Ottantasettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Nella Giornata Internazionale della Donna il nostro pensiero va alla donne dell’Artsakh, specialmente alle madri e loro bambini (Korazym 08.03.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.03.2023 – Vik van Brantegem] – In questa Giornata Internazionale della Donna il nostro pensiero va a tutte le donne, in particolare alle donne armene e specialmente alle madri e ai loro bambini piccoli che soffrono per la mancanza di cibo, di riscaldamento, di medicine e di cure mediche adeguate a causa del blocco illegale imposto dall’Azerbajgian all’Artsakh. Oggi celebriamo particolarmente il coraggio delle donne dell’Artsakh. Lottano per la libertà con i 120.000 Armeni, tra cui 30.000 bambini (più di 300 nati dopo il 12 dicembre 2022, durante il blocco), intrappolati nella loro terra ancestrale del Caucaso meridionale dal regime autocratico dell’Azerbajgiana, che mira alla spoliazione del patrimonio storico, culturale e cristiano del popolo armeno. #StandWithArtsakh #EndArtsakhBlockade
Le madri sotto assedio in Artsakh denunciano il genocidio e sfidano il blocco di 120.000 Armeni [QUI]. «I neonati e i bambini piccoli corrono un grave rischio di malnutrizione, persino di fame, se gli aiuti di emergenza internazionali non vengono implementati presto» (Uzay Bulut, giornalista di origine turca).
Le donne di Askeran
di Siranush Sargsyan
Armenian Weekly, 8 marzo 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Dopo la guerra dei 44 giorni in Artsakh, Askeran divenne un insediamento di confine. Quasi tre anni dopo, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, le persone continuano non solo a vivere e lavorare, ma anche a sostenere le donne attive e creative della regione con varie iniziative.
Alla Arzumanyan ha 59 anni e ha vissuto ad Askeran per tutta la vita. Lavora come capo del Servizio di protezione statale dell’ambiente storico. Ha spiegato che dopo la guerra dei 44 giorni 126 monumenti storici di Askeran sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian. In molti casi, il Servizio di protezione statale non può neanche avvicinarsi ai monumenti che sono sotto ancora il controllo dell’Artsakh, perché si trovano sotto l’osservazione dei soldati azeri. Tuttavia, anche in queste condizioni, l’organizzazione continua a lavorare alla conservazione dei restanti monumenti.
Durante la prima guerra dell’Artsakh, Arzumanyan ha lavorato in una fabbrica di vino. All’inizio del movimento di liberazione dell’Artsakh, ha lavorato come cuoca e ha continuato a combattere nel reggimento di carri armati Askeran fino alla fine della guerra. Poi ha lavorato come ristoratrice e ha aperto un caffè all’aperto nel suo cortile, uno dei primi caffè di quegli anni. Era più un luogo di incontro per giovani e donne, dove si riunivano con una tazza di tè e discutevano di vari argomenti.
È così che è nata Mayrik. Ha tenuto fede al suo nome perché, come una madre, ha riunito non solo gente del posto ma anche turisti. Le tisane con additivi alla frutta, le patatine di frutta e verdura e le caramelle alla frutta sono diventate una fonte di piccole imprese.
La guerra dei 44 giorni ha cambiato tutto. L’assenza di turisti ha avuto un impatto su questa piccola impresa. Oltre a Mayrik, Arzumanyan, insieme ad altre donne intraprendenti, ha aperto il Centro di Sviluppo di Askeran e ha iniziato a collaborare con diverse organizzazioni no profit per organizzare proiezioni di film, dibattiti, incontri con psicologi e corsi professionali nel campo dell’agricoltura. Si è scoperto che le donne sono interessate al lavoro agricolo come fonte di reddito, quindi hanno iniziato a coltivare i campi, cosa che non avevano mai fatto prima.
Tutte queste donne hanno mantenuto il loro lavoro regolare, ma era difficile sostenere le loro famiglie con quei salari. Ruzanna è un’insegnante, impegnata nell’allevamento di pollame con la suocera, che, tra l’altro, è la donna più anziana del centro con i suoi 78 anni, ma continua a lavorare. Marine cuoce i tradizionali cappelli jingalov (pane appiattito ripieno di verdure). Maria è una fiorista. Narine lavora nell’apicoltura. Zarina alleva maiali e Lilia mette sott’aceto verdure in vasetti. Mira raccoglie cachi, la maggior parte dei quali vende. Il resto li asciuga.
Uno dei beneficiari del Centro di Sviluppo di Askeran è Mira Hayrapetyan, un’insegnante di scuola elementare di 63 anni, che lavora nel campo dell’istruzione da 45 anni. I suoi due figli e la figlia prestano servizio nelle forze armate dell’Artsakh. “Servo la patria con una penna, i miei figli con un’arma”, dice Hayrapetyan con orgoglio. Sebbene ami molto i suoi studenti, le piace di più lavorare la terra. Ha un terreno di 3.000 metri, un orto e un frutteto, da cui raccoglie fino a una tonnellata di cachi all’anno. Inoltre, produce cappelletti jingalov, sottaceti e cibi secchi. Durante la guerra raccoglieva anche cachi sotto i bombardamenti e cuoceva il pane con altre donne da inviare nelle postazioni di combattimento. “Non ho il diritto di preoccuparmi”, dice. “Non me lo permetto, perché ho tre figli in postazione. La cosa più importante è vivere qui in modo che l’Artsakh non si spopoli. Questa sarà la nostra più grande missione”, ha aggiunto con fermezza.
Lana Hambardzumyan è la partecipante più giovane del Centro. È una studentessa di giornalismo di 20 anni di Ughtasar. Dopo la guerra dei 44 giorni, Ughtasar e altre sette comunità del distretto di Askeran furono occupate dall’Azerbajgian. Ora Hambardzumyan vive con la sua famiglia nella città di Askeran. Oltre ai suoi studi, partecipa attivamente a iniziative di sviluppo della comunità. È membro dell’Unione dei Rifugiati per la Giustizia e ha organizzato eventi per i bambini nei villaggi.
Per queste donne è stato difficile adattarsi alla realtà del dopoguerra. Questi incontri e discussioni li aiutano a tornare alle loro vite precedenti. “Ho notato che stanno già discutendo del rapporto tra la sposa e la suocera”, scherza Arzumanyan, come se stessero tornando in vita. Ma, dice, “Viviamo per oggi. Tutti i nostri piani iniziano con le espressioni ‘Se sopravviviamo’ e ‘Se c’è pace’”.
Durante il blocco dell’Artsakh in corso, queste donne continuano a lottare, non solo per provvedere alle loro famiglie, ma anche per sostenere i residenti bisognosi della comunità di Askeran.
Il Centro di Sviluppo di Askaran ha iniziato a raccogliere cibo e vestiti pesanti da distribuire alle famiglie più bisognose. Arzumanyan dice che è stato durante il blocco che si sono resi conto dell’importanza e della rilevanza della formazione organizzata dal centro e dei programmi attuati. Ad esempio, il raccolto dell’orto di Hayrapetyan e le uova ottenute grazie all’allevamento di pollame di Ruzanna hanno svolto un ruolo fondamentale nel soddisfare i bisogni dei membri della comunità che affrontano gravi carenze alimentari.
Il Centro ha programmato per questo mese una serie di attività nel fine settimana per i bambini. Hayrapetyan insegnerà ai bambini come realizzare i tradizionali cappelli jingalov. Arzumanyan insegnerà loro come fare il dolma. Hanno anche programmato un incontro con uno psicologo infantile, che attraverso l’arteterapia cercherà di distrarre i bambini dai problemi personali ed emotivi nelle condizioni di un blocco che dura da quasi tre mesi.
In preparazione alla Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo, il centro ha organizzato i bambini per realizzare dei biglietti di auguri per congratularsi con le loro madri e nonne. Allo stesso tempo, Hambardzumyan e Snezhana Tamrazyan stanno cercando di organizzare eventi gratuiti per i bambini della comunità con i loro personaggi dei cartoni animati. Lo scopo di queste iniziative è utilizzare le risorse delle donne del centro per proteggere i bambini dalla realtà dell’assedio.
87 giorni dopo l’inizio dell’assedio, l’Azerbajgian si appresta a terminare i suoi sforzi di pulire etnicamente l’Artsakh dagli armeni etnici ancora rimasti, come si può comprendere dalle dichiarazioni ufficiali e dai media statali (di cui riportiamo in chiusura gli esempi). Come ha affermato il Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan, l’Azerbajgian intimato gli Armeni nativi dell’Artsakh di accettare l’integrazione nell’Azerbaigian o non ci sarà soluzione ai problemi esistenti, minacciando “passi più duri e più netti”, cioè, l’uso della forza per terminare la pulizia etnica.
A seguito del blocco in corso, l’economia della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha subito una perdita di circa 150 milioni di dollari, portando al calo dell’indice del PIL annuo previsto (903 milioni di dollari) di oltre il 16%. Quindi, è corretto quanto si legge ieri, 7 marzo 2023 sui social azeri, che il #ArtsakhBlockade su «la strada strategica del Karabakh funziona correttamente nell’86° giorno della protesta 24 ore su 24 degli eco-attivisti azeri», confermando che il blocco-che-non-c’è è sempre attivo: «Come nei giorni scorsi, anche oggi sta assistendo al passaggio senza ostacoli dei veicoli delle forze di mantenimento della pace russe nell’area della protesta pacifica degli eco-attivisti azeri sulla strada Lachin-Khankandi, riporta Azernews. Oggi ricorre l’86° giorno di protesta degli eco-attivisti azeri sulla strada di Lachin per protestare contro il saccheggio delle risorse naturali dell’Azerbaigian da parte dei separatisti del Karabakh in concerto con l’Armenia. Il 7 marzo, sin dalle prime ore del mattino, gli eco-attivisti della zona hanno consentito l’accesso senza ostacoli a tutti i tipi di veicoli utilizzati per scopi umanitari e sono state create le condizioni per il passaggio di ambulanze [del Comitato Internazionale della Croce Rossa], oltre a 13 mezzi di sicurezza e tre autovetture delle forze di mantenimento della pace russe da Khankandi verso Lachin. Contrariamente all’interminabile campagna di diffamazione armena secondo cui la strada per il Karabakh è bloccata, ciò dimostra ancora una volta, viceversa, che il picchetto non ha lo scopo di ostacolare il movimento di veicoli a scopo umanitario. I resoconti dei media armeni sui manifestanti che avrebbero bloccato la strada Khankandi-Lachin e impedito ai veicoli di sicurezza di passare nell’area rimangono parte dell’ampia campagna mediatica degli Armeni volta a gettare un’ombra sugli sforzi dell’Azerbajgian per ripristinare la pace e l’ordine nella regione travagliata. Al momento in cui scriviamo, i rapporti dalla regione affermano che sono state create le condizioni per il passaggio senza ostacoli di 25 veicoli di sicurezza e tre veicoli passeggeri delle forze di mantenimento della pace russe da Lachin a Khankandi attraverso la sede del picchetto oltre a quanto sopra menzionato» (Aytac Seyhunqizi – Azernews, 7 marzo 2023).
Questo è l’inizio dell’87° giorno del blocco azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh per gli studenti universitari del picchetto sull’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin), vengono portati in un viaggio di 800 km di andata e ritorno da Baku su autobus giganti per cantare “Ama la natura! Salva la natura!”, per un paio di giorni di turno alla volta.
Stati Uniti e Francia affermano spesso di essere inclini a mantenere la co-Presidenza del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Entrambi i co-Presidenti statunitensi e francesi sono ora nella regione, è l’87° giorno del #ArtsakhBlockade e la situazione è estremamente tesa. Cosa impedisce loro di visitare l’Artsakh e mostrare il loro impegno per la co-Presidenza del Gruppo di Minsk?
L’Armenia va difesa proprio come l’Ucraina
Aliyev è un dittatore e non è possibile ignorare i suoi crimini contro gli armeni solo perché rifornisce di gas l’Europa
di Grigor Ghazaryan
Tempi.it, 8 marzo 2023
Nell’84° giorno del blocco criminale del Corridoio di Lachin (Berdzor) – a dispetto della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di non ostacolare la libera circolazione di merci, persone e trasporti attraverso il corridoio – la dittatura di Baku ha realizzato l’ennesimo atto terroristico contro gli Armeni dell’Artsakh. La mattina del 5 marzo un gruppo di militari azeri è penetrato nel territorio controllato dalle forze di mantenimento della pace russe e ha sparato contro un’auto della polizia locale nei pressi del villaggio di Ghaibalishen, non troppo lontano da Stepanakert, togliendo la vita al tenente colonnello Armen Babayan, al maggiore David Danielyan e al tenente Ararat Gasparyan.
La propaganda dell’Azerbajgian
Da giorni le truppe azere continuavano a sparare nella direzione delle postazioni armene e anche contro le telecamere di sorveglianza per danneggiare ogni sistema di sicurezza e per impedire la videoregistrazione dei loro atti criminali. Tra l’altro, come preludio a ogni tipo di incursione militare, la macchina di propaganda dell’Azerbajgian in modo proattivo si era impegnata a preparare testi per accusare la parte armena.
Così, giustificando queste ultime uccisioni, la macchina di propaganda azera ha spacciato per verità le fake news su un presumibile “trasporto di armi”, smentite subito con la pubblicazione da parte delle autorità dell’Artsakh di una serie di filmati, i quali hanno rivelato tra l’altro che i soldati azeri, entrati nel territorio degli Armeni, avevano teso loro un’imboscata.
Sradicare gli Armeni dalla loro terra
Da oltre 84 giorni le autorità di Baku continuano a orchestrare – mediante gruppi di persone accompagnate da convogli, soldati e agenti speciali – una manifestazione etichettata come “ambientalista” sulla strada di Lachin, l’unico collegamento tra Artsakh e Armenia, dopo la pulizia etnica degli insediamenti armeni di Berdzor, Aghavno e Sus.
L’Azerbajgian, sempre agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sui diritti umani e sulle libertà di espressione e della stampa, sta sfruttando le manifestazioni, come ogni altro tipo di espressione democratica – un fatto notato anche da diversi giornalisti azeri. Naturalmente sarebbe vietato esprimersi, per esempio, sull’inquinamento del Caspio causato dal massiccio sfruttamento dei depositi petroliferi. Va aggiunto che il piano – rivelatosi nella dichiarazione del Presidente azero: «[Gli Armeni dell’Artsakh] possono andare via, la strada è aperta» – manifesta l’intenzione di sradicare la popolazione armena dell’Artsakh e corrisponde perfettamente a quanto definito dall’articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948): un palese atto di genocidio.
Se Baku è un “partner affidabile”
Comunque, più preoccupante è il fatto che simili dichiarazioni si inquadrino nella logica del demagogismo russo-turco, alla base di ogni politica anti-armena: «Non siamo noi a bloccare la strada» dichiarano all’unisono sia i Russi chiamati “forze di mantenimento della pace”, sia gli aggressori azeri, giocando con l’Armenia e con gli spettatori occidentali. Nel frattempo, per aggravare la situazione, la parte azera danneggia sistematicamente le infrastrutture di gas e di elettricità della piccola repubblica autoproclamata, dove 120 mila persone restano intrappolate e dove sono privati del diritto allo studio oltre 6.000 alunni degli enti pre-scolari, 19.000 studenti delle scuole medie e 6.800 studenti universitari.
È questo che accade quando i dittatori si guadagnano l’alloro di santi fornitori di gas: “partner affidabili” dell’Europa e, allo stesso tempo, artefici e negazionisti di un genocidio infinito degli Armeni.
L’Armenia invia aiuti alla Turchia terremotata
Dopo il terremoto devastante avvenuto il mese scorso in Turchia meridionale, l’Armenia è stata tra i primi Paesi a mandare una squadra professionale di soccorso e centinaia di tonnellate di assistenza umanitaria a uno Stato fondato, tra l’altro, sui cadaveri di Armeni, Curdi e Greci del Ponto; a quella Turchia di un fiero dittatore, erede di un enorme patrimonio economico, finanziario e culturale strappato agli armeni durante il genocidio del 1915-23. Sempre in linea con i valori universali, gli Armeni hanno mandato assistenza alla Turchia, alla quale nel 1928, nel nome di Agop Martayan, regalarono perfino l’attuale alfabeto (Turk alfabesi), aiutando il popolo turco a stabilirsi anche culturalmente come una nazione.
Oggi, avvalendosi del doppiogiochismo dell’Occidente, che si manifesta nella mancanza di appoggio all’Armenia di fronte alla minaccia esistenziale, la Turchia di Erdoğan continua a favorire l’annientamento degli Armeni, secondo le mappe dell’espansionismo del “mondo turco” nelle quali Erevan – unica democrazia sudcaucasica – è già cancellata.
L’Armenia è come l’Ucraina
Nella recente conferenza stampa assieme al Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Giorgia Meloni ha dichiarato che «la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani», non accetta «un mondo dove la forza può ridisegnare i confini tra gli Stati» e non accetta un mondo dove «chi ritiene di essere militarmente più forte si ritiene, per questo, anche in diritto di invadere il suo vicino».
Resta aperta la domanda: allora perché il mondo tace quando l’Azerbajgian invade l’Armenia a Jermuk, Ishkhanasar, Shorzha e Sotq, uccidendo soldati e civili armeni? Aliyev non sta calpestando il diritto internazionale con la forza? O le sentenze della Corte Internazionale dell’Onu non emanano dal diritto internazionale? Bisogna notare che girandosi dall’altra parte, i doppiogiochisti avvicinano automaticamente anche il trionfo del terrorismo internazionale e di nuove modalità di fare guerre per procura. Non dimentichiamo che la Turchia nel 2020 trasportava mercenari jihadisti dalla Siria in Azerbaigian per «conquistare le terre degli infedeli».
Pure questa è un’invasione di un altro Stato e pure qui c’è un popolo aggredito: il popolo armeno. Un popolo che non aveva in partenza le stesse forze per difendersi ma che a prezzo del proprio sangue protegge la sicurezza dell’Europa. Dunque, è facilissimo ricontestualizzare e attribuire le parole della Meloni anche al caso armeno: la battaglia che l’Armenia combatte, la combatte per ciascuno di noi. Non esistono giustificazioni morali per fare finta di non vedere.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, con una dichiarazione pieno di menzogne e disinformazione, ha rimandato al mittente la dichiarazione del Ministero della Difesa della Federazione Russa sull’imboscata del commando terroristico azero del 5 marzo, in cui si afferma che le truppe azera “hanno tentato di arrestare il veicolo che trasportava armi illegali che successivamente ha aperto il fuoco”, accusando falsamente l’Armenia di trasferimenti di armi, definendo i poliziotti dell’Artsakh uccisi, «membri del gruppo armato armeno» appartenente a «unità militari armene che effettuano trasporti militari illegali dall’Armenia», alla faccia di tutte le prove disponibile, nonostante che le forze armate azere nei giorni precedenti hanno provato di abbattere tutte le telecamere di sorveglianza della linea di contatto.
Riportiamo di seguito, nella nostra traduzione italiana, la dichiarazione del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian e un articolo da Azernews, agenzia statale azera, che elabora su questa dichiarazione. Non occorre un commento, basta leggere e verificare quanto abbiamo pubblicato nei giorni precedenti (anche confutando che l’Armenia starebbe inviando armi all’Artsakh, ricordando che la questione delle mine è stata respinta dalla Corte Internazionale di Giustizia e che il comando terroristiche azero ha teso l’imboscata sul territorio della Repubblica di Artsakh in violazione della dichiarazione tripartita di cessate il fuoco del 9 novembre 2020) e oggi è stato ripetuto in modo sintetico su Tempi. Come di consueto, l’Azerbajgian da aggressore si presente come vittima “martire”.
Dichiarazione del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian
«Prendiamo atto con rammarico che il 6 marzo il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha distorto i fatti e diffuso informazioni non veritiere nel suo bollettino in merito all’incidente armato avvenuto ieri sulla strada Khankendi-Khalfali-Turssu.
Si informa che il 5 marzo, sulla base di informazioni operative, è stato effettuato un tentativo di fermare e controllare il veicolo delle unità militari armene che effettuano trasporti militari illegali dall’Armenia da parte di unità dell’esercito dell’Azerbajgian. Mentre si avvicinavano al veicolo, i nostri militari sono stati colpiti con armi automatiche dai membri del gruppo armato armeno all’interno del veicolo, a seguito del quale due militari sono stati uccisi e uno è rimasto ferito. Tre membri del gruppo armeno illegale sono stati uccisi e uno è rimasto ferito dal fuoco di risposta. Presentare questo personale militare, completamente equipaggiato con armi e munizioni, come agenti di polizia che svolgono il servizio “passaporto e visto” non è altro che ipocrisia.
Le informazioni diffuse sulla fornitura di pronto soccorso e di evacuazione da parte dei rappresentanti del contingente di mantenimento della pace russo ai nostri militari feriti a seguito dell’incidente non riflettono la verità. L’evacuazione dei nostri martiri e soldati feriti dalla zona è stata effettuata dal nostro personale militare.
Contrariamente alle disposizioni della dichiarazione tripartita, l’Armenia continua a fornire armi, munizioni, rifornimenti e altro equipaggiamento militare a gruppi armati armeni illegali nella regione economica del Karabakh dell’Azerbajgian, così come la rotazione del personale. Al fine di prevenire immediatamente tali situazioni inaccettabili, il contingente russo di mantenimento della pace dovrebbe adempiere ai propri doveri.
In particolare, rileviamo che la politica di terrorismo con mine portata avanti dall’Armenia contro l’Azerbajgian è tuttora in corso. Nonostante i ripetuti avvertimenti da parte nostra, i nostri civili e militari sono vittime di mine trasportate illegalmente in Azerbajgian e seppellite nel nostro territorio. Così, a seguito dell’esplosione della mina avvenuta il 4 marzo nel distretto economico del Karabakh, un altro dei nostri militari è stato martirizzato. Nel 2021, sono stati determinati i fatti del trasporto e del seppellimento in massa delle mine prodotte in Armenia utilizzando la strada Lachin verso il territorio dell’Azerbaigian ed è stata effettuata una visita conoscitiva dei rappresentanti dell’Osservatorio congiunto Turchia-Russia e degli addetti militari in quella zona organizzato. In risposta a tali atti dell’Armenia e delle unità militari armene illegali e al martirio del nostro militare, l’esercito azero ha condotto l’operazione “Vendetta” nell’agosto 2022.
Avvertiamo ancora una volta che il trasporto di beni militari da parte dell’Armenia nel territorio dell’Azerbajgian, l’invio e la rotazione del personale delle forze armate armene dovrebbero essere immediatamente e una volta per tutte interrotti e le truppe armene dovrebbero essere completamente ritirate dal territorio del nostro Paese. In caso contrario, la parte azera sarà costretta a prendere le misure assolutamente necessarie per disarmare e neutralizzare le forze armate illegali utilizzando tutte le possibilità.
Tali atti dell’Armenia sono considerati una continuazione dell’aggressione militare.
Gli eventi verificatisi e il perdurare dei trasporti militari illegali dell’Armenia verso i territori sovrani del nostro Paese, confermano ancora una volta la necessità di assicurare un regime di controllo sulla strada di Lachin nel territorio dell’Azerbajgian».
L’Armenia commette un’altra provocazione in Karabakh: prova della determinazione di Baku o richiesta di un’operazione militare?
di Fuad Muxtar-Aqbabali
Azernews, 7 marzo 2023
L’Armenia ha fatto ricorso a un’altra provocazione contro la ferma determinazione dell’Azerbajgian di far rispettare le proprie leggi nazionali in tutto il Karabakh, e la situazione all’interno e intorno alla regione travagliata, una volta sotto l’occupazione dell’Armenia riconquistata durante la guerra del 2020, è nuovamente degenerata al limite.
Cosa c’è dietro la nuova provocazione armena?
Questa provocazione ha tardato ad arrivare e l’Azerbajgian ha subito due perdite il 5 marzo, impedendo un altro tentativo dei separatisti del Karabakh di contrabbandare armi e mine nel Paese dall’Armenia utilizzando una strada sterrata.
Le violazioni della tregua sono state registrate contemporaneamente nei distretti di Daskasan, Kalbajar e Gadabay al confine armeno tra il 5 e il 6 marzo, così come il bombardamento delle postazioni dell’esercito azero a Shusha da parte di gruppi armati armeni illegali nel Karabakh doveva distrarre l’attenzione sull’importante carico di armi alla regione separatista. Le violazioni della tregua lungo i confini azeri e armeni e all’interno del Karabakh di solito si verificano quando gli Armeni pianificano spedizioni militari nella regione per distrarre l’attenzione di Baku e anche questo non è stato escluso domenica.
Senza ombra di dubbio, l’Azerbajgian è a conoscenza di consegne illecite dall’Armenia alla regione separatista attraverso la strada al di fuori del suo controllo sotto la supervisione delle forze di mantenimento della pace russe come il picchettaggio di 86 giorni degli eco-attivisti azeri e dei rappresentanti della società civile sulla strada di Lacin capovolti i piani dei separatisti di utilizzare l’ultramoderno collegamento di trasporto per l’invio di armi e personale militare nella zona per rafforzare le posizioni dopo la sconfitta del 2020.
In una dichiarazione sulla provocazione dell’Armenia nelle immediate vicinanze di Shusha, il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha affermato che l’incidente è avvenuto quando i militari hanno cercato di fermare un veicolo dei separatisti per verificare le informazioni secondo cui la strada sterrata Khankandi-Xalfali-Turssu è utilizzata per armi, mine e consegne di truppe dall’Armenia alla regione separatista.
L’ultima sparatoria sulla strada Khankandi-Xalfali-Turssu ha dimostrato ancora una volta che i separatisti in Karabakh, sostenuti dall’Armenia e dalla loro rete multitentacolare di mercenari e organi di stampa, lavorano fianco a fianco, e i loro sforzi sono volti a silurare la fiducia nell’Azerbaigian negli ultimi mesi.
Contraccolpo di riconciliazione?
La sparatoria del 5 marzo in Karabakh è avvenuta quattro giorni dopo i colloqui tra rappresentanti della comunità azera e del Karabakh a Khojaly con la mediazione delle forze di mantenimento della pace russe.
Il 1° marzo l’Azerbajgian ha avviato un incontro con i rappresentanti della comunità armena del Karabakh in previsione del riavvio del processo di riconciliazione dopo la cacciata di Ruben Vardanyan, un emissario inviato da Mosca per aumentare la tensione nella regione.
Il Ministero ha affermato che la strada Lachin-Khankandi è l’unica via che potrebbe essere utilizzata per il collegamento tra l’Armenia e il Karabakh e che l’uso di strade alternative è assolutamente inaccettabile. Ha aggiunto che l’incidente del 5 marzo ha dimostrato l’importanza di istituire un posto di blocco da parte dell’Azerbajgian sulla strada di Lachin.
Il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev in un discorso ai giornalisti il 18 febbraio a Monaco ha comunicato la proposta di Baku per l’erezione di posti di blocco al confine armeno per tenere sotto controllo ciò che viene portato alla e portato fuori dalla regione: “Sarebbe bene se l’Armenia e l’Azerbajgian istituissero posti di blocco sul confine armeno-azerbaigiano in modo bilaterale. Abbiamo fatto questo suggerimento in precedenza e lo abbiamo reso ufficiale oggi. In precedenza, questo suggerimento veniva comunicato attraverso canali non ufficiali. L’Armenia non ha espresso alcuna posizione. Probabilmente hanno bisogno di un po’ di tempo per discuterne”, ha detto il Presidente.
Cosa incoraggia l’Armenia?
Oggi l’Armenia sembra fiduciosa nel dispiegamento della missione di osservazione dell’Unione Europa sul confine non delimitato con l’Azerbajgian e ripone grandi speranze nella missione come rimedio e protezione anti-azerbaigiana.
Il 6 marzo, una serie di filmati è diventata di pubblico dominio, che mostrava consegne militari dall’Armenia al Karabakh attraverso la strada dove è avvenuta la sparatoria.
Il Ministero degli Esteri azero ha affermato in una dichiarazione del 5 marzo che l’Armenia dovrebbe interrompere le consegne militari in Karabakh e ritirare immediatamente le forze armate dalla regione.
La provocazione in Karabakh mostra l’intenzione di Yerevan di andare avanti con politiche simili progettate per preservare né la pace né lo status quo di guerra per i giorni desiderosi dell’Armenia di tentare di riprendere il controllo se l’Azerbajgian fallisce.
L’Armenia non ha rinunciato alla sua politica di occupazione contro l’Azerbajgian e non è interessata a stabilire la pace e la sicurezza nella regione. L’Armenia ha sostanzialmente modificato il modo di presentare i propri obiettivi di politica estera, evitando un linguaggio pretenzioso e fingendo che la questione del Karabakh sia fuori dall’agenda mettendo in luce l’aspetto umanitario della questione. Tuttavia, le consegne militari la dicono lunga sui suoi impegni palesi e segreti e mettono a nudo gli obiettivi delle speranze futili ma orientate al futuro di Yerevan che la situazione un giorno si riprenda.
L’appello dell’Armenia alle organizzazioni internazionali per una missione conoscitiva internazionale nei territori sovrani dell’Azerbajgian è un altro sfacciato tentativo di Yerevan di mettere il naso negli affari di Baku.
“Nelle circostanze attuali, l’invio di una missione conoscitiva internazionale nel Corridoio di Lachin e nel Nagorno-Karabakh è di vitale importanza”, ha affermato il Ministero degli Esteri armeno.
L’azione militare in Karabakh è un must
Nelle aree separatiste del Karabakh oggigiorno le operazioni militari sono un must per schiacciare gli sviluppi negativi sul nascere e la questione non è mai stata tolta dal tavolo. L’Azerbajgian può iniziare un’operazione antiterrorismo da un momento all’altro.
Colpevoli dell’incidente mortale sono anche le truppe di mantenimento della pace russe, che hanno il controllo dell’area, che chiudono un occhio sull’uso da parte degli Armeni di strade alternative in Karabakh in cambio di tangenti e altri doni, e questo è fuor di dubbio.
Il contingente militare russo fa soldi con il disastro, il conflitto e lo spargimento di sangue delle due nazioni e questo è uno dei motivi del fallimento dei Russi nella regione nel mantenere le forze armate armene in Karabakh.
Insoddisfazione per la Russia
La sparatoria è avvenuta nella zona di responsabilità del contingente di mantenimento della pace russo. E questa circostanza ha subito provocato un’ondata di critiche contro Mosca, sia a Baku che a Yerevan.
L’Armenia rimprovera alle forze di pace l’incapacità di porre fine al “blocco del Karabakh” e Baku è insoddisfatta del fatto che le forze di pace consentano alle forze di sicurezza armene di muoversi lungo le strade di campagna nella loro area di responsabilità, il che apre la possibilità al trasporto non autorizzato di armi nella regione. L’Azerbajgian ritiene che il comando russo stia cooperando troppo strettamente con le strutture di potere dei separatisti.
Yerevan è insoddisfatta della situazione attuale e sta anche cercando di influenzare Mosca, ma con altri metodi geopolitici. La squadra del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, in ogni occasione, mostra al Cremlino che l’Occidente può essere scelto come principale mediatore, protettore e sponsor. Non è un caso che recentemente Yerevan abbia notevolmente aumentato i contatti con i rappresentanti europei e americani e discuta sempre più volentieri le vie d’uscita dal conflitto con l’Azerbajgian non a Mosca, ma a Brussel.
I canali media e Telegram associati a Nikol Pashinyan e al suo team sono molto critici nei confronti della Russia. La situazione ricorda sempre più lo Zugzwang, quando ciascuna delle possibili mosse non fa che peggiorare la posizione.
Il 6 marzo, il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha accusato il Ministero della Difesa della Russia di aver diffuso informazioni false che servono gli interessi dell’Armenia e gestiscono i principi della missione di cui è stata investita dal 2020.
Poi l’articolo conclude con due foto (a sinistra, con il nome del file “Guerra in Karabakh” e a destra la missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia) e non è difficile capirne il messaggio dell’accostamento, leggendo quanto scritto prima:
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]