Operazione “fideicidio”. Storia della persecuzione comunista nell’Armenia cristiana (Tempi.it 09.09.16)
Articolo tratto dall’Osservatore romano – Subito dopo il genocidio, il popolo armeno dovette subire un altro terrore di massa e massacro collettivo che furono convalidati e firmati dai compagni comunisti dell’Armenia sovietica. La documentazione e la ricerca tuttora incompleta sulle decisioni e procedure ufficiali della famosa troika sovietica Nkvd (una speciale commissione istituzionale, utilizzata come strumento di punizione extragiudiziaria, senza regolare processo), rivela i nomi di più di 250 chierici, uccisi ed esiliati tra gli anni 1920-1950.
Il culmine di questa politica e persecuzione anti religiosa fu l’assassinio per strangolamento del catholicos Khoren i (1932-1938) per mano degli agenti della polizia segreta presso la sua sede di Etchmiadzin il 6 aprile 1938. Prima di ciò, tutti i 70-75 membri del clero di Etchmiadzin, a parte sette, furono arrestati, esiliati e giustiziati per «attività anti-rivoluzionarie». Quattro mesi dopo l’omicidio di Khoren i, il 4 agosto 1938, il Governo sovietico armeno emanò un decreto segreto per l’eliminazione del catholicossato armeno di Etchmiadzin. Nello stesso giorno un altro appello segreto a Stalin fu firmato dal segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista in Armenia che accusava Etchmiadzin di attività anti-comuniste e chiedeva il permesso del Politburo per attuare la decisione dell’elimiazione del catholicossato. Sebbene Stalin non abbia mai approvato la decisione dei comunisti armeni, il periodo di sede vacante (1938-1945) fu tra i più difficili nella storia della Chiesa armena. Nel 1940 erano rimaste in Armenia solo nove chiese in funzione, mentre prima del 1917, solo la diocesi di Artsakh (Karabakh) aveva 208 chiese, 14 monasteri, e 236 preti. Durante i 30 anni e più di persecuzione comunista (1920-1950) l’identità cristiana armena affrontò un altro orrore della storia umana, il “fideicidio”, che aveva per scopo l’eliminazione totale della fede cristiana e della Chiesa come istituzione. La figura di Khoren i, come capo della Chiesa armena, rappresenta così l’immagine collettiva del clero martirizzato nell’Armenia sovietica. È importante notare che già nel 1938, l’editoriale di «Hask», mensile ufficiale del catholicossato della Grande casa di Cilicia, pur assumendo la versione comunista ufficiale della morte di Khoren i per un improvviso attacco cardiaco, lo definì «santo martire». Inoltre, nell’editoriale del mensile ufficiale del patriarcato armeno di Gerusalemme «Zion» (maggio 1938), il patriarca di Gerusalemme arcivescovo Torkom Gooshakian, uno dei più stretti collaboratori di Khoren i, lo dichiarò «pontefice santo e martirizzato».
Tutte queste indicazioni di testimoni oculari contemporanei indicano implicitamente che, nonostante le pressioni del Governo sovietico per far accettare la versione ufficiale della morte di Khoren i, vi era la ferma convinzione, soprattutto nella diaspora armena, che il catholicos fosse stato ucciso per essersi rifiutato di consegnare i tesori della Chiesa. Tuttavia, bisogna tener presente che i tesori di Etchmiadzin erano stati già confiscati in massima parte negli anni Venti, e che la maggior parte degli edifici e delle opere d’arte religiose erano state alienate da quasi tutte le diocesi e le parrocchie dell’Armenia. Il motivo dell’uccisione del catholicos non fu soltanto il desiderio del Governo locale armeno di confiscare totalmente i tesori di Etchmiadzin, ma fu semplicemente provocato dall’adozione della nuova costituzione dell’Unione sovietica nel dicembre 1936. L’articolo 124 della Costituzione formulava la libertà religiosa in questi termini: «Allo scopo di assicurare ai cittadini la libertà di coscienza, la Chiesa nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è separata dallo Stato, e la scuola dalla Chiesa. La libertà di culto religioso e la libertà di propaganda antireligiosa sono riconosciute per tutti i cittadini». Il nuovo atteggiamento del Governo sovietico incoraggiò evidentemente i capi della Chiesa in tutte le parti dell’Unione sovietica, e anche in Armenia, dove la libertà di religione creò un’atmosfera più o meno accettabile. I documenti di archivio riferiscono che nel 1935 le chiese e le parrocchie rimaste in Armenia erano coinvolte attivamente nella vita del Paese, mentre continuavano ad assicurare allo stesso tempo il servizio liturgico e missionario specialmente tra i rifugiati dall’Armenia occidentale. Inutile dire che per il Governo comunista una tale presenza attiva della Chiesa nella vita del popolo armeno non poteva essere accettabile. Ecco perché quasi tutti i dignitari ecclesiastici (vescovi e archimandriti), subito dopo la morte di Khoren i furono arrestati e giustiziati. Nel 1937, il periodo più oscuro della persecuzione contro la chiesa, più di 45 dignitari ecclesiastici furono giustiziati. Quindi, la decisione del Governo sovietico di eliminare definitivamente il centro spirituale di tutti gli armeni fu anche dovuta al fatto che nel 1936, secondo un sondaggio non ufficiale dell’opinione pubblica, la maggior parte degli armeni si identificavano come cristiani.
L’indipendenza dell’Armenia dopo decenni di governo ateo ha portato molti sviluppi positivi nella vita della Chiesa armena. Le nuove pubblicazioni di materiali e documenti segreti sull’esecuzione e l’esilio del clero armeno negli anni 1920-1950 contribuirono largamente alla comune comprensione nazionale di ciò che la testimonianza e il martirio cristiano della Chiesa armena erano stati durante il periodo sovietico. A partire dal 7 settembre 1996 quando il corpo di Khoren i fu sepolto di nuovo a Etchmiadzin. La sua figura è diventata sempre più emblematica come immagine collettiva del martirio del clero armeno nell’Armenia sovietica.
Tuttavia, con l’indipendenza, la Chiesa e il popolo armeno hanno dovuto affrontare anche molte sfide. Una di esse — forse la più attuale — è la riconsiderazione del concetto di testimonianza e di martirio cristiano come un modo per essere in comunione con quanti hanno dato la loro vita per Cristo, ma che non sono stati riconosciuti come tali nella vita della Chiesa. In questo senso il martirio di più di duecento preti e vescovi durante il periodo sovietico in Armenia chiede di essere ufficialmente riconosciuto, avendo come esempio, ovviamente, la via percorsa dai martiri del genocidio armeno, che sono diventati da “vittime” a “vincitori”.