Siria: ad Aleppo i giovani cestisti di “Al Yarmouk” a canestro contro la guerra (difesapopolo.it 03.10.19)
Risate, grida e rimbombo di palloni che rimbalzano sul parquet arrivano fino alla strada trafficata in ora di punta quasi gareggiando con i clacson costantemente pigiati come è uso da queste parti. Dentro la nuova palestra una decina di ragazzi si allenano a basket, provano palleggi, schemi di attacco e difesa. È un fuoco di fila di tiri, molti a canestro, altri si perdono sul ferro o si infrangono sul tabellone. Siamo ad Aleppo, nel quartiere Al-Zizieh, non lontano dal centro storico, oggi interamente ridotto in macerie. Come una buona parte della città, prima della guerra la capitale industriale della Siria. Il sobborgo era abitato in gran parte da cristiani. Molte famiglie con lo scoppio del conflitto sono partite o fuggite e difficilmente torneranno. Ma nella terra di san Paolo la speranza non muore. E si lavora per farle ritornare.
Sono giorni di attesa questi nel centro sportivo giovanile “Al-Yarmouk”, storico club aleppino, nato come società calcistica e successivamente aperta al basket e all’atletica. Il club fu fondato nel 1925 da un gruppo di armeni sopravvissuti al genocidio del 1915. Rifugiatisi ad Aleppo, da quel momento si impegnarono in una grande opera di sensibilizzazione sociale e di apostolato attraverso lo sport. L’attesa è per l’inaugurazione del nuovo parquet del campo di basket, finanziato interamente dalla Fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” che proprio di recente con il direttore di Acs-Italia, Alessandro Monteduro, accompagnato dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha fatto visita alla palestra. Il centro sportivo era stato colpito poco più di tre anni fa dalle bombe durante l’assedio della città, ridotto ad un ammasso di macerie. Grazie ad Acs, la comunità armeno-ortodossa ha potuto rimetterlo in piedi e riconsegnarlo ai giovani che sono tornati a giocare e a praticare sport. Prima della guerra oltre 800 giovani di tutti i riti cristiani frequentavano il centro sportivo. Oggi sta tornando a riempirsi e con il nuovo campo la speranza degli allenatori è che molti altri siano invogliati a venire. “Rise and raise”, è il motto del club che ne riassume la storia: “alzati e muoviti”.
Shant, Garo, Asadour, Garbis, Gogo, Mirela, Nareg, sono in campo a sudare. Hanno dagli 11 ai 14 anni. Praticamente tutti sono cresciuti con la guerra che di anni ne ha quasi nove. Una compagna di giochi che nessuno qui vorrebbe più avere. “La palestra è bellissima – dicono in coro -. Veniamo quasi tutti i giorni ma solo dopo aver finito i compiti a casa” aggiungono ridendo.
“Prima giocavamo in strada e quando possibile in un campetto non molto distante da qui. Con la guerra era molto pericoloso stare fuori per questo trascorrevamo le giornate in casa. I nostri genitori non ci facevamo uscire perché avevano paura che potesse accaderci qualcosa”.
Anche andare a scuola non era facile. “Bombe e razzi potevano cadere ovunque ma non avevamo paura e volevamo uscire sempre. Molte volte – ricordano – abbiamo svolto le lezioni nei sotterranei. Da due anni a questa parte la situazione è migliorata e anche il numero dei ragazzi che vengono qui è aumentato. Prima eravamo molti di meno anche perché tanti nostri amici sono partiti con le loro famiglie. Non li abbiamo più rivisti, sono in Canada e in Armenia”. Dalle maglie che indossano si capisce che amano il basket americano e Nba. Dicono di tifare per Golden State, Warriors, Lakers, Nets, Raptors, Heat, Rockets, Clippers. I giocatori preferiti? “LeBron James, Kobe Bryant, , Kevin Durant, Westbrook, il mito Michael Jordan” e molti altri. Attendono la fine dell’allenamento. Per loro è già pronto un tavolo nell’area ristorante del centro sportivo: “pizza e patatine, menù non proprio da sportivi”, ammettono, ma uno sgarro è lecito.
Il basket è la loro grande passione ma i sogni sono altri: “diventare un astronauta, un pilota, un ingegnere per ricostruire la città, un medico per curare chi è malato. Vogliamo continuare a studiare e restare qui”. Si guardano tra loro quasi a scambiarsi un cenno di intesa. E poi come in un ‘terzo tempo’ la corsa a canestro: “se andiamo via anche noi, chi rimarrà qui ad Aleppo?”
“Vogliamo restare in Siria, vogliamo continuare a vivere nella nostra città. Aleppo tornerà più bella di prima”. Più che un canestro, una schiacciata…