Perché sarà l’Iran la vera polveriera (Il Giornale 17.10.19)
Dire curdi è diventato improvvisamente per la stampa occidentale un grido in favore dei diritti umani e della autodeterminazione, ed è giusto che sia così: l’assalto che stanno subendo è micidiale e può diventare genocida, e tanto più spaventoso è che sia perpetrato dai turchi, che si sono già macchiati del genocidio degli armeni, e che essi siano guidati da un leader che si ritiene un onnipotente sultano.
E fa davvero specie che l’Europa scopra solo ora chi è veramente. Ma davvero non si sapeva che Erdogan – da sedici anni al potere – è dominato da un vizioso sogno integralista islamico e imperialista, che più volte ha dato prova di prepotenza inaudita? Il suo odio per i curdi, il suo identificarli tutti col Pkk è uno dei segni della pericolosa indole dell’uomo che non ha esitato, e di nuovo non esiterà, a minacciare l’Europa ad aprire verso di lei i suoi confini e invaderla di profughi a milioni.
I curdi sono una popolazione divisa, disillusa e a volte persino in lotta interna, ma sono anche una popolazione perseguitata, coraggiosa, speciale rispetto alla capacità di ambire all’eguaglianza fra i sessi e di praticarla per quel che possono; sono a favore della democrazia, di un rapporto positivo con l’Occidente e con Israele, che in questi giorni in contrasto con Trump manifesta nelle piazze in loro favore. Anche Netanyahu ha detto parole di sostegno.
Quello che sta accadendo sui media assegna a Erdogan un’onnipotenza che non ha, e una lungimiranza che gli manca. Erdogan ha imboccato una strada piena di imprevisti. I media in larghissimo coro sostengono che il ritiro di Trump segna un radicale cambiamento strategico della struttura del potere e dell’influenza americana nella zona, che chi ne guadagna sono innanzitutto la Russia, Assad e l’Iran. Ma bisogna ricordare che il potere alawita si è sempre appoggiato alla Russia per dominare il Paese, questo duo non è niente di nuovo. E che i turchi con Assad abbiano un rapporto di continuo scontro-riavvicinamento è altrettanto noto: per ora invece il fatto che Assad abbia stretto un rapporto coi curdi significa che i russi tendono allo status quo, senza smarginamenti turchi. Quanto all’Iran, si fa vivo per segnalare che non gli piace l’eccesso di presenza sunnita nel nordest della Siria, e questo contrasta con la foto diffusa del summit Erdogan, Rouhani, Putin a metà settembre ad Ankara. Il trio non funziona più in questo momento, e la Russia farà l’equilibrista fra il maggiore potere sunnita e quello sciita che parevano momentaneamente acquietati.
Inoltre gli Usa da sempre, e non con Trump, (vedi Obama con la Libia, con l’Irak, l’Afghanistan, col famoso tradimento della «linea rossa» di Assad) se ne sono andati dal Medio Oriente un sacco di volte. Ma poi ci tornati: Carter con gli ostaggi nell’ambasciata iraniana, Reagan con l’esplosione delle baracche e la strage di militari per mano degli Hezbollah a Beirut, Bush dopo l’11 settembre. Adesso i bravi corrispondenti dal campo scrivono che una massa di milizie arabe armate dai turchi si occupa delle atrocità sulla popolazione curda al grido di Allah u akhbar, contro i kafir, gli infedeli. Questo scatenamento di integralismo islamico può avere grandi ripercussioni che certamente non lascerebbero nessuno indifferente, nemmeno Trump. E anche se Israele non può permettersi di muovere truppe armate, il fatto che stia dalla parte dei curdi significherà certo qualcosa. Non è il fatto che gli Usa non vogliano più stare su quel confine che ha cambiato le cose, è l’urlo di guerra dell’integralismo islamico che agita il Medio Oriente. Forse Erdogan con orgoglio sunnita e regale manca di una visione completa di quello che ha scatenato. L’Iran certo non ama questa invasione sunnita. E neppure gli alawiti. La Russia è in mezzo. L’America è lontana, ma vigile. E l’Europa, solito assente.