Non solo Ucraina: le guerre che potrebbero funestare il mondo nel 2023 (Today 27.12.22)
Da un lato, l’escalation di tensioni tra Serbia e Kosovo. Dall’altro, le minacciose esercitazioni militari della Cina nello Stretto di Taiwan. La fine dell’anno sembra voler ricordare al mondo che l’Ucraina potrebbe non essere l’unico campo di battaglia che potrebbe funestare il 2023. Il conflitto tra l’Occidente e la Russia sta già innescando effetti geopolitici a catena, che potrebbero portare a nuove crisi o a rinfocolare quelle in corso da tempo in Asia come nel Medio Oriente e in Africa. Per usare le parole del recente rapporto del Csis, Centro di studi internazionali e strategici con sede a Washington, “il mondo non si sta muovendo verso la pace”.
Serbia-Kosovo
Come dicevamo all’inizio, tra Serbia e Kosovo le tensioni continuano a crescere di giorno in giorno. Gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi dell’Ue hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo a partire dal 2008, mentre la Serbia ha fatto affidamento su Russia e Cina nel suo tentativo di mantenere la rivendicazione sulla sua ex provincia. La guerra in Ucraina ha ridato slancio alla controversia mai sopita tra i due Paesi dell’ex Jugoslavia. A ottobre, a rinfocolare le tensioni era bastata la minaccia delle autorità di Pristina di non riconoscere le targhe delle auto dei cittadini kosovari di etnia serba, rilasciate da Belgrado. Più di recente, ad accendere gli animi è stato l’arresto di un ex poliziotto sospettato di coinvolgimento in aggressioni in Kosovo contro poliziotti di etnia albanese, che rappresenta la maggioranza della popolazione kosovara.
Dopo questo episodio, si sono registrare diverse sparatorie, l’ultima delle quali avvenuta domenica. Da qui, la decisione del governo di Belgrado, che ha eleveto lo stato di allerta delle forze armate al massimo livello. Come ha detto la premier serba Ana Brnabic, la situazione è sull’orlo di un conflitto armato: il capo dello Stato Aleksandar Vucic avrebbe ordinato un potenziamento delle forze armate speciali, portandone il numero da 1.500 a 5mila.
La crisi nel Nagorno-Karaback
Tra gli effetti indiretti della guerra in Ucraina, c’è anche la nuova crisi del Nagorno-Karaback, la regione contesa da Azerbaigian e Armenia. Già in estate, le tensioni tra Baku e Erevan avevano raggiunto un nuovo picco, con degli attacchi dell’esercito azero in pieno territorio armeno. Con la stretta sulle importazioni attraverso i gasdotti russi, l’Ue ha aumentato quelle provenienti dall’Azerbaigian, Paese che gode anche del sostegno della Turchia. L’Armenia, invece, ha fatto finora affidamento sul supporto di Mosca, chiaramente indebolito dallo sforzo bellico contro Kiev. Per questo, Erevan teme che Baku voglia sfruttare il momento positivo per sferrare un attacco nel Nagorno-Karaback e prenderne pieno controllo. L’eventuale azione militare potrebbe arrivare in primavera: un indizio sarebbero i blocchi stradali dei soldati azeri denunciati dall’Armenia in questi giorni, che starebbero impedendo i rifornimenti di Erevan alla comunità armena nel Nagorno-Karaback.
Taiwan
Il confronto tra Occidente e Russia sull’Ucraina è stato fin da subito allargato alle tensioni tra Usa e Cina intorno a Taiwan. Il presidente Joe Biden ha avvertito gli alleati europei della Nato che prima o poi gli Stati Uniti potrebbero concentrare i loro sforzi sul Pacifico, lasciando all’Ue il compito di fare i conti con le turbolenze sul fronte orientale del Vecchio Continente. La domanda per gli esperti non è tanto “se” questo scenario si realizzerà mai, ma piuttosto “quando” avverrà. Secondo l’Atlantic council, ci sono molti indizi perché nel 2023 si possa verificare una grave crisi sullo Stretto di Taiwan. Una “possibile scintilla” potrebbe essere il nuovo slancio anti-Pechino del Congresso Usa, a maggiore trazione repubblicana.
In questo caso, scrive l’Atlantic council, “la reazione della Cina andrebbe probabilmente ben oltre ciò che ha fatto dopo la visita di Pelosi”, che includeva, tra l’altro, il lancio di missili balistici vicino a Taiwan e lo svolgimento di esercitazioni militari nelle acque intorno all’isola. Ma difficilmente si arriverà a un’aggressione vera e propria dell’esercito di Pechino, e dunque a un conflitto vero e proprio: “Qualunque sia la risposta dei leader cinesi, il risultato sarà una nuova – e più conflittuale – normalità”, prevedono gli esperti del think tank. Secondo l’Economist, questa “nuova normalità” potrebbe avere ricadute sul Giappone: “È più probabile che la Cina provochi una crisi attorno alle contese isole Senkaku del Giappone (chiamate isole Diaoyu dalla Cina) che attorno alla stessa Taiwan”, scrive l’Economist. A ogni modo, gli esperti concordano che le tensioni sull’asse Washington-¨Pechino saliranno di livello. E l’Europa dovrà trovare una strada per non finire stritolata da una sorta di “guerra fredda” a colpi di protezionismo commerciale tra i due giganti.
Asia (e Iran)
Restando in Asia e in tema di guerre fredde, come non citare le tensioni tra le due Coree, con il dittatore Kim Jong Un che, nel 2023, potrebbe sfruttare l’asse con Cina e Russia per rilanciare le sue minacce nucleari. C’è poi il confine conteso nell’Himalaya tra Cina e India, che secondo l’Economist potrebbe tornare a essere foriero, se non di scontri, almeno di scaramucce tra due leader, Xi Jinping e Narendra Modi, i cui “rapporti personali un tempo cordiali (..) sono diventati gelidi”.
Altra area calda è senza dubbio l’Iran: qui, le proteste della popolazione contro il governo durano da oltre 100 giorni. Scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, ragazza di 22 anni che sarebbe stata uccisa in carcere dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo, le manifestazioni sono state represse nel sangue da Teheran. Una situazione che ha portato l’Occidente a rinnovare le sanzioni contro il regime iraniano proprio quando alcuni esperti indicavano la possibilità di un ritorno ai colloqui sul nucleare. Il risultato indiretto è che, secondo l’Atlantic council, “nel 2023 è molto probabile che l’Iran superi il punto di non ritorno e diventi de facto uno Stato dotato di armi nucleari. Esperti esterni stimano che il tempo di corsa dell’Iran (il tempo necessario per produrre uranio per uso militare pari a una bomba) si sia ridotto a poche settimane. Mentre l’Iran continua a intensificare il suo programma nucleare, questa tempistica si ridurrà presto a zero”. Cosa faranno gli Stati Uniti? Difficile dirlo: diversi leader di Washington, tra cui l’attuale Joe Biden, non hanno escluso un eventuale intervento militare per fermare la corsa al nucleare dell’Iran. Pare però improbabile che gli Usa ricorrano a questa opzione nel 2023, dicono sempre gli esperti dell’Atlantic council.
Medio Oriente e Africa
Se c’è un continente del globo lacerato da conflitti (latenti e non) di lunga durata, quello è senza dubbio l’Africa. Secondo il rapporto del Csis, i centri di maggiore instabilità del 2023 potrebbero essere la Libia e l’Algeria. C’è poi la situazione nel Congo, che desta sempre più preoccupazione. Ma anche la possibile formazione di una sorta di “ponte del terrorismo” tra il mar Rosso e l’Atlantico: secondo Rama Yade dell’Africa center, i movimenti jihadisti stanno sfruttando l’instabilità di diversi Paesi dell’Africa occidentale, in particolare in Burkina Faso e in Mali, e allargando il raggio d’azione, come dimostrerebbero i recenti attacchi in Benin, Costa d’Avorio e Togo. “Questi jihadisti, legati ad al-Qaeda e allo Stato islamico, cercano di controllare un’estensione di territorio che si estende dal mar Rosso alla costa atlantica dell’Africa. Ciò garantirebbe loro l’accesso alle rotte del traffico di droga dal Sud America, che fornirebbe una fonte sostanziale di entrate per le loro guerre”, scrive Yade. Una situazione che diversi esperti ritengono possa comportare il rischio di una “africanizzazione del jihadismo” già nel prossimo anno, che a sua volta alimenterebbe guerre civili nuove o già in corso.
In Medio Oriente, invece, la guerra civile in Yemen potrebbe incancrenirsi, e portare a un nuovo conflitto, avverte l’International rescue committee. Senza dimenticare le mosse della Turchia nelle aree curde in Siria e Iraq: anche in questo caso, Ankara potrebbe sfruttare il peso geopolitico assunto nell’ambito del conflitto in Ucraina per lanciare un assalto in queste regioni e infliggere un colpo a gruppi definiti “terroristici” dalle autorità turche. Per Recep Erdogan potrebbe essere un modo per riprendere quota nei sondaggi in vista delle elezioni presidenziali del giugno 2023, l’appuntamento elettorale forse più importante dell’anno che verrà.