Quel villaggio di Zanotti Bianco che salvò gli armeni fuggiti alla seconda ondata del genocidio (Corriere della Sera 16.10.16)
Negli ultimi due anni si è parlato molto (e giustamente) del genocidio degli armeni, lo sterminio di 1,5 milioni di persone condotto soprattutto attraverso le marce della morte nel terribile biennio 1915-1916. Lo ha fatto anche papa Francesco attirandosi le proteste del governo turco (leggi l’articolo di Corriere.it sfiorando l’icona blu), che mai ha voluto ammettere le evidenti responsabilità storiche contro quella minoranza cristiana.
La seconda repressione
Dall’ampia discussione è stata finora esclusa la seconda ondata di repressione che avvenne nel biennio 1920-1922 durante la guerra greco-turca. Nelle ultime settimane del conflitto, gli armeni e i greci residenti in Asia Minore cercarono rifugio a un ritmo di 20 mila persone al giorno nella città di Smirne, dove l’esercito per ordine di Mustafà Kemal Ataturk aveva l’ordine di non infierire sulla popolazione civile. Ma il leader della nuova Turchia non aveva ancora il pieno controllo della situazione e le sue disposizioni vennero ignorate. Il comandante delle forze armate del distretto, Nureddin Pascià, diede invece avvio al massacro che provocò una nuova e vasta ondata di esodi verso i Paesi vicini e verso l’Europa.
Emergenza umanitaria nel 1915
Un’emergenza umanitaria in cui l’Italia intervenne, attraverso uno dei suoi esponenti più illuminati: Umberto Zanotti Bianco (1889-1963), l’archeologo e meridionalista piemontese che dopo le vicissitudini della lotta antifascista avrebbe fondato nel 1955 Italia Nostra. Di quell’aspetto poco conosciuto della biografia di Zanotti Bianco e della storia dell’accoglienza italiana oggi si occupa — sul nuovo numero della rivista «Storia urbana», edita da Franco Angeli — il ricercatore dell’università di Bologna Mirko Grasso. Un saggio particolarmente istruttivo (sfiora l’icona blu per leggerne sul sito dell’editore un estratto gratuito) anche alla luce della crisi siriana e dell’emergenza rifugiati che ha investito l’Europa e l’Italia.
Allievo di Fogazzaro e Mazzini
Figlio di un diplomatico e di una nobildonna anglo-svedese, Zanotti Bianco aveva frequentato il liceo a Moncalieri dove si era avvicinato alle idee moderniste e umanitarie rappresentate da Antonio Fogazzaro ne «Il Santo». L’altro suo faro era Giuseppe Mazzini e l’idea di indipendenza delle nazioni. La prima forte esperienza di Zanotti Bianco, prima della laurea in giurisprudenza all’università di Torino, fu la missione a Messina nel 1908 in soccorso delle popolazioni sconvolte dal terremoto. Lì conobbe lo storico Gaetano Salvemini, che aveva avuto la famiglia decimata dal sisma e in quell’ambiente nacque l’idea di costituire l’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia (A.n.i.M.I) che aveva come scopo l’aiuto ai meno abbienti e la promozione dello sviluppo economico.
La fondazione per il Meridione e lo spirito umanitario
Uno spirito umanitario e internazionalista come Zanotti Bianco non poteva non rimanere colpito dalla tragica vicenda del popolo armeno, che in diversi scritti egli paragonò a quello italiano, soprattutto nelle difficili fasi iniziali del Risorgimento. Accanto alla denuncia del genocidio anche in alcuni scritti della sua rivista di geopolitica «La Voce dei Popoli», l’intellettuale piemontese sperò fortemente ma inutilmente che una soluzione al caso armeno venisse dal presidente americano Thomas Woodrow Wilson, fautore dell’indipendenza nazionale. Agli inizi degli anni Venti, erano cominciate ad arrivare in Puglia alcune delle famiglie armene scampate ai massacri di Smirne. Molti profughi erano impiegati nelle manifatture per la produzione di tappeti organizzate a Bari dall’imprenditore Lorenzo Valerio.
In Puglia i profughi scampati ai massacri
La sistemazione di quella comunità non era delle migliori anzi, scrive Mirko Grasso, «Zanotti Bianco nella città pugliese coglie i segni della violenza fisica e morale subita dai profughi». Per superare la condanna dello squallore e del «provvisorio’ senza fine» il filantropo italiano, aiutato dal poeta e scrittore armeno Hrand Nazariantz, anche sull’esempio di esperienze viste in Gran Bretagna e in Svizzera, decise di dar vita a un villaggio in un uliveto nella periferia di Bari che rimarrà uno dei maggiori esempi di accoglienza internazionale. Il villaggio, che si chiamò Nor Arax (cioè Nuovo Arasse, «il fiume simbolo dell’identità armena», nella foto sopra una delle case del villaggio com’è oggi) venne realizzato nel 1925, anche grazie all’interessamento dell’economista Luigi Luzzati, utilizzando alcuni padiglioni Doker che la Germania, nazione sconfitta durante la prima guerra mondiale, mandava all’Italia in conto riparazioni. A Nor Arax, che continuò a funzionare anche se in misura parziale sino al 1980, vissero dignitosamente un centinaio di armeni. Accanto alle abitazioni c’era un grande edificio per il culto e le attività associative e terra per gli orti (ndr. una storia ben ricostruita anche dal sito BariInedita, con corredo di foto di com’erano e come sono oggi le case del villaggio, per leggere l’articolo sfiorate l’icona blu).
Il veto di Mussolini e l’esilio a Paestum
Zanotti Bianco, dal 1931, non poté più occuparsi direttamente del villaggio né dell’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno a causa del veto di Mussolini. Nel 1925 era stato uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce e il regime gli fece pagare la sua scelta. Nel 1941 fu mandato al confino a Paestum, dove non rimase inattivo, contribuendo alla scoperta di un santuario dedicato alla dea Hera.
Le leggi razziali del ‘38 e il «ceppo ariano»
La comunità armena di Nor Arax venne lasciata in pace dal fascismo, anche perché le leggi razziali del 1938 avevano stabilito che gli armeni erano di ceppo ariano. Umberto Zanotti Bianco, che sopravvisse durante il fascismo anche grazie all’amicizia con Maria José di Savoia, nel 1944 venne nominato dal governo Bonomi presidente della Croce Rossa Italiana, nel 1952 divenne senatore a vita per volontà del presidente Luigi Einaudi e nel 1955 con Elena Croce e altri fondò Italia Nostra.