Perché ai “grandi” della Terra conviene ignorare il conflitto (Ilgiornale.it 16.07.15)
Raramente succede nella Storia delle Nazioni che, innescatosi un processo di costruzione nazionale, questo rimanga perennemente incompiuto, sebbene in presenza di una guerra vinta e, soprattutto, di un’indefettibile tensione nazionalistica verso l’autonomia e l’indipendenza. Ebbene, questo sta proprio accadendo nel caso del Nagorno Karabakh, il territorio conteso tra l’Armenia e l’Azerbaigian oggetto di un conflitto scoppiato sull’onda indipendentista provocata alla dissoluzione dell’Urss.
Il Nagorno Karabakh, terra di insediamento storico degli armeni, trasferito per «sgarbo» nazionalistico da Stalin entro i confini dell’Azerbaigian, si è trovato costretto ad affrontare una doppia secessione: dall’Urss, ma anche contestualmente dallo stesso Azerbaigian di cui nulla aveva, storicamente, culturalmente, eticamente, per essere di estrazione cristiana, da condividere. Ne è conseguito un conflitto le cui sorti favorevoli sono state assicurate solo dall’intervento militare dell’Armenia con una guerra definita di «liberazione».
Dal 1994, dunque, il conflitto permane «congelato» e la sua originaria causa non ancora riconosciuta. E, come in tanti casi in cui la nascita de facto di un nuovo Stato risulta difficile da metabolizzare, resta in quarantena, sconosciuto ai molti, quasi fosse la questione riservata ad alcune élite politiche internazionali. Oggi il Nagorno Karabakh è una Repubblica auto-proclamatasi indipendente, riconosciuta sporadicamente da entità sub-statali come il Nuovo Galles del Sud in Australia e il Maine negli Usa, ma da nessun vero soggetto della Comunità internazionale. La conseguenza è, pertanto, il prolungarsi di uno stato di guerra non dichiarata al quale appare difficile porre fine. Continua