Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni? (Milano Post 20.12.22)
Si comincia con il dimenticatissimo primo genocidio, quello armeno, ancora meno riconosciuto di quello successivo ucraino. A lungo rimosso dalla cronaca e dalla storia generali, anche per mera ignoranza delle località coinvolte e delle minoranze presenti nell’impero ottomano, il già malato d’oriente, che dopo le sconfitte subite con l’Italia, con i nuovi paesi balcanici e nella prima guerra mondiale, si fece dimenticare, nella nuova veste repubblicana, con la neutralità durante la seconda guerra mondiale. L’olocausto armeno (Medz Yeghern, Grande Male in armeno) fu, tra il ’15 ed il ’16 (ma i massacri finirono nel ‘23) l’eliminazione da parte dell’esercito ottomano di più di 1,5 milioni di persone, attraverso le marce della morte, le deportazioni, le crocifissioni e le fucilazioni, decise sia per impedire l’alleanza tra gli armeni ed i nemici russi, entrambi cristiani, sia in nome della guerra santa, la jihad, lanciata nel ‘14. Il genocidio era stato anticipato sul finire dell’800 e nel ‘09 da precedenti massacri in Cilicia ed altri luoghi. Ne seguì una diaspora armena internazionale che oggi segna milioni di presenze in America e Russia, e diverse centinaia di migliaia in Francia, Germania e Sudamerica. Sono però solo 30 i paesi che riconoscono ilgenocidio armeno, peraltro certificato ufficialmente solo nel 2019 negli Usa ed in Italia. La Turchia per la quale questo genocidio si ridurrebbe ad un alto numero di morti si oppone fortemente al suo riconoscimento storico in forte contrasto con l’Unione Europea. Teme il rischio di infinite vertenze risarcitorie da parte degli eredi di quella che era la più ricca minoranza dell’Impero ottomano.
Il cinema ha scoperto questo genocidio praticamente solo in questo secolo, attraverso un pugno di movies, l’armeno francese Ararat.Il monte dell’arca del 2002, Screamers del 2006, l’italiano La masseria delle allodole del 2007, il francese La legge del crimine del 2009, il documentario tedesco Aghet del 2010, il turco The Cut del 2014, l’hollywoodiano The Promise del 2016, il negazionista turco Il tenente ottomano del 2017. Precedentemente, isolati, uscirono l’Auction of souls (Anime all’asta) del ’19 di Apfel, l’Oscar di Kazan Il ribelle dell’Anatolia del ’63 ed i 2 francoarmeni Mayrig del ’91e ‘92. La tragedia armena sul grande schermo è in generale stata sostenuta da registi,scenografi, attori, scrittori, professionisti del cinema storico, e non, della diaspora come Egoyan, nato in Egitto, Verneuil, in Francia, la Garapedian in America, la Arslan, divulgata dai Taviani, in Italia che hanno divulgato presso il vasto pubblico la memoria sulle deportazioni e l’eliminazione degli armeni ora con tratti più manichei, ora provocatori, ora di tentata riconciliazione, ora di introspezione psicologica ma sempre con realistica versione dei fatti, di località, nomi, numeri e dati d’archivio.
Rappresentazione di genocidio giunta scarsa ed in ritardo, praticamente un secolo dopo i fatti. Fin da subito le proteste turche sono state efficaci a far ritirare i film dalla distribuzione (come nel caso di Auction of souls) e negli ultimi decenni, a denigrare tramite i social, come nel caso di The Promise e Aghet, le rappresentazioni del dolore armeno soprattutto dove sono numerose le comunità turche. Il regista tedesco di origine turca Akın per avere offerto la consapevolezza turca del dolore e della memoria ha ricevuto minacce di morte. I fotogrammi degli anni ’20 cronologicamente vicinissimi all’eccidio, sono crudi e tremendi poi seguono drammatizzazioni romanzate
Nel ’19 girò negli States il film documentario muto Auction of souls (Anime all’asta) del regista americano del cinema muto Apfel, tratto dal romanzo Ravished (stuprata) Armenia The Story of Aurora Mardiganian, the Christian Girl, Who Survived the Great Massacres del giornalista Gates, sulle persecuzioni subite dall’immigrata armena Aurora Mardiganian La rappresentazione delle donne crocifisse nude, forte e suggestiva non corrispondeva alla realtà storica in quanto venivano impalate. La Mardiganian però dopo il film e durante le presentazioni in giro per l’America, come al teatro Hill di New York, soffrì di esaurimento nervoso. Il film fu ritirato dopo un paio di anni per le proteste turche; ne esiste unas versione restaurata parziale di 23 minuti e 55 secondi del 2009 presentata dall’Armenian Genocide Resource Center della California del Nord. Ogni 24 aprile, anniversario dell’inizio del Metz Yeghérn viene conferito a Yerevan il Premio Aurora.
Kazan Kazancıoğlu, regista cofondatore nel ‘47 dell’Actors Studio, greco naturalizzato statunitense scrisse un romanzo sulle peripezie della moglie e dello zio per arrivare in America e poi realizzò tra molte difficoltà, il
suo 16° film e miglior film Il ribelle dell’Anatolia (America, America) nel ’63. Il protagonista è il giovane greco Stavros che riesce a fuggire da Costantinopoli per New York. La repressione descritta accomuna le minoranze greche e armene. Vinse l’Oscar ed il Golden Globe nel ’64.
Il regista Malakian, alias Verneuil, produsse Mayrig (madre, in armeno) nel ’91 con la Cardinale e Sharif. E’ opera semiautobiografica che ritrae la fuga del ’24 da Tekirdağ, in Anatolia a Marsiglia della famiglia Malakian. Gli Zakarian, ricchi armatori armeni immigrati in Francia, gestori di una camiceria, frequentano connazionali che ricordano il marchio di soprusi e tormenti. Il ragazzo Azad, poi ingegnere, vorrebbe rappresentare quella memoria non sua. Sullo sfondo il processo berlinese del ‘21,a carico dell’armeno Tehlirian, alias Sali Bey, imputato dell’omicidio dell’ex ministro degli interni turco Talat; nelle udienze la testimonianza di una superstite alle stragi avvenute sulle montagne di Malatya, le marce verso il nulla, le gravidanze interrotte forzatamente, le ragazze impalate. L’assoluzione dell’armeno è dovuta anche al pastore evangelico Lepsius, autore di Germania e Armenia 1914-1918: raccolta di documenti diplomatici, che allargava ai tedeschi le colpe del genocidio armeno.
A Mayrig segue nel ’92 Quella strada chiamata paradiso (588, Rue Paradis). Il riferimento è a Rue Paradis, Marsiglia dove vivono e lavorano gli Zakarian. Il giovane figlio diventa un importante regista teatrale, si sposa con una francese che si vergogna delle sue origini del marito, lo induce a cambiare il cognome ed a staccarsi violentemente dalla famiglia. Dopo la morte del padre, il rimorso lo induce a divorziare ed a curarsi della madre risolvendo lo stato di alienazione nel recupero della propria identità culturale. I due film sono andati in onda su Rai2 nel ’95 e nel 2004 con il titolo unico Mayrig. Quella strada chiamata paradiso ma la Arslan ha denunciato una scarsa diffusione in Italia.
Anche Egoyan, autore di Ararat. Il monte dell’arca 2002 (55º Cannes) è armeno della diaspora, passato prima in Egitto e poi in Canada, dove studiò la storia del genocidio. L’opera è dominata dalla presenza di Aznavour, cantante leggendario armeno francese. Si sta girando un film sui massacri di Van del 1915; attori turchi e armeni litigano sul riconoscimento, il regista è messo sottotorchio dalla dogana canadese sui motivi del suo viaggio in Armenia. I flashback sulla vita del pittore armeno Gorky, testimone bambino del genocidio, poi suicida, rappresentano i tragici eventi. Un attore armeno in una serrata discussione esclama Sai cosa disse Hitler ai suoi generali per convincerli che il suo piano non poteva suscitare obiezioni? Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?
La band Soad (System Of A Down), del cantante Serj Tankian e di altri tre armeni della diaspora in California è la protagonista del documentario Screamers del 2006 sul concerto per la memoria degli armeni perseguitati. La regia è della attivista umanitaria armeno californiana Garapedian in tour con i Soad nella storia dei genocidi nel mondo (Olocausto, Cambogia, Bosnia, Ruanda, Darfur)
La masseria delle allodole del 2007 dei fratelli Taviani è adattamento dell’omonimo romanzo della Arslan e narra, nel ’15, dopo la morte del decano degli Avakian, della riunificazione della famiglia, di cui è membro anche un ufficiale turco. Dopo la festa, incombe il massacro ottomano fino al processo per autodenuncia di un turco che pure aveva cercato di proteggere le armene in fuga. Vincitore dell’Efebo d’oro. Nella carneficina degli armeni non mancano ritratti umani dei turchi. senza però l’intento di portare in Italia un film contro la Turchia. Il loro film è il racconto di un’immersione nella storia e nelle storie del genocidio, che non esclude la fiducia e la speranza nel contributo umano turco, nonostante mostri le zone oscure del suo passato. Passato, appunto, che non induce a una conclusione affrettata e neanche manichea. A riaccendere un barlume di speranza sono i bambini, gli unici della famiglia Avakian a salvarsi dalle uccisioni, ma anche i membri dei giovani turchi che confessano in tribunale i loro crimini.
Il film francese La legge del crimine (Le premier cercle) del 2009 di Tuel tratta della mafia armena in Francia, detta Prima cerchia, del malavitoso Malakian e dell’onesto fratello.
Aghet Un genocidio (Aghet, catastrofe in armeno) è un film documentario tedesco del 2010 dell’australiano Friedler con resoconti di testimoni oculari europei e americani, sopravvissuti armeni e altri testimoni, recitati da attori tedeschi moderni. Premiato con i migliori riconoscimenti televisivi tedeschi.
Il padre (The Cut) del 2014 di Akin in concorso alla 71ª Venezia, segue il viaggio del fabbro Manoogian in Mesopotamia, a Cuba alla ricerca del suo passato e delle figlie anch’esse sopravvissute al massacro di Mardin, al confine con la Siria.. Il protagonista è sopravvissuto ma con il taglio brutale delle corde vocali. Il viaggio in compagnia di un dolore muto e assordante si conclude con l’incontro di padre e figlia in una prateria americana, nel Dakota del Nord davanti alla tomba dell’altra figlia. Il mutismo simbolico, lingua del dolore più profondo, lega il film alle prime pellicole documentarie in bianco e nero del muto.
L’hollywoodiano The Promise del 2016 del nordirlandese George tiene sullo sfondo la resistenza armena sul Monte di Mosè (Mussa Dagh), salvata da una fregata francese (raccontata ne I quaranta giorni del Mussa Dagh dello scrittore Werfel nel ’29); in questo contesto le peripezie di un giovane armeno, la ricca moglie, un giornalista americano ed un ammiraglio francese finiscono amaramente.
Si chiude con un film negazionista dell’americano Ruben elude il contesto del genocidio degli armeni, come sfondo della tormentata storia d’amore tra una volontaria americana ed un dottore turco di Van, villaggio dell’Anatolia orientale nei pressi del lago omonimo. E’ un resoconto revisionista del genocidio armeno perpetrato dai turchi dominato dall’invasione del fronte orientale da parte dei russi. In Italia, il film è stato distribuito solo in Dvd.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.