Non c’è guerra (né propaganda) che fermi la speranza degli Armeni (Korazym 23.02.22)
So che tutto questo sembra un miraggio, davanti ai progetti anticristiani dei Turco-Azeri, con la Russia di Putin distratta da altri scenari tremendi. Non è così. Ne ho la prova. Non c’è guerra che possa fermare la speranza.
Sono tentato dalla disperazione. Lo confesso. Scrivo come al solito dall’Armenia, a un passo dal meraviglioso lago di Sevan, nelle giornate limpide scorgo l’abissalmente celeste monte Ararat, che evoca la presenza di Dio e subito mi fa gridare il salmo 121: «Alzo gli occhi verso i monti… Da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore». Lo grido, ma sembra più forte l’urlo che dice di no, e che la guerra, e insieme la distruzione del nostro popolo armeno e di qualsiasi segno di presenza cristiana, prevarrà.
Eppure, eppure non è così. La speranza è più vera, forte, bella della menzognera disperazione che pure avanza con la potenza dell’invincibilità. Ma la menzogna è la non-realtà. Il male non reggerà la forza della croce che fiorisce nella resurrezione di Nostro Signore e di coloro «che amano Dio». «Tutto coopera al bene per coloro che amano Dio» (Rm 8,28). Anche la guerra, anche questa ferocia? Ma certo! Spes contra spem. Ma certo che è così. E non è una petizione volontaristica, un’utopia beffarda che offende gli innocenti sventrati dai droni degli azero-turchi.
Lo so che sembro un matto. Parlare di speranza mentre la Turchia ha disegni di impero ottomano per reagire alla crisi interna, e la Russia, che finora ha difeso gli Armeni e ancora mette in campo i suoi soldati a loro tutela, ha altri scenari tremendi che occupano la mente di Putin; tutto questo sembra il miraggio di un campo di fragole rugiadose nel deserto salato, dunque alla fine una presa in giro. Non è così. Ne ho la prova.
La disinformazione di Aliyev
Per chi segue questo miserabile Molokano sa quanto sia drammaticamente incerta la sorte di:
1) il Nagorno-Karabakh, in armeno Artsakh, terra da migliaia di anni, luogo della memoria non museale ma viva di Cristo («Jesu dulcis memoria»), ormai dato per riconquistato dall’Azerbaigian, che fa scempio di chiese e cerca di espellere i cristiani;
2) la Repubblica di Armenia, che è premuta ai suoi confini da forze azero-turche che So che tutto questo sembra un miraggio, davanti ai progetti anticristiani dei turco-azeri, con la Russia di Putin distratta da altri scenari tremendi. Non è così. Ne ho la prova lanciano continue provocazioni per una imminente invasione.
È in corso un’operazione di disinformazione propagandistica che purtroppo trova eco sui media italiani. Essa è condotta non con la forza della ricerca storica, ma con quella della lusinga e chissà mai con esibizione di ricchezza che trasuda dai giacimenti dei dintorni di Baku, utili a beneficiare chi sta dalla parte delle pretese territoriali del presidente-dittatore.
I capi azeri (non il popolo!) sostengono che solo loro sono in grado di mantenere vive le vestigia del cristianesimo in Artsakh. Una recita incredibile. C’è una foto che dice (quasi) tutto. In divisa militare Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, fa il suo ingresso trionfale nella cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi. È il 15 gennaio 2021, gli sta accanto la moglie Mehriban Aliyeva, primo vicepresidente, insomma la numero 2, anch’essa con gli indumenti dell’alto ufficiale dell’esercito. E la frase che dice tutto è questa, incisa con il coltello del conquistatore, sul petto del popolo armeno. «(Questa cattedrale) è premio di guerra e simbolo di vittoria». Le foto ufficiali diffuse dai media azeri evitano di mostrare gli squarci causati dalle bombe azere dell’8 ottobre 2020. con il drone che colpì con mira infallibile il volto scolpito dell’Angelo della pace, custode dell’Artsakh che saluta i fedeli che arrivano alla cattedrale.
Cose maiuscole
Eppure esiste una fiamma lucente. Antonia Arslan, grandissima scrittrice armena-italiana, lascia l’indirizzo del Molokano a un’amica americana, Siobhan NashMarshall. Essa mi inonda di centinaia di immagini di ragazzi festosi. C’è la guerra, rischiano di perdere tutto, e brilla una luce negli occhi, nei gesti. Fornisco solo due didascalie qui: «Complesso educativo italo-armeno intitolato ad Antonia Arslan a Stepanakert, Artsakh». «Artigiani Brianzoli e Veneti lavorano con Armeni dell’Artsakh». Scrive in maiuscolo i nomi dei popoli, all’uso americano [uso non solo americano, anche della mia cultura e di questo Blog dell’Editore. V.v.B.]. Ma a me pare tutto così maiuscolo, che mi commuove.
Non c’è guerra che possa fermare la speranza. E mi suggerisce l’amica Giovanna Villa, 88 anni, che non smette di pregare dal suo letto di inferma: «L’indifferenza è peggio della violenza. Impariamo dal Vangelo, la parabola del Samaritano. Gesù non ha parole dure per chi ha rapinato il viandante, ma le ha contro chi aveva altro da fare, pensando “Te ghe de rangiass” (tradotto dal brianzolo: arrangiati tu)». Lei ha gli stessi occhi di Gesù, come certe vecchie madri armene.
Questo articolo è stato pubblicato il 1° febbraio 2022 nella rubrica Il Molokano su Tempi.