Siria, armeni senza pace: torna l’incubo genocidio. Lettera43
Decimati dalle bombe di Assad. Dagli spari dei ribelli. Dai raid di al Qaeda e Isis. Oltre 1.000 i morti. E il popolo, rifugiatosi in Siria nel 1915, deve fuggire di nuovo.
Un secolo dopo il genocidio del 1915, il popolo armeno torna a essere vittima di massacri, in quella Siria dove gli antenati avevano trovato rifugio, e i loro luoghi della memoria sono diventati oggetto di distruzione.
Come la Chiesa dei Martiri Armeni a Deir ez-Zor, nella Siria orientale, rasa al suolo dall’Isis.
Medz Yeghern (letteralmente «Il Grande Male» in armeno), è stato il primo genocidio del Novecento, perpetrato dal governo Ottomano e costato la vita a 1 milione e mezzo di persone. A Deir ez-Zor, l’Auschwitz degli Armeni, era stato costruito il memoriale delle vittime. Ma ora non esiste più, cancellato da una nuova ferocia.
MILLE VITTIME ARMENE. La cancellazione di un simbolo, però, è diventata essa stessa il simbolo della nuova tragedia, della diaspora che vive la comunità armena in Medio Oriente.
Prima della guerra civile gli armeni di Siria erano più di 150 mila, la maggior parte viveva ad Aleppo. La capitale economica del Paese ora è semidistrutta e la comunità armena ha pagato un prezzo elevatissimo al conflitto. Almeno 1.000 le vittime e la maggioranza dei sopravvissuti è fuggita.
«Come mio nonno da Sis (in Turchia, ndr) nel 1915, ho dovuto abbandonare tutto, chissà la mia casa e la mia bottega di orafo a Midam (quartiere armeno di Aleppo, ndr) che fine faranno?», dice Agop Demirjian, arrivato a Bourj Hammoud, alla periferia Sud di Beirut, da un paio di settimane e impegnato a organizzare la nuova vita da profughi della sua famiglia.
NEL MIRINO DEI CECCHINI. Aleppo dal luglio del 2012 è spaccata in due. La divide una frontiera invisibile di quasi 20 chilometri dove gli scontri sono quotidiani e regnano i cecchini. Separati da questo confine vivono famiglie e amici, che difficilmente riescono a incontrarsi e a comunicare. Due mondi lontani, dove i pochi civili rimasti sono uniti dalla paura dei colpi di fucile. Qui la vita quotidiana è fatta di corse veloci alla ricerca di acqua e cibo o per raggiungere la scuola e il lavoro.
Questa linea di morte attraversa proprio i vecchi quartieri armeni della città. «I miliziani», racconta Agop, «posizionano carcasse di automobili e blocchi di cemento di traverso sui marciapiedi. Così, mentre cammini sei costretto a uscire allo scoperto e i cecchini fanno festa».
«PRIMA DI MUOVERMI PREGO SEMPRE». Vasquen Zinidjian, uno degli armeni che vive ancora ad Aleppo, parla per telefono con Lettera43.it: racconta che per andare e tornare da casa, nel quartiere di al-Halabi Suleiman, doveva attraversare almeno cinque strade infestate dai cecchini: «Ogni volta prima di muovermi prego: ‘Dio se mi colpiscono fammi morire subito, non voglio restare ferito ad agonizzare sulla strada e che qualcuno rischi la vita per aiutarmi’».
«Cerchiamo di difenderci dai tiratori in tutti i modi», continua Vasquen, «nelle strade più grandi abbiamo messo degli autobus per farci da scudo, nei vicoli sistemiamo dei grossi tendoni per cercare di non essere visti».
Ma questi stratagemmi non sempre funzionano: «Ieri un uomo è stato ucciso proprio davanti a me mentre sollevava la tela per entrare nel suo portone».
A scandire la giornata ci sono poi le bombe sganciate dagli elicotteri del governo, i colpi di mortaio dei ribelli e costante il rischio delle mine e degli ordigni inesplosi. «La vita è impossibile. Un minuto tutto sembra tranquillo e poi d’improvviso si scatena l’inferno. Ogni mattina», continua Vasquen, «aspetto di vedere qualcuno per la strada prima di uscire, un modo stupido di vincere la paura».
LE BARBARIE DEL FRONTE AL NUSRA. Tragicamente sembrano essere i bambini quelli che si adattano meglio alla guerra. «Correvo sempre per andare a scuola», dice sorridendo il figlio 12enne di Agop, «percorrevo solo strade che conoscevo e lungo le quali sapevo dove nascondermi. In alcune vie passavamo uno per volta, correndo a zig-zag, per rendere la vita più difficile ai cecchini. Eppure, Ahmed il mio compagno di banco è stato colpito».
La tragedia armena non si limita ad Aleppo. Lo scorso anno la cittadina armena di Kesab fu occupata dai miliziani del Fronte al Nusra (vicino ad al Qaeda), transitati senza problemi dal vicino confine turco, che costrinsero la popolazione alla fuga. Al ritorno, dopo che l’esercito governativo l’aveva liberata, gli armeni trovarono la città semidistrutta e i luoghi di culto rasi al suolo.
LE AGGRESSIONI DEI RIBELLI ANTI-ASSAD. Nell’ultimo anno a Damasco una chiesa della comunità è stata colpita dai mortai dell’Esercito Libero Siriano, i ribelli “buoni” che combattono Bashar al-Assad finanziati e armati dagli americani e dagli arabi sunniti del Golfo.
I colpi hanno ucciso due bambini. A Raqqa i combattenti salafiti hanno distrutto la Chiesa dei Martiri, nella provincia di Damasco è stato colpito uno scuolabus e due scolari armeni sono morti.
E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
«I COMBATTENTI TURCHI VOGLIONO ANNIENTARCI». «Sono centinaia», confessa Agop, «i combattenti turchi, discendenti di quelli che hanno tentato di annientarci nel 1915 che si sono uniti ai miliziani di al Qaeda e Isis. Stiamo davvero rivivendo l’incubo dei nostri antenati».
Oggi gli eredi dei cristiani armeni, che trovarono scampo in Siria, sono costretti a fuggire in Libano, in Europa o in America. La chiesa dove le ossa degli assassinati avevano trovato riposo è stata distrutta. I terreni del massacro degli armeni, un secolo dopo, sono diventati i campi di nuove uccisioni di massa. E ancora una volta il mondo sembra restare immobile.