Novità editoriale: Pubblicazione del libro “La leggenda del Platano di Vrisi” del Prof. Franco Fruci.
Sinossi dell’opera:
“Il Caso, che tutto governa, conduce Wadiah, il grande miniatore, dalle montagne dell’Hayastan al monastero basiliano di Corda sulla collina di Curinga.
La vicenda si svolge nella Calabria istmica, sulle terre della circoscrizione bizantina di Maida e dintorni, a cavallo tra la prima e la seconda metà dell’XI secolo quando la storia del meridione sta rapidamente mutando.
Inizia la rekatolisierung, un processo destinato a smantellare il monachesimo orientale sostituendolo con quello latino e a consolidare il potere dei normanni attraverso l’introduzione di un sistema feudale simile a quello dei grandi regni europei.
Sullo sfondo di questi cambiamenti c’è la vita dei villani, servi della gleba, che passano di mano da un padrone all’altro come le bestie e le cose.
In questo clima il pellegrinaggio terreno del protagonista, vissuto con il cuore stracolmo di sehnsucht e abbagliato da un amore asincrono accolto in nome della bellezza che per lui ha potere divino, si conclude in un posto dal quale si può vedere il mare, accanto a uno stecco grigiastro che tutti oramai chiamano il platano di Vrisi.”
Biografia dell’autore:
Franco Fruci, all’anagrafe Giuseppe Rosario, è nato a Curinga (CZ) il 25 aprile del 1946. Laureato in materie letterarie, ha insegnato per 35 anni nella locale scuola media. La passione per la politica, intesa come servizio alla propria comunità, ha segnato la sua vita fin da ragazzo. Ha più volte ricoperto cariche elettive e amministrative nel comune di Curinga di cui è stato sindaco. Dal 2005 è stato segretario provinciale della FLC-CGIL di Catanzaro e, per un breve periodo, presidente regionale dell’Associazione professionale “Proteo Fare Sapere”.
Attualmente è in pensione, libero di curare le passioni di sempre: ascoltare musica, leggere e scrivere, ma anche pescare e coltivare cavoli con le sue mani.
“Nei primi capitoli il libro descrive il protagonista e la sua terra, l’Armenia. Si raccontano gli usi, la vita quotidiana delle famiglie armene di un piccolo villaggio. Si parla di cantori, gli ashugh, che con le loro storie allietavano adulti e bambini; si fa riferimento alla tradizione culinaria armena, alla zuppa di agnello, bozbash, al pane tradizionale di quella regione, il lavash, alle bevande, come il than o l’areni. Il racconto ci porta lontano, in un’epoca diversa, il medioevo, e in una terra straniera, dilaniata dalle lotte per la conquista portate avanti da turchi e bizantini, nel cui contesto si inserisce un tema antropologico molto importante, oltre che attuale: la migrazione. Vediamo sia il viaggio del protagonista del racconto, animo inquieto senza dimora, sia lo spostamento in quanto flusso migratorio dei monaci che dopo la perdita d’indipendenza dell’Armenia, costretta sotto il dominio dei bizantini, sbarcarono sulla costa ionica della Calabria in cerca di luoghi di culto in cui sostare. E così, dall’altro lato, raggiungiamo un luogo che conosciamo bene, la Calabria, in particolare la zona del lametino e di Curinga, ancora non altro che un piccolo agglomerato appena nato. Ma nemmeno la Calabria era un luogo di pace. I signori locali erano perennemente in conflitto fra loro e le lotte interne devastavano la regione, già teatro di incursioni distruttive da parte degli arabi musulmani. I normanni, poi, furono ancora più sanguinari dei precedenti padroni. La loro dominazione contribuì ad accrescere, nelle genti assoggettate, il fatalismo e la rassegnazione, due sentimenti che hanno intriso la vita del meridione e la cultura popolare da lì e nei secoli successivi.
Guidati dal percorso di vita del protagonista, un monaco e un miniatore di estrema bravura, entriamo nel contesto del monachesimo armeno e poi, più tardi nel racconto, anche del monachesimo basiliano del Sant’Elia di Corda, nome con il quale si fa riferimento, nel testo, all’eremo di Sant’Elia Vecchio, situato poco distante da Curinga e di cui tutti, ancora oggi, possiamo ammirare la sopravvivenza. Nei monasteri armeni, Wadiah, protagonista della storia, impara l’arte della miniatura di cui diviene, col tempo, maestro. Il suo spirito irrequieto, però, non gli consente di stare per troppo tempo nello stesso posto, il suo peregrinare lo conduce lontano dalla sua terra natale e lo spinge sulle coste di Curinga, dalle quali raggiungerà il monastero di Corda, la sua ultima casa” (tratto dalla recensione della Dott.sa in Antropologia culturale, Felicia Fruci).