OPINIONI Emanuele Franz: «La pace tra Occidente e Oriente è possibile» (Diarioweb
Una spedizione che sembra venuta da un’altra epoca, lunga migliaia di chilometri e durata quasi un mese di esplorazioni tra terra e mare, all’inseguimento di una storia della vecchia mitologia quasi del tutto dimenticata. Così il filosofo e saggista Emanuele Franz ha raccolto il materiale per il suo ultimo libro, «Alla ricerca del vello d’oro. Spedizione in Colchide del terzo millennio. 3400 chilometri via terra e mare» (Audax Edizioni), tra Georgia e Armenia, territori di confine tra Oriente e Occidente, oggi più che mai al centro dell’attenzione e delle tensioni geopolitiche. «Una bella ricerca di un argonauta del nostro tempo», come l’ha definita il filosofo Marcello Veneziani, più attuale di quanto possa apparire, animata dalla convinzione tanto antica quanto moderna che tra i due lati del mondo si possa ritrovare la pace e l’unità a lungo smarrite. Il DiariodelWeb.it lo ha intervistato.
Emanuele Franz, come nasce il suo ultimo libro?
Il vello d’oro è uno dei temi principe della storia delle religioni, la branca della quale io mi occupo. Ma la maggior parte degli storici lo considera una mera invenzione. Io ho voluto condurre una ricerca sul campo, sui luoghi del mito, cioè la Colchide, nell’attuale Georgia.
Ci ricorda di cosa tratta questa leggenda?
Giasone era un principe greco che reclamava il trono del padre Pelia. Questi accettò di cederglielo solo nel caso in cui avesse superato una prova impossibile: trovare il vello d’oro, il mantello magico di un ariete volante, dotato di poteri soprannaturali come la proprietà di guarire ogni malattia. Lo aiutò la strega Medea, che drogò il serpente che custodiva il vello d’oro su una quercia.
Cosa ha scoperto nella sua ricerca?
Ho analizzato gli scritti degli antichi e ho trovato molti elementi in comune con il cristianesimo: il serpente che custodisce un albero sacro è un concetto che richiama l’Eden; lo stesso nome Giasone è la forma ellenizzata di Gesù. Oltretutto la Chiesa georgiana è una delle più antiche del mondo: sarebbe stata fondata dall’apostolo Andrea nel I secolo d.C., pochi secoli dopo il mito in questione.
Per raggiungere questi territori ha compiuto un pellegrinaggio piuttosto avventuroso.
Sì, ho viaggiato per 3400 km senza prendere un aereo, facendo sopralluoghi, visitando antiche chiese, rintracciando elementi geografici, in cerca di corrispondenze con le descrizioni dei poeti. Ho dovuto attraversare il Mar Nero su una nave commerciale, in mezzo ai container, perché nessuna agenzia di viaggi voleva vendermi un biglietto: molte compagnie hanno addirittura soppresso la tratta per via della guerra.
Dunque qual è l’odierna situazione della Georgia, confinante con la Russia in guerra?
I georgiani hanno un risentimento verso il loro passato: hanno una religione molto radicata, eppure sono stati annessi alla Russia anticlericale fino agli anni ’90. E non perdonano a loro stessi che Stalin fosse nato proprio in Georgia. Il desiderio di indipendenza e il sentimento anti-russo sono forti, ma sono fomentati dagli Stati Uniti.
Poi ha attraversato anche il confine con l’Armenia, una nazione in forte tensione con l’Azerbaigian, sempre sull’orlo di una nuova guerra.
I media la delineano come un luogo pericoloso, da evitare. Eppure la polizia non mi ha neanche chiesto dove andassi, non ho incontrato nemmeno una pattuglia, una tranquillità indescrivibile. Ho chiesto alla guida come mai la stampa sollevasse tutto questo allarmismo sull’Armenia e mi ha risposto che a loro dicono di non andare in Europa.
C’è la volontà di affossare questi luoghi?
Evidentemente sì, un po’ dal punto di vista turistico, un po’ perché queste comunità, con la loro cristianità atavica, rappresentano una minaccia per una visione del mondo che vuole eliminare il senso del trascendente.
Questo eterno scontro tra Occidente e Oriente, oggi come allora, sembra la storia che si ripete.
Quella zona geografica è cruciale: controllarla significa gestire gli scambi culturali e di risorse. Per questo è sempre stata un cuscinetto bombardato e spinato, perché rappresenta proprio uno spartiacque tra due mondi, il punto di saldatura di un’unità indoeuropea agognata, che secondo me già al tempo degli antichi greci si voleva recuperare.
Davvero questo incontro tra Est e Ovest è impossibile o esiste un terreno di dialogo, persino in un momento di conflitto?
Sono molto speranzoso: per me è possibile trovare un punto in comune. Gran parte delle guerre hanno origini ideologiche o religiose. E io credo che ci sia una matrice, precedente alla differenziazione delle religioni, che la mistica riesce a penetrare. Gli stessi culti attuali hanno ereditato elementi dei miti antichi, appunto.
Dietro alla punta dell’iceberg delle nostre differenze c’è una parte sommersa che ci unisce, insomma.
Secondo me sì. Si tratta indubbiamente di un lavoro difficile ma sicuramente possibile. Per me tutte le diverse religioni e i diversi popoli, proprio come i tessuti di uno stesso organismo, dovrebbero concorrere a un’unità superiore. Naturalmente la pace non deve rappresentare la soppressione delle singole specificità: se diciamo a un fegato di smettere di fare il fegato, allora sopravviene la morte.
Il vello d’oro simboleggiava proprio questa unità, dice lei.
L’interpretazione materialista sostiene che i montanari usassero come setacci le pelli dei montoni, che quindi si riempivano di pagliuzze d’oro: da qui sarebbe nata la leggenda. Ma è un po’ riduttivo, perché gli stessi storici antichi, come Diodoro, lo definivano come un tesoro declamato in tutto l’universo. Era presieduto militarmente e giustificava spedizioni che attraversavano il Mar Nero.
Facciamo un po’ di spoiler: alla fine il tesoro l’ha trovato o no?
Credo di aver trovato tutti gli elementi per affermare che il vello esiste. Elementi iconografici, ad esempio: in Georgia esiste un culto ossessivo del mantello divino che non esiste nelle altre Chiese ortodosse. Che penso andrebbero approfonditi anche dal punto di vista archeologico.