‘Nor Arax’, il villaggio armeno che restituisce la memoria alla città di Bari (Giornale di Puglia 18.11.17)
di PIERO FABRIS – Arax o Arasse è il nome di un fiume che bagna l’Anatolia, ma per molti armeni approdati a Bari, il nome di quel corso d’acqua assume un significato particolare; è il simbolo di un nuovo corso. Il villaggio “Nor Arax” fu certezza di fertilità e Speranza.
Quanti scampati agli eccidi e deportazioni approdarono a Bari, trovarono accoglienza e possibilità di sognare, progettare, di avviare una fabbrica di tappeti di alta qualità.
Di Nor Arax, ovvero del villaggio armeno sulla vecchia via per Capurso, della vocazione all’accoglienza costruttiva e, quella al commercio dei cittadini baresi si era persa memoria. Peggio, se ne ha una blanda idea. Il grande merito di questa pubblicazione è quello di ridare con immediatezza colore alle cose, e alla gente di un tempo sbiadito, seppellito in una matassa d’asfalto. Si colgono le atmosfere della gente di buona volontà che non si è lasciata inaridire dal dolore.
Per lungo tempo del genocidio armeno nessuno ne parlava e per alcuni sembrava il frutto della fantasia di qualche pazzo visionario, un massacro da nascondere sotto i granelli di sabbia, nei manti del deserto, ma la luce della verità è una fiaccola che non tarda a riempire il buio e a chiarire i fatti.
Il testo di Emilia Ashkhen De Tommasi semplicemente intitolato “Nor Arax – storia del villaggio armeno di Bari” (LB Edizioni pag. 114 € 10,00), è un’operazione di archeologia della memoria che viaggia non solo sui binari del rigore scientifico, ma su quelli del sentimento. Le righe palpitanti di amore per un popolo martoriato, per la propria gente in attesa di giustizia sono impreziosite dai ricami delicati dei ricordi.
Questo libro è un mattoncino che ridona alla storia di Bari pagine gloriose, così fluide che sanno sussurrare di gente vivace e di grande cuore, di esseri di gran forza che hanno saputo rinascere senza perdere la propria identità, amalgamandosi magnificamente per il bene comune.
Il testo si apre con un capitolo dedicato alla diaspora degli armeni, grazie al quale l’autrice ci aiuta a comprendere cosa accadeva già tra il 1894 e il 1896, quando era al potere il Sultano Abdul-Hamid. Un intero capitolo è dedicato a Hrand Nazariantz, il poeta Armeno che considerava la Puglia la sua terra d’esilio e che mai smise di guardare alla sua stella d’Oriente, ma ciò che ci sorprende di questo lavoro è la capacità evocativa che sboccia da spartiti di un villaggio nel quale il ritmo del telaio risuona ancora, si imprime e si espande insieme a canti e incenso che si innalza muto e profumato verso i cieli più alti, quelli dove gocce di luce sanno fare breccia nel buio e indicare il sentiero della bellezza, tante volte affidata alle geometrie di tappeti stesi sulla soglia della Speranza