Sant’Egidio partecipa al dolore della Chiesa Apostolica Armena di Turchia per la perdita del Patriarca Mesrob II (Sanyegidio.org 08.03.19)

La Comunità di Sant’Egidio partecipa al dolore della Chiesa Apostolica Armena di Turchia per la perdita del Patriarca Mesrob II, amico fraterno, deceduto dopo una lunga e dolorosa malattia. Ancora pochi giorni fa aveva ricevuto la visita di alcuni suoi membri presso l’ospedale armeno di Istanbul.

Giovane prete e poi vescovo, ha trascorso un anno di studi a Roma e organizzato assieme alla Comunità di Sant’Egidio la visita e i soccorsi alla popolazione di Yerevan colpita dal terremoto nel 1988. Prese parte a numerose  edizioni della Preghiera per la Pace nello spirito di Assisi e ha operato e pregato per l’unità dei cristiani. Ne ricordiamo i tratti umani, l’entusiasmo per la liturgia, la predicazione, la passione per la tradizione e la spiritualità di cui era figlio, la speranza nelle giovani generazioni, l’apertura all’incontro con l’altro. Si ricordano i suoi incontri a Roma con Giovanni Paolo II e a Istanbul con Benedetto. Ha aiutato ad amare la storia, le ferite e le speranze di una grande Chiesa, e nel debito di questa amicizia, si rinnova anche la promessa della prossimità futura.



Testo dell’omelia di Sua Beatitudine Mesrob II (23 dicembre 1999 – Basilica di Santa Maria in Trastevere)

Cari fratelli e care sorelle,
un saluto affettuoso nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore.
Io sono Mesrob, la mia gente mi chiama Mesrob II. Sono il Patriarca Armeno di Costantinopoli da quattordici mesi. Ma alcuni fra voi sapranno che da circa quattordici anni sono un amico e un membro in spirito dell’amata Comunità di Sant’Egidio.
Sono a Roma per un pellegrinaggio in occasione della festa di Natale, che l’occidente celebra il 25 dicembre, mentre siamo alla soglia del terzo millennio.
La Comunità è stata il ponte per questa visita. A Genova, dove sono stato invitato da voi, ho avuto ancora una volta l’opportunità di incontrare il card. Roger Etchegaray, un vecchio amico, attualmente presidente della Commissione Pontificia per il Grande GiubiIeo. Lui mi ha invitato a Roma per essere presente all’apertura della Porta Santa, insieme al Papa Giovanni Paolo II. E qui sono un pellegrino a Roma e un amico.
Questo è il mio secondo Natale a Roma. Nel 1988 ero qui per alcuni corsi aIl’Angelicum. Non vedevo l’ora di passare il Natale con voi. E in realtà così è avvenuto, anche se qualcosa ha profondamente toccato e ferito il mio cuore.
Due settimane prima di Natale l’otto dicembre, un terribile terremoto ha devastato il Nord dell’Armenia. Il mio cuore sanguinava e i miei pensieri erano con il mio popolo. Ho capito allora come la Comunità condividesse questo dolore nel modo più profondo. Non riesco a ricordare ora quante parrocchie ho visitato in Roma, insieme agli amici della comunità, predicando a innumerevoli gruppi di cittadini romani, per suscitare un aiuto concreto per l’Armenia. E’ stato un Natale differente da quello che mi sarei aspettato. Ma ad ogni modo è stato un Natale speciale. Mi sono sentito vicino a Giuseppe e Maria, esausti, rigettati, poveri, ma ciò nonostante, capaci di proteggere la vita che era in loro, ripieni di speranza.
È nuovamente Natale. E di nuovo sono in Roma, dopo un altro terribile terremoto che ha devastato, questa volta, il Nord ovest della Turchia, della quale sono cittadino e Patriarca. Attraverso di voi, vorrei ringraziare tutti coloro che sono stati di aiuto con la loro generosità.
La gente a Istanbul, Nicomedia, Nicea sono pieni di paura, perché centri internazionali di sismologia hanno annunciato un prossimo terremoto, di dimensioni maggiori, a causa di una grande cavità al di sotto del mar di Marmara. Molti ricchi stanno consolidando la struttura delle loro case. Ma cosa avverrà ai più poveri? Cosa sarà di quelli che lottano per mettere sul tavolo dei loro figli una fetta di pane? Per questo preghiamo. Preghiamo che la paura lasci spazio alla speranza, l’ansia sia rimpiazzata dalla fiducia. La gente è assetata di una parola di conforto. Ma questa parola è già incarnata in loro, in quanti hanno occhi per vedere e orecchie per udire.
Ecco, sono passati circa duemila anni dall’evento salvifico di Betlemme. La Parola si è fatta carne, vive in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, piena di grazia e verità. La Parola, come unigenito figlio di Dio, ha ricevuto la sua gloria dal Padre.
Il Verbo esisteva prima di tutto. Ma si è incarnato nello spazio e nel tempo. È come uno di noi, eccetto il peccato. E’ stato inviato per tutti, offerto e ricevuto come un sacrificio gradito a Dio. E’ espressione dell’amore del Padre, che ha amato il mondo tanto da mandare il suo unico figlio. Chi crede in lui non morirà ma riceverà la vita eterna. La sua missione salvifica continua attraverso di noi, quando obbediamo. La missione della parola incarnata si realizza quando ci pentiamo. La parola germina, quando siamo uniti nell’amore.
Pentimento, obbedienza, amore incorruttibile di Dio e amore fraterno. E qui noi ci sentiamo deboli e poveri.
Ma questa è la nostra chiamata, fratelli e sorelle. Tutti abbiamo ereditato peccati antichi, antichi malintesi, antichi problemi ed errori. Questi sono ostacoli, inferriate che devono essere rimosse come dice il salmo ventiquattro. E’ così che il Re della gloria, il Verbo incarnato, potrà entrare nei cuori e guarirli.
Siamo gioiosi. Entriamo nel nuovo millennio. Per portare frutti per e con Cristo dobbiamo insieme aprire le porte, rimuovere le inferriate.
Amen.
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