Scopri l’architettura di Yerevan, capitale dell’Armenia, con il suo modernismo sovietico (Domusweb 19.03.25)
Se infatti i primi insediamenti della città risalgono al 782 a.C., sono pochi i segni del passato urbano oggi ancora visibili. Le rovine dell’antica fortezza di Erebuni si stagliano sulla collina di Arin Berd, ora affiancati da un museo costruito nel 1968 per celebrare il 2.750mo anniversario della città. Del lascito medievale si può osservare la piccola chiesa Katoghike, la cui costruzione è databile al 1264, ad oggi unico esemplare sopravvissuto alle demolizioni propagandate dal regime sovietico e ai bombardamenti della seconda guerra, mentre del cosiddetto periodo Persiano (ascrivibile dal sedicesimo al diciannovesimo secolo) resta in rappresentanza la Moschea Blu, oggi completamente inglobata all’interno del tessuto novecentesco di Yerevan.
Un primo piano urbanistico per la modernizzazione della città viene redatto fra il 1906 e il 1911 stabilendo l’assetto degli assi principali e il loro orientamento in modo definitivo per quello che diverrà il piano di sviluppo urbano principale di Yerevan, redatto nel 1919, all’indomani della Rivoluzione d’ottobre, da Alexander Tamanyan, e definitivamente approvato nel 1924.

Un’idea in parte preservata nella realizzazione degli edifici rappresentativi della città (il Palazzo del Governo, così come il Teatro dell’Opera, entrambi completati dopo la morte di Tamanyan nel 1940, restituiscono l’immagine più classicheggiante di cui si faceva portavoce l’urbanista armeno) ma la completa realizzazione del piano di Tamanyan sotto il regime sovietico vide sempre più fiorire la compresenza di linguaggi, soprattutto nell’interpretazione armena del costruttivismo e dell’architettura di stampo modernista.
Una figura chiave nell’applicazione e interpretazione del piano di Tamanyan negli anni Settanta fu l’architetto Jim Torosyan, al cui nome sono legati molti degli edifici che oggi costituiscono il carattere della capitale armena, e che meglio di altri riuscì a tradurre questa fusione di identità stilistiche che imprime ancora oggi a Yerevan l’immagine di un vero e proprio laboratorio urbano

Il complesso della stazione metropolitana di Piazza della Repubblica (1980), con la fontana ipogea e la piazza inferiore interamente scavata in tufo rosa e posta al di sotto della tettoia a forma di fiore sorretta da pilastroni bombati, rende omaggio invece alle tradizioni artigianali locali, mentre le alte arcate che definiscono il perimetro degli edifici alle spalle della piazza, sono plasmate nel tufo come fossero bassorilievi che emergono dalla materia e incorniciano fasci di finestre.




In un assetto urbano marcatamente europeo, gli edifici sono infine veri e propri landmarks, testimonianze della contraddizione e della sua elaborazione e accettazione, dell’affermazione di un’identità, che nel suo desiderio di autonomia fa inevitabilmente i conti con la complessità dei segni lasciati da oltre 50 anni di regime, ma che ciononostante ha avuto il coraggio di farli propri, assimilandoli in forme autentiche e originali. Così potenti che anche l’architettura più recente fatica a distaccarsene, rischiando a tratti di perdersi in un facile e anacronistico citazionismo.