Nulla è impossibile a Dio. Il viaggio di pace e di perdono del corpo incorrotto di Agagianian (Korazym 07.12.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.12.2024 – Renato Farina] – Ho immaginato, preso per mano nella notte da un sogno in cui mi parlò San Giovanni Paolo II, un viaggio profetico e misericordioso, di pace e perdono, che abbia per protagonista un morto destinato a risorgere. Un’anticipazione della gloria dell’Apocalisse. Ricordate, fratelli miei? Avevo concluso l’ultima lettera dal lago di Sevan [Un messaggio di Dio agli Armeni e al mondo che li ha scaricati – 7 novembre 2024 [QUI]] raccontando la traslazione il 12 settembre da Roma a Beirut, nella cattedrale dei Santi Elia e Gregorio l’Illuminatore, del corpo incorrotto e incredibilmente tornato ragazzo del Patriarca dei Cattolici di Cilicia, Krikor Bedros XV Cardinale Agagianian.

 

Tomato ragazzo? Cos’è, magia? Allucinazione? Autoconvinzione fanciullesca da beghine e beghini? Quel corpo estratto dal sepolcro romano della chiesa di San Nicola da Tolentino giaceva (l’ho visto!) nella bara di cristallo, come dormiente, nella pienezza di energia, pace, fremito e serenità del giovane adulto, che sa chi è e che non morirà non a causa della sua forza o per merito di virtù, ma per grazia del Salvatore, Colui che regge il mondo e lo muove verso un destino buono e santo. Non mi credete? Sono un povero pirla credulone, che vuole trascinare nella sua creduloneria molokana come se tutti fossero ritardati mentali? Si confrontino le foto di Krikos Bedros, con sulle spalle quel numero XV, di gloria e di sofferenze infinite: era lui 76enne. Grinzoso, cadente, grigiastro, commovente: affaticato dopo aver condotto e vinto la buona battaglia. E ora, dopo 53 anni, è roseo, come se avesse funzionato una macchina del tempo.

Un segno dell’Incarnazione

Ma non è una macchina, con ingranaggi metallici, pulegge elettroniche, fissioni di uranio arricchito, bensì una mano divino-umana, tenera e coraggiosa che lo ha rifatto. Come le ossa aride di cui scrisse Ezechiele (capitolo 17), che rifioriscono anticipando la resurrezione. Nessuna stregoneria babilonese. Niente è impossibile a Dio. Non è una faccenda da prendere sottogamba. È un segno misterioso, enormemente piccolo rispetto all’Incarnazione, ma che da lì discende.

Sento delle voci nell’aria: della resurrezione ti ascolteremo la prossima volta, come i Greci colti a Paolo di Tarso all’Areopago (Atti 17). Va bene, accetto. È vero ciò che dico, è riscontrabile, ma accetto la vostra sentenza sbagliata. Mi soccorrono le parole del grande russo Varlam Galamov, che sapeva che le sue storie attinte dai suoi occhi e orecchi, e naso e dita dal Gulag della Kolyma sarebbero state male accolte: «E se non mi credete fate conto che sia una favola».

Agagianian fu inumato in San Nicola da Tolentino senza essere imbalsamato. Quest’uomo, nato in Georgia nel 1895, aveva avuto il suo transito dalla morte a un’altra vita (noi Armeni parliamo di dormizione) nel 1971. La sua fama di santità lo accompagnò sempre. Studiò a Roma, Pio XI lo stimò tanto e lo volle vescovo. Intelligenza straordinaria, poliglotta, genio universale, era ricercato per la sua saggezza e umiltà. Fu eletto dal Sinodo Armeno a Patriarca di Cilicia. Pio XII lo fece cardinale nel 1946. Secondo Silvio Negro, vaticanista del Corriere della Sera, era il favorito per il Conclave. Due Patriarchi, uno di Venezia, l’altro di Cilicia, primeggiarono nelle prime votazioni. Disse Giovanni XXIII visitando il Collegio Armeno di Roma: «Sapete che il vostro cardinale e io eravamo come appaiati nel Conclave dello scorso ottobre? I nostri nomi si avvicendavano or su, or giù, come i ceci nell’acqua bollente».

Le calunnie dei servizi, ieri e oggi

Si amarono molto Papa Giovanni e Patriarca Gregorio. Scrisse di lui Roncalli nel suo diario alla data 27 dicembre 1962: «Agagianian viene da me informato circa gli atteggiamenti di Krushev e del movimento generale a proposito di contatti col mondo russo. […] Con Agagianian che è Armeno autentico del Caucaso, multa exploranda sunt, et meditanda [molte cose vanno esplorate, e meditate] negli interessi dell’apostolato presso i Russi» (Cfr. Avvenire, 28 ottobre 2022). Finché il suo nome fu sporcato dalla calunnia: la sorella, secondo un gossip ben orchestrato dai servizi segreti italiani (Sifar) in vista del Conclave del 1963, era legata al KGB. Dunque Agagianian è un referente dei Sovietici. Storia che si ripete. Identiche cialtronaggini vengono diffuse ad arte dagli ambienti che si chiamavano un tempo Sifar e oggi Aise. Anche oggi infatti si fa passare la tensione al dialogo e la simpatia degli Armeni e specialmente di noi molokani per il popolo russo (cui apparteniamo etnicamente) come tradimento contro l’Occidente. Verrebbe da dire: Occidente come osi, dopo averci abbandonato per un bidone di gas?

E il viaggio? In sogno, anche se non sono San Giuseppe, e neppure il Viceré d’Egitto figlio di Giacobbe con quel nome, mi è apparso San Giovanni Paolo II mentre entrava in incognito a Loreto, vestito da prete. Lo riconobbi, mi prostrai, mentre il suo Segretario (ci sono anche nei sogni) cercava di proteggerlo dalle mie labbra che cercavano le sue dita calde e diafane. A me che nominai l’Armenia, dal pellegrinaggio nella quale ero tornato proprio quella notte, disse: «Renato ricorda: i suoi santi e martiri salveranno la Chiesa e il mondo per grazia di Cristo. Seguiteli». Ed ecco nella veglia sopita e gioiosa dell’alba vidi chiaro il viaggio che conduce i resti poco mortali di Krikor Bedros Agagianian dalla cattedrale dei Santi Elia e Gregorio l’Illuminatore a Beirut attraverso la Siria (Damasco e Aleppo) e la Turchia (Cilicia e Anatolia).

Non ci sono più nemici

Si, come sul carriaggio della regina di Saba l’eunuco felice nel deserto dopo il battesimo correva in patria, baldanzoso e allegro, così nella teca di cristallo il Patriarca della Cilicia riconosciuto beato e santo attraversa i luoghi spaventosi del genocidio del 1915, illuminandoli di perdono. Furono un milione e mezzo di uomini e donne, neonati e infanti, vecchi e adolescenti: gonfi per la fame e ischeletriti dal digiuno, condotti verso il niente nel deserto, colpevoli di essere Cristiani Armeni, ma anche Assiri e Caldei. La carrozza poco funebre procede con il suo corteo fluorescente fino alle pendici dell’Ararat. Non ci sono più nemici. Gli amici Turchi in ginocchio a chiedere perdono per i loro padri e a riceverlo da quel vecchio cardinale, che la morte ha ringiovanito, incoronato dal canto di bambini finalmente senza strazio.

Si attraversano i confini, il filo spinato sostiene felice dei mazzi di rose e viole, ecco la Repubblica di Armenia, la carovana lucente è accolta nelle piazze e nelle cattedrali dagli Armeni Apostolici e da quelli Cattolici Latini e Mechitaristi, dal Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II con al fianco Papa Francesco insieme a tutti i Patriarchi d’Oriente e d’Occidente. Lì proclamarlo insieme santo, e condurre questo corpo che presto (ossi, molto presto) risorgerà alla fine del mondo, lassù, tra i ruscelli scroscianti e i cieli profondi e trasparenti dell’Artsakh. Non lo credete? La ritenete una follia bislacca? Fate conto che sia una favola.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di Tempi di dicembre 2024.

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