Poesia svelata tra passione e tragedia (ilbolive.unipd.it/
Vittoria scriveva poesie. Le scriveva per sé, senza alcuna intenzione di renderle pubbliche, tanto meno di darle alla stampa. Quando iniziò a comporre versi, abitava in Prato della Valle a Padova, dov’era nata nel 1855. La casa di famiglia, in cui la poetessa sarebbe tornata a più riprese anche dopo aver lasciato la città, si trovava in quel lato della piazza dal quale oggi s’inoltra il viale che porta alle serre dell’Orto botanico, tra i civici 41 e 44.
A quella casa avrebbe dedicato una lirica densa di memorie struggenti, ricordandola “aperta su quel prato /che il fiumicel chiudea come monile / tremulo, rispecchiante / statue brune dal muscoso plinto…”. Era il luogo che aveva accolto “i primi studi, il primo amore, il primo / schianto”: le letture appassionate dei classici degli scrittori contemporanei, i primi componimenti poetici e il fidanzamento con il veneziano (e spiantato) Pasquale Grimani, legame che avrebbe rotto nel 1877 su pressante “consiglio” di amici e familiari.
Intelligente, melanconica e curiosa, viveva nell’agio della nobile famiglia di origine armena Moorat-Aganoor che si era trasferita dall’India – dove era nato il padre Edoardo – a Venezia, luogo in cui si era stabilita una comunità di immigrati al seguito dei padri mechitaristi dell’isola di San Lazzaro, e successivamente a Padova. In città, non a caso, a due passi dalla residenza degli Aganoor si trovava Palazzo Zacco, acquistato dalla congregazione armena mechitarista padovana nel 1839 e sede dal 1842 del Collegio Moorat per gli studenti armeni che frequentavano l’Università di Padova.
La famiglia diede a Vittoria e alle sue quattro sorelle la possibilità di ricevere una brillante educazione letteraria da maestri illustri, come il poeta e traduttore Andrea Maffei e il poeta e professore dell’Università di Padova Giacomo Zanella. Proprio l’abate Zanella accompagnò Vittoria lungo un percorso di raffinata formazione umanistica per quasi 15 anni, in un “sodalizio di poesia e umanità” – come lo definisce la studiosa dell’Università di Padova Adriana Chemello – da quando Vittoria era una bambina di otto anni fino al suo maturare in una giovane e colta intellettuale. Anche durante il temporaneo trasferimento della famiglia Aganoor a Venezia, Vittoria tornava con frequenza a Padova, ospite dei nonni, per seguirne le lezioni. In quel periodo aveva spesso contatti con Giovanni Verga, tanto che ne scriveva a Zanella nel giugno 1876: “Abbiamo visto più volte il Verga, col quale abbiamo, come s’immagina, parlato molto di lei”.
L’attaccamento al suo primo maestro era tale che, nonostante la giovane avesse trovato più tardi in Enrico Nencioni una nuova guida mentre soggiornava con la famiglia a Napoli, la morte di Zanella nel 1888 la segnò profondamente.
“Sconvolta dal dolore, Vittoria percepisce la perdita dell’adorato maestro come la fine delle giovanili speranze, il definitivo infrangersi dei suo sogniAdriana Chemello
Con Zanella, Vittoria aveva avuto l’ardire di pubblicare, assieme alla sorella Elena, un componimento sulla Nuova antologia, ma dopo quell’episodio le sue poesie erano rimaste nel cassetto, intimo esercizio intellettuale. L’ombra gettata dalla morte del maestro la spinse a cercare nello studio un sollievo e a stringere ancor più a sé la scrittura e le sue amate carte. In quel periodo Vittoria abitava fra Basalghelle, dove la famiglia aveva una villa, e Venezia, nella zona del ponte dei Greci, dove teneva salotti letterari frequentati da intellettuali quali Enrico Nencioni, Domenico Gnoli e Antonio Fogazzaro, con i quali la giovane intrattenne per molto tempo fitti carteggi.
La Villa di Basalghelle in un cartolina firmata da Virginia Aganoor, 1909 (da: www.mansueviva.it)
Gli anni successivi portarono lutti importanti e preoccupazioni per la malattia mentale della sorella Maria. Alla morte del padre e, nel 1899, della madre amatissima, Vittoria, spaesata, si rifugiò nella poesia. Sembrò però cadere in un baratro di inerzia e depressione, dal quale neanche l’amicizia dolce e fortissima di Domenico Gnoli seppe sollevarla. Anche la poesia, infine, sembrò dissolversi nel suo dolore.
Poi, il ritorno faticoso alla vita.
Nel 1900, a 45 anni, per la prima volta pubblicò una raccolta di sue poesie, Leggenda Eterna, che ebbe uno straordinario successo e dovette essere ristampata.
“Un lume improvviso d’aurora / raccende il fervor della vitaVittoria Aganoor, “Trasimeno”, 1901
Il 1901 è l’anno del suo trasferimento a Perugia a seguito del matrimonio con l’ingegnere umbro Guido Pompilj, per il quale ricevette gli auguri anche da Giosuè Carducci. Un nuovo capitolo di vita, un riscatto dal dolore. Dedicò al marito la raccolta Nuove liriche del 1908 e si impegnò in componimenti per le più varie occasioni, partecipe della vita sociale e politica di Guido, divenuto nel frattempo deputato del primo Collegio di Perugia, quindi sottosegretario di Stato al Ministero delle Finanze, al Ministero degli Affari esteri e plenipotenziario a L’Aja per il Congresso della pace. Gli anni dopo il matrimonio videro Vittoria sempre al fianco del marito, che la amava profondamente.
Gravemente malata, morì nel maggio del 1910 in seguito a un intervento chirurgico. Quella notte, Guido si uccise, sparandosi di fianco al cadavere della moglie.