Sessantunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Siamo stanchi di (solo) condanne, senza azioni energiche e risolutive. Artsakh e l’Armenia sono in pericolo
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.02.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi siamo entrati nel 61° giorno dell’assedio dell’Azerbajgian della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. «Amnesty International: il #ArtsakhBlockade è un duro colpo per l’accesso all’assistenza sanitaria in Nagorno-Karabakh. La scarsità di cibo e carburante aggrava i costi del blocco in termini di diritti umani. L’Azerbajgian non rispetta i suoi obblighi in materia di diritti umani non intraprendendo alcuna azione per revocare il blocco. “Attualmente stiamo eseguendo il 10% delle operazioni. Non abbiamo abbastanza stent. Avremo un numero enorme di attacchi di cuore. Ogni giorno perdiamo tanti pazienti” (Vardan Lalayan, Cardiologo dell’Ospedale di Stepanakert)» [QUI]. Mentre il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbajgian entra nel suo secondo mese, la popolazione dell’Artsakh non ha accesso adeguato all’acqua calda e al riscaldamento nelle rigide giornate invernali con temperature fluttuanti che raggiungono i -5/-7°C. Questo è terrorismo umanitario.
Supplicare un dittatore
o aspettare pazientemente che cambi idea,
non fa altro che incoraggiarlo
e prolungare le sofferenze
di coloro che perseguita.
«È un po’ ridicolo come i politici dell’Azerbajgian cerchino di essere i “migliori” sostenitori della Turchia durante questo periodo post-terremoto, come qualcuno stesse per rubare la loro “gloria”. Questa non è una “corsa per vincere” colleghi, questa è una catastrofe umanitaria» (Arsen Torosyan, Parlamentare armeno, ex-Ministro della Salute, ex-Capo dello Staff del Governo dell’Armenia).
Nonostante la negazione del genocidio armeno da parte della Turchia, il suo ruolo distruttivo decisivo nell’aggressione dell’Azerbaigian contro l’Artsakh e l’Armenia, e il #ArtsakhBlockade in corso per far morire lentamente di fame, di malattia e di freddo 120.000 abitanti innocenti, l’Armenia ha inviato un team di soccorritori in Turchia per l’assistenza umanitaria, come abbiamo riferito ieri [QUI]. L’eroismo è quando il tuo nemico vuole sterminarti e tu mandi ancora i tuoi figli a salvare i figli del tuo nemico.
«Si terrà in Artsakh/Nagorno-Karabakh una raccolta fondi per sostenere la Siria. L’Artsakh è sotto blocco totale da 2 mesi» (Aza Sargsyan, Presidente della piattaforma di giornalismo indipendente “Free Media”, Fondatore della piattaforma di media online “Radio Azalia”, Presentatrice presso la “Radio Pubblica” dell’Armenia).
Mentre insieme al resto del mondo l’Armenia e l’Artsakh inviano aiuti a Turchia e Siria per il terremoto, il resto del mondo dovrebbe inviare truppe delle Nazioni Unite ad Artsakh per togliere l’assedio dell’Azerbajgian, e garantire la sicurezza e la libera circolazione di persone, veicoli e merci. Il primo è doveroso per salvare innocenti da un disastro naturale, il secondo è doveroso per salvare innocenti da un blocco illegale.
«A causa dell’interruzione frequente dell’approvvigionamento di gas in Artsakh da parte dell’Azerbajgian, a partire da oggi [9 febbraio 2023] l’approvvigionamento di gas verrà interrotto sei volte al giorno per un’ora, al fine di alleggerire il carico sulle linee del gas. Nessuna sorpresa qui poiché la fornitura di gas veniva spesso interrotta dall’Azerbajgian. Non sono sicuro di quale sarà il risultato della disconnessione del gas sei volte al giorno in Artsakh, ma sono certo che non sarà un bene per la gente dell’Artsakh. Ma aspetta, ecco che arriva in soccorso Amnesty International. Il Twitter account ufficiale di Amnesty International ha twittato: “Il blocco del Corridoio di Lachin ha inferto un duro colpo all’accesso all’assistenza sanitaria in Nagorno-Karabakh con la carenza di cibo e carburante che ne ha esacerbato i costi per i diritti umani. L’Azerbajgian deve agire ora per revocare il blocco”. Hanno persino pubblicato un articolo intitolato “Azerbajgian: Il blocco del Corridoio di Lachin che mette in pericolo migliaia di vite deve essere immediatamente revocato” [QUI]. Questo sicuramente aiuterà la gente dell’Artsakh. Una semplice richiesta all’Azerbajgian di revocare il blocco. Sono sicuro che questo ha terrorizzato l’Azerbajgian e grazie a te, Amnesty International, rimuoveranno immediatamente il blocco. Sono grato che tu abbia menzionato qualcosa sul blocco, ma la tua risposta dovrebbe essere più aggressiva. Sono contento che tu abbia esposto i fatti, ma voglio che tu faccia “pressione sui governi e altri gruppi potenti come le aziende. Assicurarsi che mantengano le loro promesse e rispettino il diritto internazionale”, proprio come hai affermato sul tuo sito web in quello che fai. Spero che con questa dichiarazione e questo articolo, verrà data più copertura all’Artsakh e questo blocco verrà revocato, e le persone potranno viaggiare liberamente dentro e fuori l’Artsakh (Varak Ghazarian – Medium.com, 9 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
L’indipendenza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh internazionalmente riconosciuta basata sul principio dell’autodeterminazione (stabilita al momento della secessione dall’Unione Sovietica, prima della Repubblica di Azerbajgian indipendente, di cui l’Artsakh quindi non ha mai fatto parte) è l’unica alternativa alla pulizia etnica e al potenziale genocidio dei 120.000 Armeni dell’Artsakh per mano del regine dittatoriale, guerrafondaio e genocida della dinastia Aliyev (che nel caso del #ArtsakhBlockade si nasconde dietro pseudo ambientalisti).
Sebbene oggi rivendicato e riconosciuto a livello internazionale come territorio della Repubblica di Azerbajgian, l’Oblast del Nagorno-Karabakh era sotto il sistema sovietico un’enclave autonoma ed etnicamente armena all’interno dell’Azerbajgian. Al momento della caduta dell’URSS, gli abitanti dell’Oblast del Nagorno-Karabakh dichiararono l’indipendenza dall’URSS prima che lo fece la Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian. Dopo la prima guerra del Nagorno-Karabakh, nel 1994 l’Armenia firmò un accordo di cessate il fuoco con l’Azerbajgian dopo aver ottenuto il controllo militare sia dell’ex Oblast del Nagorno-Karabakh che delle province a sud e a ovest. Queste regioni consolidate furono governate dal governo indipendente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Un’area chiamata Shahumian nel nord che aveva dichiarato l’indipendenza insieme all’Oblast del Nagorno-Karabakh, rimaneva sotto il controllo dell’Azerbajgian, anche se rivendicata dalla Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Questa era in grandi linee la situazione prima della guerra dei 44 giorni del 2020.
Ricordiamo gli Armeni etnici abitano in Artsakh dal VII secolo a.C., una regione geografica senza sbocco sul mare, sita nel Caucaso meridionale e appartenente geograficamente all’Altopiano armeno. Si sviluppa all’estremità sud orientale della catena montuosa del Caucaso Minore e copre una superficie di 8223 km². È chiamata anche Nagorno-Karabakh (letteralmente “montagna del giardino nero”), Karabakh Montagnoso, Alto Karabakh o Karabakh Superiore. L’Azerbajgian insiste di parlare solo di Karabagh (termine turco per indicare insieme della parte superiore e inferiore della regione).
«Nagorno-Karabakh è un termine coniato durante la dominazione russa della regione, iniziata nel XIX secolo. Nagorno è un prefisso derivante dal termine russo “nagorni”, che significa “elevato” o “montagnoso”, mentre Karabakh è la traslitterazione russa della parola di origine turca Karabagh, letteralmente significante “giardino nero”.
Dare un nome a un territorio e imporlo significa poterlo effettivamente controllare: ed è per questo che durante l’epoca russa e sovietica il termine Nagorno-Karabakh è prevalso sul nome armeno della regione, Artsakh. Questo era il nome con cui le impervie montagne della regione erano denominate nel contesto di un’omonima provincia dell’antico regno armeno di cui il Nagorno-Karabakh ha rappresentato il cuore pulsante. Dietro ogni etimologia c’è una storia lunga fatta di precisi rapporti di forza.
Parlare di Artsakh è, per gli armeni, un importante fattore identitario, finalizzato a rivendicare la continuità storica dell’attuale repubblica con l’antico predecessore che si confrontò con le grandi potenze dell’area mediterranea e dell’Asia minore, l’Impero romano e quello persiano, tra il II secolo avanti Cristo e il IV secolo dopo Cristo.
Tigrane il Grande, re d’Armenia dal 95 al 55 a.C., che si confrontò con le armate romane di Pompeo prima di divenire alleato della Res Publica, fondò una città intitolata a se stesso, Tigranakert, a una cinquantina di chilometri dall’attuale capitale dell’auto-proclamata Repubblica dell’Artsakh, Stepanakert.
Quando nel 387, dopo la spartizione dell’Armenia tra Roma e la Persia, la dinastia sasanide assoggettò l’Artkash l’Armenia era diventato il primo Stato ufficialmente cristiano al mondo e in una popolazione già ai tempi divisa tra gli armeni e altre tribù caucasiche, la cultura nazionale si sedimentò. Proprio dall’Artkash, al monastero di Amaras, si ritiene che si sia irradiata con forza tale cultura sulla scia della predicazione religiosa e umanista di una delle figure più significative della storia nazionale, Mesrop Mashtots, venerato come santo dalla Chiesa armena. Mashtots, vissuto a cavallo tra IV e V secolo, predicò il Vangelo nelle impervie terre caucasiche ed è ritenuto l’inventore del moderno alfabeto armeno» (Andrea Muratore, Nagorno-Karabakh: storia di una terra contesa – Inside Over, 1° ottobre 2021).
«Il regime dittatoriale di Aliyev in Azerbaigian continua nel rigido inverno con il #ArtsakhBlockade di 120.000 persone da 60 giorni, l’interruzione della fornitura di energia elettrica da 32 giorni, l’interruzione della fornitura di gas per 8 volte nell’arco di 18 giorni. Questo delitto contro l’umanità deve essere punito» (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, 9 febbraio 2023).
«Inverno freddo e rigido con interruzione della fornitura di gas da parte dell’Azerbajgian e grave carenza di elettricità. La gente resiste, la gente lotta, ma per quanto tempo? È già il terzo mese del #ArtsakhBlockade» (Siranush Sargsyan, 10 febbraio 2023).
Nel 61° giorno di blocco dell’Artsakh, mentre l’Azerbajgian chiude regolarmente il gasdotto che viene dall’Armenia, interrompendo le forniture di gas, le scuole usano stufe a legna per riscaldare le aule. Questo mi ha fatto tornare alla memoria la nostra aula della scuola materna nell’anno 1951, che veniva riscaldata con la stufa a carbone… anche se non era per un blocco ma perché non c’erano ancora i termosifoni, neanche nelle case del nostro villaggio.
Con un reportage sulla guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian in Nagorno-Karabakh, pubblicato sul mensile Jesus a dicembre 2020, il giornalista Daniele Bellocchio ha vinto il premio giornalistico Ivan Bonfanti 2021.L’articolo, pubblicato con un reportage fotografico di Roberto Travan, raccontava in presa diretta i 44 giorni della guerra dell’Azerbajgian contro la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.
Bellocchio, 31 anni, laureato in Storia all’Università degli Studi di Milano, è giornalista free-lance e dal 2012 si occupa di Africa, Centro-America, Balcani e Caucaso per varie testate italiane e straniere. Nel 2013 ha pubblicato con Mondadori l’e-book Viaggio al centro della guerra, che racconta l’esperienza a Mogadiscio e in Nord Kivu. Ricevuta la notizia dell’assegnazione del premio, Bellocchio ha ringraziato «tutte le donne e gli uomini del Nagorno-Karabakh che mi hanno donato ciò che di più prezioso e intimo un uomo possiede: il proprio dolore. «Grazie», ha detto ancora il giornalista in un post su Facebook, «per avermi aiutato a raccontare e descrivere la tragedia di una terra tanto numinosa quanto dannata. Grazie per avermi dato il pane nei giorni in cui il cibo non arrivava in città e per avermi ospitato nei vostri rifugi ogni volta che i bombardamenti facevano tremare Stepanakert dalle fondamenta. Grazie per avermi protetto, nascosto e tenuto al riparo da rassegnazione e bombe a grappolo».
Daniele Bellocchio ha pubblicato su Inside Over del 27 dicembre 2020 l’articolo La catastrofe umanitaria minaccia il Nagorno-Karabakh, concludendo: «La tragedia è imminente e per comprendere la portata di quanto sta accadendo è bene citare un altro passaggio della relazione degli osservatori dei Diritti Umani che lanciano un appello finale, dai toni disperati, nei confronti della comunità internazionale: “Fermate il prima possibile lo spopolamento della nativa gente armena dall’Artsakh, e anche l’eventuale suo sterminio”» [QUI].
Il Consiglio di Coordinamento delle Organizzazioni Armene di Francia (CCAF) ha organizzato una manifestazione davanti all’Assemblea Nazionale francese a sostegno dell’Artsakh, alla quale hanno partecipato anche i Co-Presidenti del CCAF, l’Eurodeputato francese François-Xavier Bellamy, autore, insegnante di scuola superiore ed ex Vicesindaco di Versailles; la Deputata Isabelle Santiago, Vicepresidente della Commissione Difesa e Vicepresidente della Delegazione per i Diritti dei Bambini; e Jean-Vasken Alyanakian, Presidente dell’Associazione Francese degli Avvocati e Giuristi Armeni (AFAJA).
I membri dell’Iniziativa umanitaria Aurora e i leader della comunità umanitaria globale hanno rilasciato una dichiarazione [QUI], in merito all’attuale situazione nel Nagorno-Karabakh (Artsakh), che minaccia di sfociare in una crisi umanitaria su vasta scala nella regione. Questi difensori dei diritti umani e attivisti per la pace di fama internazionale sono estremamente preoccupati per l’indifferenza del mondo e chiedono un’azione immediata. Riportiamo di seguito la dichiarazione nella nostra traduzione italiana dall’inglese:
«Il 12 dicembre 2022, le forze azere hanno bloccato il corridoio di Lachin, l’unica strada di montagna che collega l’Armenia e l’enclave dell’Artsakh. Prima del blocco, il corridoio veniva utilizzato per la consegna di rifornimenti vitali, compresi cibo e medicinali. Il blocco sta creando una catastrofe umanitaria.
Il 13 dicembre, incoraggiato dall’indifferenza del mondo, l’Azerbajgian ha interrotto anche l’approvvigionamento di gas, mettendo la popolazione locale nell’immediato pericolo di morte per assiderazione.
Gli eventi che si stanno svolgendo ora in Artsakh ci ricordano la tragedia di Srebrenica nel 1995. Migliaia di persone morirono quando la mancanza di una reazione tempestiva a simili provocazioni e la generale inerzia delle forze di pace internazionali portarono allo sterminio di massa di civili in quello che in seguito divenne noto come il genocidio di Srebrenica. Questo non deve accadere nell’Artsakh, specialmente quando ci sono mezzi noti per impedirlo.
I movimenti delle forze azere tradiscono un tentativo di pulizia etnica, un genocidio nel continente europeo, e dovrebbero essere trattati come tali, senza possibilità di clemenza. La mancanza di una reazione rapida e unificata da parte della comunità internazionale non farà che convincere il governo azero che può continuare con assoluta impunità, senza subire conseguenze per le sue azioni.
La storia conosce diversi esempi di ciò che potrebbe portare tale pericolosa sfrenatezza, alcuni dei quali ancora freschi e dolorosi nella nostra memoria, come il tragico destino del gruppo etnico Tutsi durante il genocidio del 1994 in Ruanda.
Un ponte aereo umanitario internazionale dovrebbe essere organizzato immediatamente nell’Artsakh, consegnando cibo e altri beni di prima necessità alla popolazione locale ed evacuando coloro la cui vita è in pericolo. Tra questi vi sono diversi pazienti del Centro Medico Republicano di Stepanakert in gravi condizioni che necessitano di cure mediche urgenti che non possono essere adeguatamente fornite a causa del blocco.
Il blocco illegale dell’Artsakh deve essere rotto con tutti i mezzi necessari. Il collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il resto del mondo deve essere ripristinato. Gli Armeni hanno vissuto su queste terre per migliaia di anni e non dovrebbero essere sottoposti a pulizia etnica.
Nel frattempo, mentre la strada rimane bloccata, il ponte aereo umanitario dovrebbe aiutare la popolazione locale a sopravvivere e sostenersi. Esiste già un aeroporto operativo a Stepanakert, che può essere utilizzato per questo scopo. Ciò non richiederà ulteriori sforzi da parte della comunità internazionale se non quelli necessari per mantenere il ponte aereo e garantirne la sicurezza.
Ancora una volta, questo è stato fatto con successo prima. Nel 1948 scoppiò una crisi a Berlino, divisa e controllata dalle forze alleate e dalle truppe sovietiche. Mentre Stalin cercava di tagliare la città e privarla di cibo, acqua ed elettricità, l’unico collegamento rimasto erano i corridoi aerei utilizzati dalle forze statunitensi per traghettare i rifornimenti ai settori isolati.
Aiutare la popolazione dell’Artsakh organizzando il ponte aereo rientra esattamente nella dottrina legale della responsabilità di proteggere (R2P) che stabilisce che la comunità internazionale ha la responsabilità di intervenire e intraprendere azioni collettive appropriate se la popolazione di un singolo stato si trova ad affrontare la minaccia di genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. Questo impegno politico e legale globale è stato progettato specificamente per prevenire e diffondere situazioni come questa e deve essere invocato in questo caso.
Tracciamo parallelismi tra la crisi di Berlino del 1948 e la situazione odierna perché dopo la Seconda Guerra Mondiale, i leader politici hanno iniziato a pronunciare la frase “Mai più”. Sebbene sia un bel sentimento, a merito di coloro che lo ripetono, rimarrà solo questo – un sentimento – a meno che non ci siano azioni tangibili per sostenerlo. L’Artsakh è l’occasione del mondo per prevenire un genocidio moderno, e le conseguenze del mancato raggiungimento sarebbero troppo atroci anche solo per prendere in considerazione questa opzione.
Gli eventi del dicembre 2022 in Artsakh hanno rivelato, con straordinaria chiarezza, le reali intenzioni del governo di Aliyev riguardo ai residenti armeni di Artsakh. Dopo aver tentato senza riuscirci di cacciarli dalla loro terra con la forza – o, nelle sue stesse parole, “per inseguire gli abitanti di Artsakh come cani”, il Presidente Aliyev è ora più che disposto a sottoporli alla tortura della morte lenta per congelamento e fame. Non gli può essere permesso di farlo, né gli si può affidare alcun diritto legale per governare su di loro poiché ha dimostrato una palese mancanza di preoccupazione.
Il caso di Hitler, insieme a diversi esempi più recenti, avrebbero dovuto insegnarci che placare i dittatori non funziona. Capiscono solo il linguaggio della responsabilità. Prima avviene l’intervento, meno forza è necessaria per far deragliare i loro piani e rimettere in carreggiata l’umanità.
Supplicare un dittatore o aspettare pazientemente che cambi idea non fa altro che incoraggiarlo e prolungare le sofferenze di coloro che perseguita.
Il Presidente Aliyev deve essere fermato, ed è responsabilità del mondo farlo accadere, con la massima urgenza».
Firmata da: Fartuun Adan, Vincitore del Premio Aurora 2020, Direttore esecutivo Elman Peace and Human Rights Center; Noubar Afyan, Co-fondatore Iniziativa umanitaria Aurora, Fondatore e CEO Flagship Pioneering, Co-fondatore e Presidente Moderna; Jamila Afghani, Vincitore del Premio Aurora 2022, Presidente Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà Afghanistan; Margherita Barankitse, Vincitore del Premio Aurora 2016, Fondatore Maison Shalom International; Tom Catena, Presidente Movimento Globale Aurora, Vincitore del Premio Aurora 2017, Direttore medico Ospedale Madre della Misericordia; Ara Darzi, Presidente Comitato di Selezione del Premio Aurora, Co-direttore dell’Institute of Global Health Innovation presso l’Imperial College di Londra; Mirza Dinnayi, Vincitore del Premio Aurora 2019, Co-fondatore Air Bridge Iraq; Shirin Ebadi, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Fondatore Centro per i difensori dei diritti umani, Premio Nobel per la pace 2003; Ilvad Elman, Vincitore del Premio Aurora 2020, Direttore del programma Elman Peace and Human Rights Center; Leymah Gbowee, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Fondatore e Presidente Gbowee Peace Foundation Africa, Premio Nobel per la pace 2011; Bernard Kouchner, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Co-fondatore Medici Senza Frontiere, ex Ministro degli Esteri francese ed ex Ministro della Sanità; Julienne Lusenge, Vincitore del Premio Aurora 2021, Co-fondatore Fondo per le donne congolesi; Dele Oljede, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Scrittore, Editore, Vincitore del Premio Pulitzer; Paolo Polman, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Leader aziendale, Attivista per il clima e le pari opportunità, ex Amministratore delegato di Unilever; Maria Robinson, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, ex Presidente dell’Irlanda; Ernesto Zedillo, Membro Comitato di Selezione del Premio Aurora, Direttore Centro per lo studio della globalizzazione presso l’Università di Yale, ex Presidente del Messico.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]