“Spengo io le luci” di Zoya Pirzad: alla scoperta di una famiglia armena in Iran (Oubliettemagazine 09.12.19)
Pensieri e riflessioni di Claris, protagonista di questo bellissimo romanzo, “Spengo io le luci”, della scrittrice armeno-iraniana Zoya Pirzad, pubblicato in Italia da Francesco Brioschi Editore per la collana “Gli Altri”.
Siamo nella città di Abadan, centro dell’industria petrolifera nell’estremo sud dell’Iran. Le vicende narrate sono temporalmente ambientate negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione Khomeinista, quando la vita del paese era molto occidentalizzata, le donne vestivano con abiti europei, il velo non era obbligatorio, ma già cominciavano a diffondersi i primi germi di un malcontento diffuso nella popolazione, soprattutto fra gli strati più bassi e poveri che daranno poi vita alle rivolte contro lo Scià e il suo regime corrotto e fortemente improntato all’ineguaglianza sociale.
Claris è armena, è una casalinga, sposata con Artush ormai da molti anni, il loro rapporto soffre quel gelo tipico di coppie che tirano avanti per amore dei figli, in questo caso tre, un maschio adolescente e due bambine gemelle.
Il menage familiare si completa con le frequenti visite della madre di Claris e di sua sorella Alis, quest’ultima alla costante ricerca di un buon partito da sposare. Quella di Claris è una vita preordinata, che scorre fra le incombenze casalinghe, i compiti dei figli, le preoccupazioni quotidiane tipiche di una famiglia borghese, benestante che una volta a settimana si concede il pranzo al Club, dove si raduna la buona società di Abadan.
Una vita tranquilla che viene turbata dall’arrivo di nuovi vicini di casa, la famiglia Simonian, composta dal signor Emile, dalla sua figlia adolescente Emily e da sua madre, una donna severa, scontrosa, che controlla la vita del figlio e della nipote.
Claris viene letteralmente catturata dal particolare e non sempre benevolo atteggiamento della signora Simonian, che il più delle volte le incute soggezione più che rispetto, eppure non perde occasione di entrarci in contatto, per cercare di capire quali segreti di famiglia si portano dietro i nuovi vicini.
Ma nello stesso tempo Claris finisce per crearsi un mondo di illusioni che la vedono innamorata del signor Emile, peraltro collega di suo marito presso la Compagnia Petrolifera. Con Emile Claris condivide la passione per la lettura e persa dietro le sue fantasticherie inizia un percorso interiore fatto di malessere e di riflessioni sullo stato del suo matrimonio, del rapporto con la sua famiglia, sente che qualcosa si è rotto e che la centralità della sua figura progressivamente viene meno.
“Mi sforzo di ricordare cosa provavo ai tempi del fidanzamento con Artush. L’unico periodo della mia vita in cui sono stata davvero innamorata. Ma non ho molti ricordi.”
Claris si perde nei ricordi e nei rimpianti nei lunghi momenti di solitudine in casa, quando al mattino tutti escono per le loro attività quotidiane, chi a scuola e chi a lavoro, mentre lei rimane sola, dentro quella che un tempo era la felice dimora della sua famiglia e che ora non riconosce più. L’inquietudine di Claris inizia a diventare evidente ai suoi familiari più attenti, come sua madre o sua sorella, meno al marito e ai figli. Ma la donna non cede al bisogno di rivelare a qualcuno il suo malessere, il suo bisogno di dare una svolta, un nuovo corso alla sua piatta esistenza.
È per questo motivo che si lascia andare a lunghi discorsi con Emile, condividendo con l’uomo la sua passione per la letteratura. E ciò avviene proprio durante un evento terribile, una invasione di cavallette che mette tutti in apprensione, tutti le chiedono se ha avuto paura tutta sola in casa mentre gli insetti invadevano tutta la città. Claris non svela a nessuno il suo intimo segreto, non rivela ad anima viva che mentre le cavallette imperversavano sulla città lei chiacchierava beatamente con Emile, soli in casa.
In una storia dove apparentemente non accade nulla di eclatante, la scrittrice riesce a mettere in risalto ogni più piccola emozione provata dalla protagonista, ogni suo sobbalzo del cuore, spingendo il lettore a incalzare la lettura per raggiungere l’epilogo.
Quello che viene fuori è l’affresco di una società nella quale il ruolo delle donne era ancora relegato fra le mura domestiche, in un paese che si accingeva a vivere la sua più grande sfida rivoluzionaria. Un paese che poi, fra le sue tante contraddizioni, porterà le donne ad alti livelli di istruzione, almeno in confronto con altre nazioni della stessa area mediorientale.
Sullo sfondo delle vicende personali e familiari dei protagonisti della storia, si staglia l’Iran, ma soprattutto quella particolare caratteristica di quel paese che è la tolleranza e il rispetto per le minoranze, per le diversità.
Claris e la sua famiglia sono armeni e nel romanzo non mancano le descrizioni di tradizioni, usi, perfino cibi tipici della cultura armena. L’autrice ci prende per mano e ci conduce, attraverso la storia narrata, alla scoperta di una straordinaria e millenaria cultura, troppo spesso ignorata e purtroppo crudelmente avversata, come ci insegna la storia.
“Spengo io le luci” è un romanzo che induce alla riflessione sul ruolo della donna in alcuni contesti sociali, quindi con una valenza sociologica, ma è anche un romanzo che si focalizza sulla sfera interiore della protagonista, sui suoi sogni, i suoi desideri, le rinunce e i rimpianti. Un percorso intimo che appartiene a molte donne, in ogni angolo del mondo, nel quale possono riconoscersi e ritrovarsi.