Quadri dall’Armenia: una sinfonia concertata (Osservatorio Balcani e Caucaso, 18.10.16)
Un reportage dall’Armenia che è modulato secondo la struttura di una sinfonia classica, un viaggio che ci porta dal Cenozoico sino all’attualità
(Questo reportage esce in contemporanea sulle pagine della rivista letteraria on-line Odissea)
PRELUDIO: Tbilisi, alle pendici del Monte Santo (Ode a Lima)
Lungo la riva destra del fiume Mtkvari, la città vecchia di Tbilisi biancheggia aggrappata al Monte Santo, sul quale troneggiano la grande ruota panoramica e il traliccio delle telecomunicazioni. Vista dagli aeroplani che incessantemente sorvolano il Caucaso e che collegano l’Occidente all’Asia, la città vecchia appare come una lastra di marmo bianca rigata da solchi neri e sottili.
Quei solchi sono in realtà strade lunghe e strette dove persino la luce si insinua a fatica; sui marciapiedi anziane signore passeggiano curve appoggiandosi al bastone con una busta della spesa inverosimilmente ricolma appesa al braccio sinistro; giovani con gli occhiali da sole si affrettano non si sa dove; coppie di fidanzati passeggiano tenendosi per mano; furgoni carichi di merci arrancano in salita e sfiorano pericolosamente i passanti con gli specchietti retrovisori.
In uno di quei vicoli (dalla via Rustaveli, l’arteria principale della città vecchia che scorre parallela al fiume, bisogna svoltare improvvisamente a sinistra dopo aver superato il Teatro dell’Opera e arrampicarsi di qualche metro per poi imboccare con prontezza la prima strada a destra), Lima gestiva il proprio negozio, che si chiamava semplicemente “Market”. Lima è armena, la sua famiglia vive da sempre in Georgia. A Tbilisi è a casa.
Nella sua bottega era possibile trovare di tutto: uova fresche, affettati, lampadine, bevande, oggetti per la casa. Magra e gentile, i capelli neri e lunghi raccolti da un fermaglio e lasciati cadere sulle spalle, Lima amava intrattenersi con gli avventori e li accompagnava fin sull’uscio una volta terminati gli acquisti. Dopo 30 anni, è stata costretta a chiudere l’attività: anche i clienti più fedeli hanno optato per i grandi centri commerciali che sorgono ovunque alla periferia della città e che hanno lo stesso aspetto, a Tbilisi come a Bishkek, a Novosibirsk come a Tomsk e a New York.
Lima non ha né annunciato né pubblicizzato la chiusura. Una mattina di giugno, una qualsiasi, con l’estate alle porte e gli abitanti di Tbilisi che si svegliano con i capelli già bagnati di sudore per via dell’aria calda e umida che ristagna nella valle, la saracinesca del “Market” è rimasta abbassata. Coraggiosa e decisa, Lima ha venduto il locale, ha lasciato la città e nessuno sa dove sia. “Lima non è più qui”, urlano alcune bambine a chi si avvicini al negozio, mentre saltellano sui contorni irregolari di una “campana” disegnata sul marciapiede con un gessetto colorato. Si arrestano un istante, con in mano il sasso da gettare sull’asfalto, per guardare in faccia coloro che ancora non sanno che il negozio rimarrà chiuso per sempre. Lima ha capito che, pur essendo riuscita a sopravvivere al crollo dell’URSS e al caos economico e politico che negli anni Novanta ha investito la Georgia, non si sarebbe potuta opporre alla forza omologatrice e distruttrice della globalizzazione neoliberista. I grandi consorzi internazionali sono arrivati anche nel Caucaso e hanno ormai quasi completamente soffocato le rivendite al dettaglio.
Il negozio di Lima è adesso in fase di ristrutturazione. Il nuovo padrone lo rinnova e spera presto di affittarlo. In un angolo del locale, Lima aveva il suo ufficio, dove spesso trascorreva anche la notte: una stanzetta ordinata, con i libri di contabilità, il computer, il crocefisso appeso alla parete. Ora è completamente vuota. Sul muro di fronte alla porta di ingresso sono rimasti soltanto l’ombra polverosa lasciata dal crocefisso, che probabilmente Lima ha voluto portare con sé, e un’icona della Madonna che piange inconsolabile sul corpo del figlio morto.
(Le finestre del palazzo di fronte spandono il riverbero del sole sui muri scrostati dell’edificio che a pian terreno ospitava il “Market”. Un muratore siede con le gambe piegate, come un pappagallo sul trespolo, su un mattone, proprio davanti al negozio. Fuma e centellina il caffè appoggiando appena le labbra al bordo della tazzina, quasi abbia paura di romperla. “Sì, certo, Lima, non è più qui, non si sa, non si sa dove sia… Il suo negozio? Va al primo che lo vuole”. Il caldo scioglie l’asfalto. Anche il palazzo signorile all’inizio della via è in ristrutturazione, c’è solo la facciata, come una scenografia a teatro; al di là delle finestre si intravvedono il blu del cielo e il bianco dei cumulonembi di condensazione sui monti del nord; sono le nubi che annunciano il meriggio. Il muratore fuma felice e incredulo di avere davanti a sé un uomo di “besa”, venuto dalla pianura del Danubio per far fede alla parola data molti anni prima in quel negozio della Città Vecchia).