Sedicesimo giorno del #ArtsakhBlockade – Prima parte. L’apparente incapacità del mondo di ascoltare la richiesta di aiuto degli Armeni, porterà a nuove conseguenze atroci. Per loro e per noi tutti (Korazym 27.12.22)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel sedicesimo giorno del #ArtsakhBlockade, il regime autoritario dell’Azerbajgian continua con l’impiego di sedicenti ecoattivisti azeri ad interrompere l’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.
Le forze di mantenimento della pace russe sono in Artsakh per garantire la sicurezza dell’Artsakh. Però, con il Corridoio di Berdzor (Lachin) bloccato dall’Azerbajgian, l’Artsakh non è al sicuro. Il Vicecomandante delle forze di pace russe nei giorni scorsi ha informato cinque rappresentanti di un gruppo di Armeni che non era possibile garantire il loro passaggio sicuro per l’Artsakh, poiché gli Azeri che hanno bloccato il Corridoio potrebbero organizzare provocazioni e minacciare la loro vita.
Non sono nemmeno Armeno, ma sono comunque scioccato. Sono sempre più scioccato dall’apparente incapacità del mondo di ascoltare quando gli Armeni chiedono aiuto, sono schifato dalla cappa di silenzio giornalistica. Quando l’Azerbajgian, con l’aiuto della Turchia e dei terroristi mercenari jihadisti ha lanciato la sua orrenda guerra contro l’Artsakh e l’Armenia nel 2020, non è apparsa la bandiera dell’Artsakh sui foto profilo e sui balconi. I leader mondiali e le organizzazioni internazionali come Human Rights Watch, Amnesty International e i professionisti della protesta sono rimasti in silenzio. Quel silenzio ha incoraggiato Ilham Aliyev a bloccare oggi 120.000 persone nella più grande prigione all’aria aperta del mondo.
Ogni giorno che passa – da quando ho iniziato ad occuparmi di Arsakh e di Armenia, dal primo giorno della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh il 27 settembre 2020 – mi sento sempre più Armeno.
Pensando al popolo armeno-cristiano dell’Artsakh, mi viene in mente il moto Il n’est pas besoin d’espérer pour entreprendre ni de réussir pour persévérer (Non c’è bisogno di sperare per intraprendere o di riuscire per perseverare) del nostro Principe Willem I di Oranje-Nassau, detto il Taciturno (1533 – 1584), che fu il capo della rivolta dei Paesi Bassi spagnoli contro il Re di Spagna, Filippo II. Questa rivolta, spesso chiamata Guerra degli Ottant’anni, portò all’indipendenza delle Province Unite dei Paesi Bassi. È stato una delle figure chiave nella creazione della nazione dei Paesi Bassi. L’inno nazionale “Het Wilhelmus” è stato scritto in suo onore.
Come 500 anni fa nei Paesi Bassi, questa dell’Artsakh è una lotta tra la volontà umana e la dittatura. Questa è una lotta tra le persone che difendono i propri diritti e il tiranno che li viola sfacciatamente. Questa è una lotta per l’autodeterminazione.
Questa è la dinastia Aliyev che festeggia il compleanno del leader maximus. Mentre il popolo armeno-cristiano dell’Artsakh affronta una crisi umanitaria per il blocco azera del Corridoio di Berdzor (Lachin), la consorte di tiranno azero e Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian posta su Twitter la foto, con la didascalia in azero e in russo: «24.12.2022. Buon compleanno, signor Presidente! Possa Dio Onnipotente proteggere te e il popolo dell’Azerbajgian!» (Mehriban Aliyeva @1Vicepresidente – 23 dicembre 2022 Ore 21.02).
Le forze di pace russe sono in grado di fermare gli Armeni che tentano di entrare da entrambi i lati nel Corridoio di Berdzor (Lachin), da Goris e da Stepanakert, incontrandoli con filo spinato e veicoli militari, ma non gli è venuto in mente di farlo quando hanno visto gli autobus degli Azeri fermarsi e scaricarli nel Corridoio. È più probabile che dietro l’intero circo di #ArtsakhBlockade ci sia la Russia. Difficile dire quale sia il loro programma. Forse stanno usando l’Azerbajgian per ricattare l’Armenia a concedere concessioni politiche. Proprio come Baku fa con i prigionieri di guerra, ora tengono in ostaggio l’intera popolazione dell’Artsakh, con gli “eco-attivisti”, giovani Azeri che cantano e ballano mentre bloccano cibo e medicine a 30.000 bambini Armeni, separando centinaia di bambini dai loro genitori già da più di due settimane. I “ballerini di strada” stanno portando il concetto di genocidio a nuovi livelli, sostenuto da Aliyev, che dovrà affrontare accuse penali da parte della Corte Europea dei Diritti Umani, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti e di altre organizzazioni internazionali per aver causato l’#ArtsakhBlockade. La comunità internazionale sta osservando molto da vicino i loro “passi di danza”. Vediamo come va a finire.
Nel frattempo, il produttore turco di droni Baykar registra ufficialmente una filiale in Azerbajgian per la produzione di UAV (Unmanned Aerial Vehicle, velivolo senza pilota) direttamente lì, con un investimento iniziale di 1 milione di dollari in capitale e come rappresentante legale della nuova azienda a Baku il colonnello turco in pensione, Hüseyin Topuz.
E ora nel Corridoio di Berdzor (Lachin) c’è pressione aperta per ottenere un corridoio extraterritoriale sul territorio sovrano dell’Armenia, tra le altre cose, ha detto in un’intervista alla TV pubblica dell’Armenia il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia, Armen Grigoryan.
Inoltre, gli “studenti” pakistani in Azerbajgian hanno espresso la volontà di unirsi agli “eco-attivisti” azeri che bloccano il Corridoio, secondo una dichiarazione del Consiglio dell’Associazione degli studenti pakistani dell’Azerbaigian.
Tutto questo non promette niente di buono.
Il Natale in Artsakh sotto il blocco
di Siranush Sargsyan [*]
Armenian Weekly, 25 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Vi siete mai chiesti come sia il Natale mentre vivete sotto assedio? Ad Artsakh, 120.000 persone, tra cui 30.000 bambini, vivono sotto un blocco, tagliati fuori dall’unica strada che li collega al mondo. I bambini temono che Babbo Natale non venga a causa della chiusura illegale della strada. Come si fa a costruire ed elevare uno spirito festoso quando le ferite di questi giovani devono ancora guarire dalla tragica guerra dell’Artsakh del 2020?
Nina Shahverdyan è un’insegnante di inglese nel villaggio di Herher nella regione di Martuni. Ha messo in scena A Christmas Carol di Charles Dickens con i suoi alunni. La storia presenta temi di compassione, redenzione, generosità e amicizia. Mentre le persone in diverse parti del mondo si stanno preparando per il Natale e il nuovo anno, migliaia di famiglie in Artsakh sono preoccupate di sopravvivere alla stagione invernale sotto il blocco.
Il Natale è un momento di condivisione. Dopo due settimane di blocco in Artsakh, l’atto di condivisione è inteso nel senso più letterale. Di fronte alla carenza di cibo, medicine, carburante e altri beni vitali, le persone hanno condiviso le proprie risorse e barattato tra loro.
La signora Nina, che lavora nel mercato di Stepanakert, racconta che le mamme vengono a chiedere l’elemosina per un chilogrammo di patate e carote per fare la zuppa o il purè per i bambini. È impossibile trovare omogenizzati nelle farmacie. Alla domanda sulla celebrazione del Capodanno e del Natale, la Signora Nina dice: “Non abbiamo il coraggio di festeggiare il Capodanno e il Natale sotto il blocco, quando non sappiamo nemmeno se sopravviveremo”.
Angela, il cui marito è morto durante la prima guerra, è madre di due figli. Ricorda di aver privato suo figlio di un biscotto durante la prima guerra; ora la crisi attuale ha privato i suoi nipoti del cibo essenziale. “Vivo per creare un’atmosfera natalizia per i miei nipoti, ma loro [gli Azeri] sono venuti e hanno distrutto tutto. Hanno anche tolto quel piccolo piacere. Con quale spirito dobbiamo accogliere il Natale? Con quali aspettative?”
Si dice che il Natale sia un momento in cui le famiglie si uniscono. Al momento, ci sono più di mille cittadini dell’Artsakh in Armenia che vogliono tornare a casa dalle loro famiglie, ma non possono. Tra loro ci sono bambini che sono andati a partecipare a eventi culturali e sportivi, pazienti che hanno ricevuto cure e centinaia di studenti.
Ani studiava a Shushi. Quando Shushi venne occupata dopo la guerra dei 44 giorni, dovette trasferirsi a Yerevan per continuare i suoi studi all’Accademia Statale di Belle Arti dell’Armenia. Ha perso il padre durante la guerra, e per questo sente più forte la propensione a trascorrere il Natale con la madre, i fratelli e la nonna. Ani è una delle centinaia di studenti che hanno superato gli esami intermedi e vogliono tornare a casa, ma non possono, perché l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia è chiusa. La madre di Ani, Susanna, cerca di confortarla e le dice che almeno un membro della famiglia è in un posto più sicuro e non esposto alla scarsità di cibo. Dice che è meglio che sua figlia rimanga a Yerevan.
I bambini ricevono tradizionalmente regali a Natale. Il governo dell’Artsakh prepara ogni anno un piccolo regalo per i bambini. Questi regali sono ordinati in anticipo da Yerevan. Anche un certo numero di organizzazioni e persone inviano e fanno regali, ma anche questi regali non arriveranno a causa della chiusura della strada [**].
Più di 100 bambini sfollati da Hadrut e che attualmente vivono a Stepanakert praticano le loro lezioni d’arte nella scuola di musica. Il direttore della scuola d’arte Tatevik Mkrtchan dice che anche sotto il blocco organizzeranno l’evento natalizio per i bambini: un po’ di luce in questa oscurità, a meno che, Dio non voglia, ci bombardino, dice. I bambini sfollati di Shushi e Hadrut, che vivono in un ostello di Stepanakert credono che Babbo Natale “romperà” il blocco e porterà loro dei regali.
Il 23 dicembre si è svolta una cerimonia di accensione dell’albero di Natale a Stepanakert presso il parco Shahumyan Ring. Babbo Natale e Snow Maiden hanno portato gioia a migliaia di bambini. Tutti in Artsakh desiderano la sopravvivenza e la pace, così come la riapertura della strada per Madre Armenia e il ritorno sicuro dei loro parenti.
In A Christmas Carol, il personaggio principale Scrooge alla fine ha deciso di cambiare i suoi modi. Si sveglia la mattina di Natale vedendo il mondo nuovo e sceglie di essere gentile, generoso e compassionevole da quel giorno in poi. Il mondo sarà più gentile e compassionevole verso i 30.000 bambini e le loro famiglie sotto assedio in Artsakh in questo piccolo angolo del mondo?
[*] Siranush Sargsyan è una storica, politologa e giornalista del Armenian Weekly – un giornale armeno in lingua inglese di proprietà della Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), un partito politico socialista nazionalista e democratico fondato nel 1890, che oltre al suo ruolo politico, detiene anche un alto livello di standard giornalistico e riporta notizie di rilevanza per la diaspora armena globale. Sargsyan si è laureata presso l’Università Statale di Artsakh e l’Accademia della pubblica amministrazione della Repubblica di Armenia. La sua tesi di laurea si è concentrata sulle questioni relative allo sviluppo del sistema dei partiti nel Nagorno-Karabakh. Ha insegnato storia in un villaggio di Martuni ed è stata capo specialista dell’Assemblea nazionale della Repubblica dell’Artsakh nel Comitato permanente per la scienza, l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport.
[**] Un gruppo di Armeni trasportava sulla strada Goris-Stepanakert regali di Natale per i bambini assediati in Artsakh. Le forze di mantenimento della pace russe li hanno fermato all’inizio del Corridoio di Berdzor (Lachin). È arrivato il Vicecomandante delle forze di mantenimento della pace russe che gli ha detto che non potevano passare, perché gli pseudo-ambientalisti azerbajgiani che mantengono il blocco, potrebbero minacciare le loro vite.
Il punto di vista di un esperto su un evento in corso
L’Occidente deve agire per scongiurare la guerra in Nagorno-Karabakh
Senza un arbitro dalla mano forte, l’Azerbajgian si è sempre più mosso per risolvere i suoi problemi con la forza
di Lara Setrakian
Foreign Policy, 26 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Una donna in mezzo a una folla di manifestanti stringeva in mano una colomba senza vita, con la testa che ondeggiava avanti e indietro mentre agitava il braccio in aria. Apparentemente la colomba era stata schiacciata a morte mentre la donna parlava in un megafono, pronunciando un appassionato discorso in onore della vittoria dell’Azerbajgian sull’Armenia nella guerra del 2020 per il Nagorno-Karabakh.
Con macabro umorismo, la colomba strangolata è arrivata a incarnare il processo di pace infranto nel Caucaso meridionale. L’uccello e la sua strangolatrice facevano parte di una dimostrazione di forza politica da parte dell’Azerbajgian nel Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega gli Armeni nell’enclave del Nagorno-Karabakh al mondo esterno. Dal 12 dicembre, i manifestanti azeri hanno bloccato la strada con folle di persone e accampamenti di tende, interrompendo il normale movimento di persone e merci dentro o fuori l’enclave. Le proteste sono iniziate con denunce specifiche sull’estrazione di risorse naturali in aree detenute da Armeni etnici. Sono cresciuti in una più ampia lamentela nazionalista, sfidando il ruolo delle forze di pace russe e premendo per maggiori controlli sul Nagorno-Karabakh.
La conseguente mischia ha bloccato la merce in arrivo, tagliando cibo, carburante e forniture mediche per 120.000 Armeni etnici, secondo i dati sulla popolazione dei leader locali. Il Dipartimento di Stato americano ha invitato l’Azerbajgian ad aprire la strada e ha rilasciato una dichiarazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo lo stesso. Samantha Power, l’Amministratore dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, ha avvertito che la chiusura potrebbe “causare una significativa crisi umanitaria”. Le forniture di gas alle aree popolate da Armeni sono state interrotte per tre giorni, lasciando le persone senza riscaldamento in inverno.
Il Nagorno-Karabakh è popolato da Armeni etnici che hanno perseguito l’indipendenza dagli anni ’80, quando l’Azerbajgian e l’Armenia facevano parte dell’Unione Sovietica. Dal 1991, questi Armeni hanno costruito un’autoproclamata Repubblica di Artsakh, con un governo eletto e una serie di istituzioni pubbliche. Ufficialmente, però, il Nagorno-Karabakh fa parte dell’Azerbajgian, il cui governo ha trascorso 30 anni cercando di riaffermare il controllo federale sulla regione e sui suoi abitanti.
Nel 2020, lo status quo si è spostato a favore dell’Azerbajgian. Una guerra di 44 giorni stabilì il controllo azero su gran parte dell’area contesa. Tuttavia, parte di essa rimase abitata e autogovernata dalla popolazione armena. Le forze di pace russe sono state dispiegate per garantire protezione alle aree controllate dagli Armeni, nonché il libero passaggio attraverso il Corridoio di Lachin, la strada che i manifestanti azeri stanno ora bloccando.
Da febbraio, la guerra in Ucraina ha lasciato la Russia indebolita e la sua capacità ridotta. Senza un arbitro dalla mano forte, Baku si è sempre più mossa per risolvere i suoi problemi con la forza, anche se quegli stessi problemi sono sul tavolo dei negoziati.
Due percorsi di pace paralleli – uno facilitato dall’Unione Europea, l’altro condotto da Mosca – hanno mirato a sgonfiare la situazione e risolvere le questioni controverse, incluso lo status del Nagorno-Karabakh. Ma la potenza militare superiore e la ricchezza delle risorse naturali dell’Azerbajgian gli hanno permesso di guidare le dinamiche sul campo. Il 12 settembre ha lanciato un attacco punitivo sul territorio armeno, due settimane dopo che si erano svolti a Brussel i colloqui di pace tra il Presidente azero, Ilham Aliyev, e il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan.
“La pace così come la immagina Baku è una pace interamente stabilita alle sue condizioni”, ha detto Eldar Mamedov, analista di politica estera con sede a Brussel. “Aliyev sta cercando di esercitare pressioni sulla parte armena per reintegrare la regione del Karabakh nell’Azerbajgian vero e proprio”.
Gli Armeni del Karabakh vedono la piena integrazione in Azerbajgian senza garanzie di sicurezza come un preludio alla pulizia etnica, sia attraverso la violenza diretta che attraverso forti pressioni per lasciare le loro case. L’Azerbajgian ha promesso di trattare gli Armeni del Nagorno-Karabakh alla pari dei propri cittadini, il che offre poco conforto data la scarsa situazione dei diritti umani di Baku. Inoltre, una serie di raccapriccianti incidenti da parte dei soldati azeri, tra cui l’esecuzione di prigionieri di guerra armeni, la violenza sessuale contro le donne soldato e la mutilazione e la decapitazione di civili armeni hanno accresciuto i loro timori.
“Il destino degli Armeni del Karabakh è una questione fondamentale per porre fine all’ostilità tra i due Paesi. Nessuno ha stabilito qual è il modo migliore”, ha affermato Zaur Shiriyev dell’International Crisis Group.
All’inizio di quest’anno, il patrimonio culturale armeno in Karabakh è stato preso di mira per la cancellazione da un comitato statale a Baku, facendo eco alla distruzione di massa di manufatti culturali armeni nell’exclave azerbaigiana di Nakhchivan. Tutto ciò ha minato la fiducia che gli Armeni abbiano un posto sicuro nella società azera.
In questo clima tossico, i rischi di escalation non sono solo chiari, ma sono esplicite tattiche di pressione. L’Azerbajgian ha minacciato una nuova guerra su larga scala se le sue richieste sul Nagorno-Karabakh non saranno soddisfatte. Tali richieste sono aumentate dalla guerra del 2020 con l’aumento della leva finanziaria dell’Azerbajgian; principalmente, si concentrano sulla piena integrazione del territorio del Karabakh senza uno status protetto per gli Armeni.
La cosa più controversa è che Aliyev ha minacciato di prendere con la forza una striscia di terra attraverso l’Armenia centrale come corridoio extraterritoriale [il cosiddetto “Corridoio di Zangezur”] che collega l’Azerbajgian proprio all’enclave azera di Nakhchivan, così come alla Turchia. La sezione armena verrebbe probabilmente amministrata dalla Russia, dando a Mosca un punto d’appoggio permanente attraverso il territorio armeno e seminando il potenziale per cronici riacutizzazioni della sicurezza lungo il percorso. Potrebbe anche isolare Yerevan, la capitale dell’Armenia, dalle regioni meridionali dell’Armenia, creando scompiglio economico, amministrativo e umanitario.
Le condizioni per la stabilità nel Caucaso meridionale sono crollate e continueranno a peggiorare se vengono lasciate a se stesso. I poteri responsabili devono riconfigurare le dinamiche in modo da garantire pace e prosperità per tutti, senza che nessun Paese mangi il suo vicino a pranzo. La visione della Russia per la regione potrebbe essere quella di un conflitto in corso tra Armenia e Azerbajgian, semplicemente per giustificare la sua presenza di mantenimento della pace e darle un posto più permanente nel punto di congiunzione tra Armenia, Iran e Azerbajgian. Ma a parte questo vantaggio strategico per Mosca, il conflitto costante tra Armenia e Azerbajgian fa male a quasi tutti. Incoraggia il comportamento aggressivo della parte più forte, provoca la perdita di vite umane da entrambe le parti ed erode l’influenza occidentale e la capacità di negoziare un accordo duraturo.
Questo è il momento per l’Occidente di utilizzare le sue significative riserve di capitale non speso, attraverso leve di hard e soft power, per riportare l’Armenia e l’Azerbajgian al tavolo dei negoziati. “Ci sono considerazioni di Aliyev che potrebbero evitare una guerra su vasta scala, ma non è scontato”, ha detto Mamedov. “Ciò che lo fermerebbe è se la comunità occidentale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, inviassero un messaggio molto chiaro che l’Azerbajgian pagherà un prezzo diplomatico ed economico”.
“Bisogna avere un mediatore che sia in grado di costringere o incentivare uno Stato a fare un passo avanti. Non c’è altro modo per farlo”, ha detto Kamal Makili-Aliyev (nessun legame con il Presidente Aliyev), professore associato all’Università di Göteborg che ha scritto un libro che analizza il conflitto Armenia-Azerbajgian. Senza un forte mediatore guida, il risultato sarà un “conflitto senza fine nel Caucaso”.
La pericolosa scivolata verso il conflitto è quella che l’Occidente potrebbe abilmente risolvere. Mentre l’Unione Europea ha facilitato i recenti colloqui di pace, sono ancora gli Stati Uniti a sostenere il peso della posizione occidentale. Washington deve agire come il “supervisore” che mantiene gli sforzi diplomatici sulla buona strada, ha affermato Michael Rubin dell’American Enterprise Institute. Ciò significa maneggiare strumenti che includono la sospensione dell’assistenza militare statunitense a Baku. Gli Stati Uniti hanno fornito 164 milioni di dollari in sostegno alla sicurezza all’Azerbajgian dal 2002 al 2020, senza un controllo sufficiente delle condizioni chiave, come garantire che non fosse utilizzato dall’Azerbajgian per scopi offensivi contro l’Armenia.
Washington dovrebbe anche prendere in considerazione varie sanzioni economiche sul Paese fino a quando Baku non scelga sistematicamente la diplomazia rispetto ai risultati imposti con la forza. “Più di un’opzione nucleare sarebbero le sanzioni Magnitsky globali contro i comandanti militari [azeri], se non contro lo stesso Aliyev e la sua famiglia”, ha detto Rubin. Il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act, che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha autorizzato nuovamente in aprile, consente agli Stati Uniti di prendere di mira individui stranieri coinvolti in violazioni dei diritti umani, congelare i loro beni con sede negli Stati Uniti, limitare l’accesso ai visti statunitensi e bloccare le transazioni commerciali.
La Svizzera potrebbe diventare un custode e garante più esplicito delle Convenzioni di Ginevra, che vengono violate sul campo. L’Unione Europea potrebbe imporre sanzioni mirate, coerenti con il suo impegno per i diritti umani. Abbinando la responsabilità agli incentivi, l’Unione Europea e gli Stati Uniti possono offrire migliori relazioni commerciali se i problemi tra Armenia e Azerbajgian saranno risolti. Baku può essere un partner più responsabile e produttivo per i suoi alleati se frena i comportamenti aggressivi.
Per ottenere un accordo di pace globale nel Caucaso meridionale, i poteri responsabili devono sfruttare gli edulcoranti e le conseguenze per mettere gli Stati su un percorso pacifico. L’Armenia può anche essere spinta ad adottare misure che ha a lungo rinviato, compreso un processo di giustizia di transizione che tenga conto degli abusi e delle violazioni da entrambe le parti in oltre 30 anni di conflitto. Ci vorrà un importante investimento diplomatico, ma c’è un precedente di successo con un tale approccio, anche nei conflitti interstatali di lunga durata. L’investimento ripagherà nel ripristino della sicurezza, rischi radicali evitati e valore sostenibile creato nella regione.
Alla fine, Makili-Aliyev ha detto: “Favorirà tutti i soggetti coinvolti”.
[*] Lara Setrakian è una giornalista e Presidente dell’Applied Policy Research Institute con sede a Yerevan, Armenia.
Il mal di testa dell’Azerbajgian
di Manvel Sargsyan [1]
Analyticon [2], dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dal russo)
L’Azerbajgian, per bocca dell’Assistente del Presidente di questo Paese, ha ribadito di non voler discutere con nessuno i problemi degli Armeni che vivono in Nagorno-Karabakh, in primis con l’Armenia. Tale dichiarazione è stata fatta dopo la Dichiarazione del Ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov, secondo cui la stessa Armenia ha riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian e questo facilita il lavoro nel processo di negoziazione. Dopo tale dichiarazione, è stata immediatamente lanciata una campagna per bloccare la strada Stepanakert-Goris, che è l’unico collegamento tra l’Artsakh e l’Armenia. Questa volta è stata annunciata una nuova ragione per tali azioni dell’Azerbajgian: i problemi ambientali. Tuttavia, gli osservatori non hanno dubbi sul fatto che questa azione sia una continuazione dell’attuazione di intenzioni politiche non mascherate per isolare l’Artsakh ed eliminarlo come focolare armeno.
Queste intenzioni si sono chiaramente manifestate durante l’intensificazione politico-militare di agosto in Artsakh, quando l’Azerbaigian ha emesso un ultimatum alla leadership di Artsakh per riorientare immediatamente il traffico automobilistico verso la nuova strada da esso costruita, aggirando la città di Lachin e liberando gli insediamenti nel Corridoio di Lachin. L’inverosimile “azione di ritorsione” militare che accompagnava questo ultimatum aveva lo scopo di trasmettere alla parte armena la serietà delle sue intenzioni di completare la politica di isolamento e liquidazione dell’Artsakh armeno e l’annessione definitiva di questo territorio. Quindi l’Azerbajgian ha raggiunto i suoi obiettivi con il tacito consenso del contingente di mantenimento della pace russo.
Poiché le azioni dell’Azerbajgian non cambiano affatto il loro carattere e rappresentano una minaccia esistenziale per la sicurezza dei residenti dell’Artsakh, l’analisi delle intenzioni politiche dell’Azerbajgian e la strategia formata dalla sua leadership per raggiungere queste intenzioni rimane un tema caldo. Ha senso comprendere a fondo le origini dei principi di questa politica, le sue risorse e le difficoltà oggettive della sua attuazione.
In questo senso, è necessario sottolineare immediatamente che l’intera politica dell’Azerbajgian si basa sulla negazione dei diritti dell’Armenia sul Nagorno-Karabakh e sull’usurpazione dei diritti degli Armeni, proprietari dei territori contesi. Di conseguenza, il punto centrale delle azioni dell’Azerbajgian si riduce all’isolamento dell’Artsakh dall’Armenia, sia nella sfera della diplomazia mondiale che “sul campo”.
Gli attuali problemi dell’Azerbajgian derivano dal fatto che, nonostante il fatto che dal crollo dell’URSS e dall’internazionalizzazione del problema del Karabakh, l’Azerbajgian abbia sempre cercato di presentare l’essenza del conflitto nell’”occupazione delle terre azere da parte dell’Armenia”, nel campo della diplomazia internazionale, all’Armenia è stato riconosciuto un numero significativo di diritti nel caso che determina il destino del Nagorno-Karabakh. Al popolo dell’ex Oblast Autonoma del Nagorno Karabakh [creata il 7 luglio 1923 all’interno della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian] è stato riconosciuto il diritto all’autodeterminazione sotto forma di plebiscito con riconoscimento obbligatorio dei suoi risultati da parte di tutti. L’Armenia è stata riconosciuta come parte del conflitto e partecipante alla pari ai negoziati. L’Armenia, in quanto membro dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) e uno degli 11 membri del Gruppo di Minsk, ha dovuto preparare una conferenza internazionale su base paritaria con tutti gli altri per determinare lo status del Nagorno-Karabakh.
Accettando le proposte del Gruppo di Minsk come base per i negoziati, l’Azerbajgian ha riconosciuto involontariamente tutti i diritti dell’Armenia. La partecipazione al processo di negoziazione per l’Azerbajgian è stato un metodo per scongiurare la potenziale minaccia del riconoscimento internazionale dell’indipendenza del Nagorno-Karabakh. In effetti, l’Azerbajgian si stava preparando per il modo militare di prendere il Nagorno-Karabakh. Negli ultimi decenni, la diplomazia azera si è impegnata a preservare il diritto del suo Paese sul Nagorno-Karabakh. Il successo di tale diplomazia è stata facilitata dalla politica dell’Armenia nei primi giorni dell’indipendenza, quando nel 1991 sono stati riconosciuti l’indipendenza, la sovranità e i confini esistenti dell’Azerbajgian e l’indipendenza del Nagorno-Karabakh non è stata riconosciuta.
Avendo ricevuto il riconoscimento internazionale della propria indipendenza a condizione di accettare l’obbligo di risolvere il conflitto con mezzi pacifici, nel 1992 l’Azerbajgian ha violato tale obbligo e ha usato la forza contro il Nagorno-Karabakh. Tuttavia, le sue azioni aggressive si sono concluse con la sconfitta nella guerra e la completa perdita del Nagorno-Karabakh e di sette regioni adiacenti. Lo status quo allora stabilito, in cui il territorio era sotto il controllo dell’Armenia, e tutti i diritti su questo territorio rimanevano all’Azerbajgian, consentiva a quest’ultimo di presentare la situazione di conflitto a seguito dell’occupazione dei suoi territori da parte dell’Armenia. Tuttavia, quattro risoluzioni delle Nazioni Unite del 1993 richiedevano il ritiro delle truppe armene esclusivamente dai territori adiacenti all’Nagorno-Karabakh, previa cessazione delle ostilità. Sulla base delle disposizioni di tali risoluzioni, il Gruppo di Minsk ha periodicamente presentato progetti di transazione:
- A. Consenso dell’Azerbajgian alla conservazione del Corridoio che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia attraverso il territorio della regione di Lachin.
- B. Consenso all’ingresso di un contingente internazionale di truppe di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh.
- C. Riconoscimento dello status temporaneo del Nagorno-Karabakh e organizzazione di un plebiscito sul suo status.
Questa era l’idea della soluzione di compromesso proposta. Ma l’accettazione di tali condizioni ha significato il consenso dell’Azerbajgian alla perdita del Nagorno-Karabakh in modo legale. L’Azerbajgian non ha mai mostrato alcuna intenzione di accettare tali condizioni. L’Armenia non ha compiuto alcuno sforzo per cambiare la situazione attuale e privare l’Azerbajgian dei diritti esclusivi sul Nagorno-Karabakh. In particolare, non è stata riconosciuta l’indipendenza della Repubblica di Nagorno-Karabakh. L’intero complesso dei diritti è rimasto all’Azerbajgian. Di conseguenza, nessuno ha messo in dubbio il diritto di usare la forza militare per ripristinare l’integrità territoriale.
Dal 2010, l’Azerbajgian ha perseguito una politica di formazione di relazioni alleate con la Turchia e una politica di cooperazione tecnico-militare con la Russia. Lo scopo era modernizzare l’esercito azero e coinvolgere questi Paesi nei programmi futuri dell’Azerbajgian per la soluzione militare del conflitto. Nel 2016 è stato testato uno scenario militare. A seguito dei suoi risultati, l’Azerbajgian ha rafforzato la sua posizione e ha rifiutato le richieste del Gruppo di Minsk, prima di tutto, di accettare lo status temporaneo del Nagorno-Karabakh. Pertanto, è stato mostrato il rifiuto delle proposte e di ulteriori “servizi” del Gruppo di Minsk dell’OSCE.
L’Azerbaigian si è rivolta alla Russia e alla Turchia e ha coinvolto questi Paesi nel suo programma di soluzione militare del problema del Nagorno-Karabakh. Nel 2020 è stata condotta un’operazione militare congiunta per distruggere l’esercito di difesa del Nagorno-Karabakh e dividere il territorio della Repubblica di Nagorno-Karabakh in due parti controllate da Russia e Azerbajgian. Le truppe armene furono completamente estromesse dal territorio del Nagorno-Karabakh nei due anni successivi. Tuttavia, l’Armenia ha mantenuto i suoi diritti derivanti dalla dichiarazione congiunta tripartita dei capi di Armenia, Azerbajgian e Russia del 9 novembre 2020. In particolare, sono preservati il diritto di chiedere il ritiro delle truppe russe dal Nagorno-Karabakh, nonché i requisiti per l’Azerbajgian di rispettare gli obblighi previsti dalla dichiarazione congiunta.
Dopo aver ottenuto la maggior parte del territorio del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian si è reso conto che il problema per loro era presentato dai diritti da loro riconosciuti negli ultimi decenni all’Armenia per risolvere il problema del Nagorno-Karabakh. Questa circostanza ha plasmato la strategia della politica azera al momento. In accordo con questa strategia, l’Azerbajgian ha intrapreso le seguenti azioni:
- avanzare l’idea che il conflitto del Karabakh sia risolto e che il problema della protezione dei diritti e della sicurezza degli Armeni del Karabakh sia una questione interna dell’Azerbajgian;
- tentare di abbandonare qualsiasi negoziato con l’Armenia sul problema del Nagorno-Karabakh;
- tentare di abbandonare del Gruppo di Minsk, dove sussistono i problemi di diritti dell’Armenia e dello status del Nagorno-Karabakh;
- rifiutare di firmare il mandato delle forze di pace, che anche l’Armenia deve firmare;
- collegare la questione del Corridoio di Lachin con il Corridoio di Zangezur;
- strisciante espansione militare e politica nel territorio del Nagorno-Karabakh;
- ultimatum alla Russia per il disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh;
- pubblicizzare l’intenzione di rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia con accuse contro l’Armenia di “uccisioni di massa di Azeri” nella Prima Guerra del Karabakh, nonché con una richiesta di risarcimento danni a seguito dell’”occupazione” del territorio azero;
- formazione di meccanismi per il ricatto e la corruzione di rappresentanti dell’élite al potere dell’Artsakh.
Scopo: sconfessare tutti i meccanismi internazionali di influenza sulla politica di isolamento ed eliminazione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh e l’annessione definitiva di questo territorio. L’obiettivo intermedio è stabilire il controllo su Stepanakert e costringere la popolazione ad accettare la cittadinanza azera o a lasciare il Paese. A tal fine, l’idea di “criminali di guerra” il cui destino può essere deciso dal sistema giudiziario dell’Azerbajgian è già stata lanciata nella circolazione delle informazioni.
La principale risorsa per portare avanti questa politica è la collusione con la Russia e il sostegno della Turchia. Ulteriori risorse si vedono nelle possibilità di influenzare le posizioni dei Paesi europei attraverso i programmi per la fornitura di risorse energetiche.
Il principale ostacolo all’attuazione della politica dell’Azerbajgian è il fattore Armenia. Non la politica dell’Armenia stessa, ma il fatto dell’esistenza dell’Armenia nell’interesse dei Paesi della regione e delle potenze mondiali. Troppi problemi regionali sono legati all’Armenia e gli interessi delle autorità interessate nel Caucaso meridionale sono troppo contraddittori. Molti ostacoli sono contenuti anche nelle contraddizioni di molte posizioni dell’Azerbaigian con gli Stati Uniti e la Francia, nonché con i suoi vicini, Russia e Iran. Nel caso dell’Iran, si stanno attualmente manifestando tendenze che possono cambiare radicalmente gli equilibri di potere nella regione e attualizzare problemi completamente nuovi per l’Azerbajgian. Le tendenze emergenti di riavvicinamento dell’Iran alla Russia potrebbero anche cambiare la politica di quest’ultima nei confronti dell’Azerbajgian. Apparentemente, questo è ciò che fa precipitare l’Azerbajgian nella questione della soppressione finale del fattore Artsakh.
La trappola “ecologica” dell’Azerbajgian
di Styopa Safaryan [3]
Analyticon [2], dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dal russo)
Gli sviluppi che si stanno svolgendo dal 3 dicembre nel Corridoio di Lachin che collega l’Artsakh con l’Armenia sono solo uno strato visibile di processi estremamente complessi e profondi che si svolgono nella regione, o, come si suol dire, la punta dell’iceberg. L’unica strada che collega la non riconosciuta Repubblica di Artsakh attraverso l’Armenia con il mondo esterno è bloccata a causa della “preoccupazione della società civile ambientale” dell’Azerbajgian e della “pacifica azione di protesta”, a seguito della quale circa 120.000 armeni si sono trovati bloccati. In effetti, i gruppi che hanno bloccato il Corridoio di Lachin sulla tratta Shushi-Stepanakert sono solo attori di una messa in scena teatrale, nelle cui file ci sono militari in abiti civili, dipendenti del Ministero dell’Ecologia dell’Azerbajgian e delle forze dell’ordine e rappresentanti di ONG paragovernative, centri di ricerca, al servizio esclusivamente del corso politico di Ilham Aliyev, nonché dei rappresentanti dell’ala giovanile del Partito del Nuovo Azerbajgian. Tuttavia, la profondità dei processi e la portata degli obiettivi di Aliyev per la comunità internazionale sono tutt’altro che limitati a questo. Gli obiettivi sono di portata molto più ampia, fino alla cattura della restante parte armena dell’Artsakh, attraverso la de-armenizzazione e l’”integrazione”, oltre a costringere l’Armenia ad aprire un “corridoio” extraterritoriale verso il Nakhichevan. Il motivo per cui è stato scelto il percorso “ecologico” è uno sfondo davvero notevole.
In risposta alle aspirazioni di coinvolgere l’Unione Europea e le imprese europee nei piani di ricostruzione postbellica dei territori “rioccupati” e nelle iniziative di trasporto e infrastrutture, Ilham Aliyev ha ascoltato personalmente una delle proposte-domanda europee, che è stata annunciato il 18 luglio 2021 a Baku dal Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Quest’ultimo, previo assenso di principio, ha affermato in particolare: “Il partenariato fondato sulla volontà di assumere impegni comuni di dialogo sull’innovazione tecnologica e sui temi economici dovrebbe scaturire dal punto di vista dello sviluppo economico da due proposte dell’Unione Europea – cambiamenti climatici e la rivoluzione digitale, che dovrebbe essere la base dei progetti”.
Questo spiega perché il Presidente dell’Azerbajgian stia cercando di costruire un ambiente “eco-friendly” e costruire villaggi “intelligenti” nei territori bonificati, senza fare lo stesso in altre regioni dell’Azerbajgian. Il segreto sta nel fatto che le aziende occidentali ed europee, di norma, non hanno fretta di investire in territori in cui non è stata stabilita una sicurezza definitiva e a lungo termine e che continuano ad essere “zone di conflitto” o “intorno al conflitto”, non importa come Aliyev affermi che il conflitto è risolto. Inoltre, i Paesi co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE e molti altri Paesi occidentali non hanno riconosciuto la vittoria dell’Azerbajgian, non si sono congratulati con lui, i loro Ambasciatori a Baku si sono rifiutati di partecipare ai “viaggi turistici” organizzati dall’amministrazione Aliyev nei territori occupati.
E così, Ilham Aliyev, cercando di alleviare le circostanze che impediscono il coinvolgimento dell’Unione Europea, si è lanciato in Artsakh e ha iniziato a pubblicizzare ampiamente progetti “verdi”. In particolare, ha iniziato a costruire un “villaggio intelligente” a Zangelan/Kovsakan, vi ha persino reinsediato diverse famiglie, ha aperto il “Centro internazionale di educazione forestale” turco-azerbaigiano, i progetti complessi “Seedling intelligenti” e “Foresta dell’amicizia” nella Regione di Jrakan/Jabrayil. Prima dell’”attacco ecologico” all’Artsakh e al Corridoio di Lachin, il 19 ottobre Aliyev e sua moglie, il Vicepresidente Mehriban, hanno liberato 18 gazzelle nel complesso “Foresta dell’amicizia” a Jrakan/Jabrayil, sottolineando il loro “impegno” per ecologia.
E il 7 dicembre il suo Assistente per le questioni di politica estera e sicurezza, Hikmet Hajiyev, ha organizzato per 150 rappresentanti del corpo diplomatico accreditato a Baku, compreso il Capo della delegazione dell’Unione Europea in Azerbajgian, un tour nella regione di Zangelan, dove ha presentato un progetto per la ricostruzione delle aree di conflitto, le ha scortate in un eco-villaggio “intelligente”, e poi vicino al fiume Voghji ha mostrato le infrastrutture energetiche restaurate, le centrali idroelettriche, lamentando che gli Armeni nell’Artsakh stavano deturpando l’ambiente e i fiumi con l’industria mineraria e i suoi rifiuti. Apparentemente, questo è stato un preludio alla messa in scena delle “proteste ambientaliste” di Lachin per far sembrare tutto “naturale”.
Già la mattina del 3 dicembre, all’incrocio Shushi-Karin della strada Goris-Stepanakert – l’unica autostrada che collega l’Artsakh con l’Armenia, un gruppo di Azeri in abiti civili, con pretesti ambientali, ha prima bloccato l’autostrada Goris-Stepanakert, poi rappresentanti dei Ministeri dell’Ecologia e delle Risorse Naturali dell’Azerbajgian e della società per azioni AzerGold si sono appellati al Comandante del contingente di mantenimento della pace russo, il Generale Volkov, chiedendo che fossero ammessi alla miniera di Kashenskoye per il monitoraggio. A seguito di trattative durate 3 ore a Stepanakert, è stato ripreso il traffico lungo l’autostrada in entrambe le direzioni, il giorno successivo sul territorio della miniera sono finiti “osservatori” azeri accompagnati da caschi blu russi, ma residenti locali e dipendenti della miniera non li hanno fatto entrare.
Quindi, il Generale Volkov ha affermato che per ripristinare il trasporto merci lungo il corridoio Lachin – nessuno era preoccupato per il trasporto passeggeri – durante i negoziati con le parti armena e azera era stato raggiunto un accordo per istituire una mini dogana nel Corridoio di Lachin. In risposta, i funzionari di Stepanakert hanno dichiarato che non esisteva un tale accordo e che non è stato possibile stabilire il checkpoint. A seguito di tutto ciò, nel Corridoio di Lachin è iniziato un nuovo attacco della “società civile ambientale” sotto l’alto patrocinio del Presidente dell’Azerbajgian, la strada è stata bloccata e la fornitura di gas è stata interrotta. Sotto la pressione della comunità internazionale, la fornitura di gas è stata ripristinata e il Corridoio è ancora chiuso.
A quanto pare, Baku non si aspettava una domanda internazionale chiara e mirata per sbloccare il Corridoio. In risposta, Baku ha iniziato ad affermare che non sono stati loro a bloccare il Corridoio, ma le forze di pace russe, e la preoccupazione degli “ambientalisti” è legittima e degna di rispetto. Tuttavia, di conseguenza, al momento, solo le forze di pace russe sono autorizzate a trasportare determinati carichi e di volta in volta aprono loro la strada.
Quanto sopra non solo indica gli obiettivi di vasta portata della strategia di Baku, ma rivela anche tutta la profondità del vuoto di sicurezza nell’Artsakh e la crisi di mantenimento della pace che peggiora di giorno in giorno in condizioni in cui Baku, da un lato, chiede che Mosca “ritorni” il Corridoio Lachin, se non in grado di fare pressione su Yerevan concedere il “Corridoio di Zangezur”, presentandolo come un’intenzione di affrontare le forze di pace russe e sbarazzarsene con le preoccupazioni “ambientali”. D’altra parte, la Baku ufficiale sta cercando di ridurre il processo all’installazione di dogane nel Corridoio di Lachin e alla condivisione del controllo sul trasporto merci con i Russi, oltre a ottenere il diritto a “ispezioni” nell’Artsakh dalla Russia e dall’Occidente.
La reazione internazionale in questa situazione dovrebbe essere estremamente equilibrata, poiché Aliyev ha già dimostrato di non essere assolutamente interessato a soluzioni negoziate, e una reazione consolidata è il modo per prevenire una nuova guerra – non dopo la catastrofe, come in Ucraina, ma prima di essa. A giudicare da tutto, è giunto il momento di applicare sanzioni contro il Presidente dell’Azerbajgian e l’élite di questo Paese, mentre non è ancora troppo tardi.
[1] Manvel Sargsyan è un politologo indipendente di Yerevan.
[2] La rivista mensile Analyticon è pubblicata dall’ONG Public Agenda di Yerevan, in collaborazione con lo Stepanakert Press Club, con il sostegno del National Endowment for Democracy (NED). È diretta da Gegham Baghdasaryan.
[3] Styopa Safaryan è il Direttore-Fondatore dell’Istituto armeno per gli affari internazionali e le questioni di sicurezza di Yerevan, ex Parlamentare.