Schiava dell’Isis di Jinan (sololibri.net 04.05.21)
Chi ha letto l’avventura di Corto Maltese intitolata La casa dorata di Samarcanda, pubblicata da Hugo Pratt (1927-1995) nel 1986, potrebbe essere venuto a conoscenza dell’esistenza degli yazidi del Medio Oriente. La diceria secondo cui questo gruppo religioso sarebbe dedito all’adorazione del diavolo è un’invenzione musulmana. Il governo ottomano perseguitò duramente queste genti monoteiste e nel XIX secolo le spinse a cercare rifugio nel Caucaso, in Armenia, in Georgia e in Russia. Nel 1915, durante il genocidio degli armeni, decine di migliaia di cristiani si rifugiarono nel Jebel Sinjar e gli yazidi li difesero, rifiutando di consegnarli ai turchi. Sconfitti dall’esercito della mezzaluna, nel febbraio del 1918, yazidi e armeni furono costretti a ritirarsi sulle montagne in attesa di un aiuto britannico. La persecuzione degli yazidi, però, prosegue sino ai giorni nostri; nel marzo del 2015 le Nazioni Unite hanno giudicato che i terroristi dello Stato Islamico, in Iraq, hanno messo in atto un genocidio contro questa minoranza.
Una giovane curda di religione yazida con cittadinanza irachena, Jinan, ha raccontato il suo inferno in un libro che raccoglie i suoi ricordi, trascritti dal giornalista Thierry Oberlé: Schiava dell’Isis, edito da Garzanti nel 2016 con la traduzione di Giuseppe Maugeri.
Jinan è stata rapita e segregata dai guerriglieri islamici, ma è riuscita a fuggire e ha trovato la forza di consegnare al mondo la testimonianza degli orrori subiti dalle comunità perseguitate dai jihadisti:
“A differenza degli sciiti, noi [yazidi] non siamo musulmani. Né siamo uno dei popoli della Bibbia, come i cristiani. Per i sunniti dell’Isis, siamo la feccia dell’umanità. Noi yazidi siamo in pericolo proprio perché siamo un gruppo a parte. La nostra religione è una delle più antiche del mondo. Non abbiamo dovuto aspettare gli ebrei, i cristiani e i musulmani per adorare un unico Dio. Il nostro calendario conta già 6765 anni. Ci siamo sempre tenuti lontani dai conflitti settari e politici, ma siamo sempre stati perseguitati e massacrati a causa della nostra diversità. Noi crediamo in un Dio onnipotente e nei suoi sette angeli. Eppure, veniamo considerati da secoli come ribelli e pagani. Ecco perché viviamo in un luogo appartato, ai piedi del Sinjar, sempre pronti a risalirne le pendici per sfuggire agli incendi dei nostri villaggi e alle deportazioni”.
La guerra descritta da Jinan è terrificante: intere popolazioni sono in fuga dalla loro terra, tra i musulmani gli sciiti sono attaccati dai sunniti, armate diverse si contendono il territorio, le milizie del califfato gestiscono una tratta di esseri umani e le prigioniere che riescono a scappare e a tornare dalle loro famiglie sono spesso allontanate, se non invitate dai loro parenti a togliersi la vita.
L’autrice delinea in maniera raccapricciante i metodi adottati dall’Isis, l’occasionale falsa gentilezza dei carcerieri, i filmati delle esecuzioni degli ostaggi, la sottomissione delle vittime, le conversioni forzate e la vita quotidiana nel territorio dello Stato Islamico. Anche in questo abisso di sofferenza la protagonista cerca comunque di difendere la sua dignità:
“Personalmente, non ho mai portato quell’orribile velo (con o senza rete), né alcun tipo di abaya. Questi abiti islamici sono vere e proprie prigioni ambulanti. Non mi sorprende affatto che piacciano ai mostri che ci trattengono”.
Guidati da criminali megalomani, i miliziani dell’Isis appaiono in tutta la loro efferatezza, sono pervertiti, ignoranti e sadici. Nel libro, gli uomini del califfo al-Baghdadi (1971-2019) giustificano ogni loro atrocità dicendo che Maometto, prima di loro, si era comportato allo stesso modo. Bisogna meditare seriamente su queste parole.
Un aspetto importante nell’opera di Jinan è sicuramente l’aver affrontato senza censure la questione femminile nella sua terra di origine. Schiava dell’Isis è un testo che può essere letto anche in un solo giorno e ciò permette di diffondere maggiormente la denuncia che il libro intende lanciare. Questo piccolo volume è un documento storico che i posteri dovranno conoscere per riflettere sui crimini dell’Isis e sulle condizioni drammatiche in cui versano le donne in una parte del mondo non troppo distante dal continente europeo.