far pensare, conoscere, in un futuro “riconoscere”, per prevenire e dare alle nuove generazioni la possibilità di affrontare la Storia in modo aperto e critico, e forse di vedere nuove statue dedicate ai disobbedienti, i Giusti che hanno saputo dire di no.
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