Ricordando Georgi Vanyan (Osservatorio Balcani e Caucaso 28.10.21)
Costruttore di pace e attivista convinto, Georgi Vanyan è morto a soli 58 anni il 15 ottobre scorso. Di lui si ricorda soprattutto l’enorme sforzo per portare al dialogo azerbaijani e armeni
L’ultima volta che ho parlato con Georgi Vanyan è stata a fine settembre, al telefono. L’attivista armeno stava visitando Tbilisi per incontrare Emin Milli, il fondatore ed ex-direttore di Meydan TV. Milli aveva già intervistato Georgi in merito alle sue attività di peacebuilding, e ora aveva in programma di visitare il villaggio georgiano dove avevano avuto luogo.
Georgi mi ha invitato ad accompagnarli, ma c’era un problema. Non si sentiva bene e doveva quindi sottoporsi a un tampone per il Covid-19 prima che potessimo incontrarci. Due giorni più tardi, mi ha mandato un messaggio per informarmi di essere risultato positivo e di doversi auto-isolare a Tbilisi. Mi ha detto che mi avrebbe contattato una volta ripreso, ma le cose hanno preso una brutta piega ed è stato ricoverato in ospedale. Alla fine, dopo essere stato attaccato al respiratore, Georgi Vanyan è stato dichiarato morto il 15 ottobre.
Per tutti coloro che lo conoscevano, e per le persone impegnate nel lavoro alle frontiere per una pace regionale, questa perdita ha rappresentato una vera e propria tragedia.
“In questa fase del processo di riconciliazione armeno-azero, la comunità aveva bisogno di lui più che mai”, ha scritto su Twitter Ahmad Alili, analista e ricercatore regionale che vive a Baku. “Una persona sincera. Un attivista autentico. Una grande perdita. Riposa in Pace, Georgi.”
Per molti, però, la scomparsa di Georgi è passata inosservata.
“Sono preoccupato che la storia di Georgi Vanyan non verrà raccontata né in Armenia né all’estero”, spiega Milli. “Ho controllato i social media ieri e non ho visto nessun armeno parlare di questa perdita, salvo rare eccezioni. Era come se niente fosse successo e come se quest’uomo non fosse esistito e non fosse stato l’unico coraggioso in Armenia e in Azerbaijan a fare quello che ha fatto”.
Georgi Vanyan era figura controversa in Armenia, e il silenzio sulla sua morte non sorprende. Nell’ultimo decennio tutti i media e gli spazi di informazione sono stati impegnati in una campagna coordinata di diffamazione pubblica contro di lui. Nel 2007, un gruppo di blogger nazionalisti interruppe il suo evento “Days of Azerbaijan” in una scuola sperimentale a Yerevan, e nel 2012 una folla nazionalista assaltò il suo tentativo di proiezione di film azeri nella seconda città più grande dell’Armenia, Gyumri.
Durante la guerra del Karabakh, nel 2020, mentre molti costruttori di pace (peacebuilder) divennero fautori della guerra, Vanyan pubblicò una lettera aperta chiedendo al Primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, di fermare i combattimenti e avviare un dialogo con Baku. Le sue parole caddero nel vuoto in entrambi i paesi, ma la polizia armena se ne accorse, al punto di minacciare una pesante multa se avesse continuato con queste richieste.
Forse però il progetto più famoso di Georgi è stato la sua convocazione di incontri regolari di attivisti, accademici e giornalisti armeni, azeri e georgiani nel villaggio di Tekali. Abitato da un’etnia azera, Tekali si trova in Georgia vicino al confine con Armenia e Azerbaijan; questa è stata probabilmente una delle poche autentiche iniziative di pace dal basso nella regione.
La vicinanza di Tekali per chi vive nelle regioni di tutti e tre i paesi ha permesso praticamente a chiunque di partecipare. Contrariamente al solito approccio “porte chiuse e facce note” degli altri progetti di peace building tenuti in costosi hotel o località di villeggiatura, anche la comunità locale ha beneficiato del processo di Tekali. Gli abitanti del villaggio, per esempio, potevano fornire servizio di ristorazione e guadagnarne.
A riprova di quanto il processo di Tekali sia stato efficace nel facilitare il contatto interpersonale, un ospite di uno show televisivo azero, nel 2019, riteneva che l’approccio di Georgi Vanyan fosse persino pericoloso: “Per l’Azerbaijan esiste solo il nemico al di là del confine, e nessun altro” spiegava l’ospite. “Se un soldato azero vede che anche oltre il confine ci sono madri, sorelle, bare e lacrime, non obbedirà più agli ordini”.
Questa critica era sconosciuta in Armenia, dove è stato costretto a trascorrere i suoi ultimi anni in povertà vicino al confine con l’Azerbaijan. Nell’incontro online organizzato in sua memoria, l’attivista e partecipante di Tekali Sevak Kirakosyan ha ricordato che Georgi spingeva le ONG a spostare la loro attività dove potevano davvero essere d’aiuto: nelle comunità colpite dal conflitto.
Quando il corpo di Georgi è stato trasferito nella capitale armena per la sepoltura, diverse figure di spicco sono andate a porgere l’ultimo saluto. C’erano, ad esempio, Boris Navarsadyan, direttore del Yerevan Press Club, Ashot Bleyan, direttore della scuola dove Georgi aveva invitato intellettuali e scrittori alla fine degli anni 2000, e il dissidente dell’era sovietica Paruyr Hairikyan.
Anche il portale di informazione armeno Espress.am , ospite fisso a Tekali, ha seguito la cerimonia, ma solo pochi altri si sono uniti a loro.
Mariam Yeghiazaryan era una di questi. La 26enne, membro del team Bright Garden Voices, un’iniziativa dal basso transfrontaliera per portare insieme armeni e azeri online all’indomani della guerra dei 44 giorni dello scorso anno, sottolinea il clima di repressione che subiva Georgi Vanyan.
“Prima di andare al funerale ero preoccupata che accadesse qualcosa di brutto nella camera mortuaria”, racconta. “Qualcosa di irrispettoso per lui e la sua eredità, come quanto successo durante e dopo il film festival. Fortunatamente, così non è stato.”
Anche se la giovane attivista non ha mai incontrato Georgi, racconta di aver prestato maggior attenzione al suo lavoro di peacebuilding dopo la guerra in Karabakh nel 2020, e soprattutto dopo la sua morte. Yeghiazaryan ora lo paragona ad altri personaggi armeni importanti, come il grande scrittore Hovhannes Tumanyan e l’editore turco-armeno Hrant Dink.
“Noi onoriamo Tumanyan, un grande scrittore e umanista, ma non so quanti abbiano letto le sue lettere e i suoi articoli sugli scontri armeno-tartari. Noi onoriamo Hrant Dink, non tanto per la sua eredità e i suoi contributi, ma per la possibilità di usare e manipolare la sua morte in quanto causata da un nazionalista turco, dimenticando che tutta la sua vita è stata finalizzata al dialogo tra Armenia e Turchia. Qual è la differenza tra loro e Vanyan?”.
Inoltre Mariam ricorda come Georgi fosse stato etichettato come “traditore” da coloro che, in effetti, si erano opposti a un accordo di pace negoziato e vantaggioso per entrambe le parti.
“Noto con rammarico che i giornalisti giocano un ruolo importante in questo caso”, racconta. “Ci sono articoli terribili con titoli terribili, report e video. Quante interviste o articoli di qualità si possono trovare in armeno su Vanyan? Il fatto che la morte di Vanyan non sia stata coperta dai media armeni non riguarda lui, ma l’Armenia e il giornalismo armeno. È molto triste. Molto.”
Questo è ciò che preoccupa di più Milli: “Sono davvero preoccupato che la sua idea possa morire con lui. Ho visto un coraggio mai visto prima, e ho realizzato che nessuno in Azerbaijan, me compreso, avrebbe osato organizzare una giornata del cinema armeno in Azerbaijan. Il coraggio di Vanyan era così forte che mi ha colpito profondamente: questo ha rappresentato l’elemento che ha fatto morire il nazionalismo dentro di me”.
Milli, che ora ha lasciato Meydan TV, ha un nuovo progetto, la Restart Initiative (Iniziativa di Ripartenza), che pur cercando principalmente di contribuire allo sviluppo dell’Azerbaijan, cercherà anche di coltivare e sviluppare il dialogo con l’Armenia e gli armeni, e a questo scopo alcune delle precedenti iniziative di Georgi potrebbero benissimo essere riproposte.
“Spero che il progetto Tekali verrà implementato ancora”, rimarca Yeghiazaryan, “e spero che il suo approccio sarà materia di discussione, dibattito, ricerca e conversazione quotidiana, sia in Armenia che in Azerbaijan”.