“Riconoscere il genocidio armeno farebbe bene alla Turchia” (Varesenews 11.04.16)
«Se la Turchia ammettesse la responsabilità del genocidio armeno porterebbe pace nei cuori del suo popolo e finalmente ci permetterebbe di poter pregare sulle tombe dei nostri morti». Baykar Sivazliyan, presidente Unione Armeni d’Italia, ha il dono di generare pacatezza e soprattuto attenzione in chi lo ascolta. E i tanti presenti alla serata dedicata al genocidio armeno, organizzata dal Comune di Travedona Monate, hanno ascoltato le sue parole in silenzio in attesa di una risposta, come se dentro quella storia ci fosse l’antidoto in grado di neutralizzare i tempi difficili che stiamo vivendo. (foto sopra: Baykar Sivazliyan, Paolo Colombo, sindaco di Travedona Monate, e Ani Balian)
Ammettere quella responsabilità, infatti, potrebbe spalancare le porte dell’Europa ai turchi e dare una svolta significativa alla crisi dell’area mediorientale. «Per molti anni – ha spiegato Sivazliyan – noi abbiamo fatto una scelta di riservatezza, ora più che mai è venuto il momento di farsi sentire perché le ragioni e le ambiguità di un secolo fa, alimentano ancora l’odio in quell’area».
Il Vecchio Continente, secondo Claudio Bonvecchio, preside della facoltà di scienze della comunicazione all’Insubria, ha la grande responsabilità di essere assente politicamente e soprattutto di non avere una strategia rispetto a quanto sta avvenendo nel mondo islamico. «Se è vero che l’Europa ha radici giudaico-cristiane – ha sottolineato Bonvecchio -allora deve esigere dalla Turchia l’ammissione di colpevolezza, perché nel 301 dopo Cristo il popolo armeno è stato il primo in assoluto a scegliere la religione cristiana in un mondo di pagani. Ma l’Europa non lo farà perché è troppo debole e non crede fino in fondo nella sua identità, sempre pronta com’è a rinnegare un crocefisso per non irritare qualche sensibilità».
E proprio la discriminazione religiosa, secondo Attilio Fontana, sindaco di Varese, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nel genocidio armeno. «È vero che i giovani turchi ultranazionalisti erano laici – ha detto Fontana – ma la leva religiosa è stata utilizzata nelle varie comunità islamiche per generare l’odio in chiave antiarmena, individuando il nemico in un popolo che da secoli viveva pacificamente accanto a loro».
Per quanto si possa ricercare e argomentare, le ragioni di un genocidio sfuggono alla normale comprensione perché non c’è nulla che possa giustificare in modo esaustivo lo sterminio deliberato e consapevole di un intero popolo. «Gli armeni – ha raccontato Ani Balian, consigliere Unione armeni d’Italia – sono creatori di bellezza e la bellezza è ricchezza. Il mio popolo non ha mai amato la guerra, preferendo l’arte, la laboriosità e la cultura nel senso più alto del termine. Eravamo la parte più creativa della Turchia e, come dice Bernard Henry Levy, sterminando gli armeni, i turchi hanno segnato il loro declino economico e culturale. Un’azione paradossalmente suicida».
Come si vive nella diaspora e senza una terra a cui rivolgere la propria nostalgia e il pensiero di un ritorno? «Eleggendo la propria mente a patria simbolica – ha detto Guaman Jara Allende, funzionario consolare dell’Ecuador -. La mia famiglia è di origine ebraica sefardita (da Sefarad che significa Spagna, ndr) e la memoria di ciò che è stato ha permeato le nostre esistenze come un limite fisico, un confine, una patria immaginaria a cui riferirsi».
«Da sempre mi chiedo quale sia la mia patria – ha replicato Sivazliyan -. Forse è Sivas, cioè Sebaste in Turchia, città da cui proveniva la famiglia di mio padre e che contraddistingue il mio cognome. O forse Venezia, dove ho sempre vissuto fin da ragazzo, dove ho studiato e fatto il servizio militare. O nella repubblica Armena, l’unica terra dove il mio popolo ha potuto trovare accoglienza, pagata a caro prezzo. Da giovane andavo spesso a San Lazzaro degli armeni, un’isoletta con un’antica libreria e manoscritti di pregio. In quel fazzoletto di terra immerso nella laguna ho spesso ritrovato una parte importante della mia vita».