Pordenone – Teatro Verdi: Dall’Ararat alle Alpi (Operaclick 14.12.23)
Da vent’anni, l’11 dicembre si celebra la Giornata Internazionale della Montagna, una ricorrenza che il Teatro Verdi di Pordenone ha deciso di includere nella programmazione artistica vera e propria. Ormai da qualche tempo infatti il teatro ha iniziato a proiettare delle ramificazioni della sua attività sul territorio, in particolare verso alcuni centri montani della provincia, nell’ambito del “Progetto montagna” coordinato insieme al CAI con “l’obiettivo è di stimolare la riflessione sulla salvaguardia della natura, sulla valorizzazione dell’ambiente, sulle conseguenze del cambiamento climatico in atto a livello globale e sul fenomeno dello spopolamento e abbandono della montagna”. Un progetto che oggi pare sul punto di espandersi ulteriormente con il Festival del Teatro di Montagna, che secondo i piani dovrebbe esordire nel 2025.
La serata di cui si racconta, con protagonista la Armenian National Philharmonic Orchestra, scavalla decisamente dai confini locali, come suggerisce il titolo “Dall’Ararat alle Alpi”.
Benché la quasi centenaria orchestra armena non goda della fama che meriterebbe – alla prova del palcoscenico dimostra di essere una compagine dall’identità timbrica ben definita e preziosa – scorrendo la sua storia ci si imbatte persino nel nome di Valery Gergiev, che ne fu direttore principale tra il 1981 e l’85. Ha ben altre dimensioni la reggenza di Eduard Topchjan, che guida la formazione sin dal 2000.
A vedere il suo gesto squadrato, quasi da maestro di banda, difficilmente si potrebbe immaginare che quello sbracciare didascalico si traduca in una flessuosità musicale tutt’altro che imbalsamata e in una delicatezza di tratto da vero artista del podio. Non lo si apprezza granché nel brano di apertura, un lavoro del 1917 di Gian Francesco Malipiero non particolarmente ispirato (Armenia, canti armeni tradotti sinfonicamente), mentre pare già evidente nel Concerto per violino e orchestra di Aram Khachaturian. Composto negli anni Quaranta del Novecento per David Oistrakh, il concerto sollecita il virtuosismo strumentale in tutte le sue declinazioni, dalla destrezza in velocità alla palette timbrica. Anush Nikogosyan ha qualità tecnico-espressive di prim’ordine, sia per la capacità di sbalzare colori e dinamica (anche verso pianissimi assai suggestivi), sia per la spontaneità nel porgere la frase musicale, e che dimostra altresì una solida intesa con il direttore di cui è stata allieva e con cui pare condividere una visione antiedonistica del racconto musicale, anche in una pagina così pirotecnica.
La Sinfonia delle Alpi che segue mette in mostra un’orchestra dalle qualità sorprendenti e, per certi versi, fuori dal tempo. A fronte dell’ormai diffuso conformismo di identità di orchestre più o meno blasonate, la Filarmonica armena ha un bel suono denso e tornito che ricorda, con le dovute cautele, le grandi orchestre russe, ma è altresì una pienezza d’impasto tutt’altro che greve, ma estremamente mobile e vellutata. In corso d’opera si apprezza inoltre un lavoro di concertazione attentissimo da parte del direttore, che ben bilancia equilibri interni e compattezza, ma anche una qualità strumentale delle sezioni stesse eccellente, che tradisce qualche piccola incrinatura solo verso la fine del concerto, probabilmente più per stanchezza che per veri e propri limiti intrinseci.
A fine concerto un bis inatteso: il Lied Beim Schlafengehen dai Vier letzte Lieder dello stesso Strauss affidato al soprano Hrachuhi Bassénz accompagnato, ancora una volta, da Anush Nikogosyan negli interventi del violino solo.
Successo molto caloroso e prolungato a fine concerto.
La recensione si riferisce al concerto di lunedì 11 dicembre 2023.
Paolo Locatelli