NewsDigest: due mesi dopo la tregua in Nagorno Karabakh (Interris 07.01.21)
Già da quasi due mesi, dopo la conclusione temporanea della guerra in Artsakh, a seguito della dichiarazione congiunta del presidente russo, presidente azero e premier armeno, decine di aerei IL, elicotteri Mi-8 e Mi-24 della Russia hanno volato sopra Yerevan verso l’Artsakh per portarci il contingente di pace russa.
Gli Armeni di tutto il mondo rimangono feriti dal fatto di una cessazione della guerra che appoggia unilateralmente gli interessi delle dittature di Erdogan e Aliyev. Oggi assistiamo a delle politiche completamente di parte, perseguite da alcune strutture, organizzazioni e comuni, che purtroppo vedono ancora l’Armenia come ‘aggressore’ nei confronti del tandem Turchia-Azerbaijan-mercenari dell’ISIS – una posizione che rivela una scarsa conoscenza dell’argomento (o frutti della diplomazia del caviale?).
La dichiarazione risulta come una violazione del mandato del gruppo di Minsk, in quanto la Francia e gli Stati Uniti sono stati lasciati fuori dal processo della conclusione di un accordo che prevedesse il trasferimento nell’arco di un giorno, del contingente di pace soltanto di un paese co-presidente del Gruppo di Minsk (la Russia). Non è stato discusso anche alcun punto che riguardasse il coinvolgimento della Turchia.
Festeggiando l’occupazione delle terre dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) le quali non avevano mai fatto parte della Repubblica [indipendente] dell’Azerbaijan, e gongolando per la mancanza di alcun punto sullo status dell’Artsakh nel documento della dichiarazione trilaterale, con la boccaccia compiaciuta, Aliyev annuncia davanti agli armeni e davanti al mondo che finché egli resterà sul trono, non ci sarà nessuno “status” per l’Artsakh. Questa è la sua completa negazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione, ma anche un gesto cinico, di presa in giro del Gruppo di Minsk.
Lo ha fatto anche il 12 dicembre a Baku, ricevendo la delegazione del Gruppo di Minsk dell’OSCE: messaggio centrale – “il gruppo di Minsk non è stato utile e noi abbiamo risolto il nostro problema manu militari” – pari ad un’azione di sputare nella faccia dell’Europa, dell’Occidente.
Invece due giorni prima, il 10 dicembre, nella parata militare avrebbe dichiarato i nuovi obbiettivi e traguardi – già tutti nel territorio della Repubblica d’Armenia: la regione di Zangezur, il Lago di Sevan e la capitale dell’Armenia Yerevan sono stati dichiarati “territori storici dell’Azerbaijan”, invece Erdogan ha praticamente dedicato la vittoria contro gli Armeni ad uno degli organizzatori e perpetratori del Genocidio degli Armeni – Enver Pasha, ucciso a suo tempo da Hakob Melkumyan, un Armeno, originario proprio di Artsakh.
Allora nonostante il fatto che con la dichiarazione si sia concordato che “La Repubblica dell’Azerbaigian e la Repubblica d’Armenia si fermano sulle rispettive posizioni.”, il tandem turco-azero già procede a contestare anche i territori della Repubblica d’Armenia.
Dopo la dichiarazione trilaterale sulla cessazione delle ostilità, gli azeri hanno lanciato un nuovo attacco nel sud di Artsakh, nella direzione dei villaggi Hin Tagher e Khtsaberd, occupando anche questi territori, in violazione della dichiarazione congiunta.
Nei distretti adiacenti, le zone limitrofe dell’Artsakh, è in atto una pulizia etnica, nonché un vero e proprio genocidio culturale. Gli abitanti dei villaggi armeni di Artsakh e lungo il confine armeno-azero, vengono terrorizzati dalle forze turco-azere aiutate dai mercenari jihadisti (molti di quest’ultimi, comunque, sono stati uccisi nella guerra contro gli armeni). Secondo diverse fonti, decine di civili e più di 100 soldati armeni sarebbero ancora in ostaggio.
Chiese, complessi monastici e monumenti armeni plurisecolari (tra cui anche la Cattedrale di Ghazanchetsots e la Kanach Zham di Shushi, numerosi khachkar, sculture e opere d’arte) vengono sistematicamente dissacrati e vandalizzati dagli occupanti azeri (le scene richiamano il genocidio culturale [documentato] del Nakhichevan tra 1998-2008, invece la pulizia etnica avviene nella stessa vena come quella degli anni 1988-1990 di Sumgayit e Baku.
Questi atti vengono commessi, in barba alla stessa dichiarazione trilaterale, come testimonianze di un genocidio culturale in corso, iniziato, ironicamente, subito dopo la conversazione telefonica del 14 novembre 2020, tra Putin e Aliyev, durante la quale quest’ultimo aveva promesso di procurarsi della sicurezza e conservazione dei monumenti culturali e religiosi nelle zone passate all’Azerbaijan e di garantire l’accesso libero per eventuali visitatori.
Ancora una volta, allora, le forze turco-azere-jihadiste si adoperano per distruggere ogni monumento più vecchio dello stato azero, ogni traccia di civiltà armena che potrebbe attestare la presenza di Armeni cristiani nell’Artsakh fin dai tempi quando la Turchia e l’Azerbaijan non si trovavano ancora sulla mappa del mondo.
Insomma, cosa abbiamo visto nel caos degli ultimi due mesi? Azeri, turchi e mercenari siriani che
a) abbattono le croci delle chiese armene nei territori riconquistati gridando “Allahu akbar”, b) derubano le case degli Armeni facendosi beffe delle realtà e degli artefatti della cultura armena
e dei simboli di Cristianità ,
c) distruggono i cimiteri degli Armeni ,
d) giustiziano i prigionieri di querra e i civili di nazionalità armena, senza distinzione di sesso o età.
Per immaginare la portata del problema, notiamo solo che le scene descritte sopra si registrano oggi nei 121 comuni armeni persi ai terroristi. Come risultato, sono in pericolo decine e decine di siti religiosi e architettonici i quali fanno parte del patrimonio mondiale della cultura cristiana. Per molti di questi, purtroppo, si sta scrivendo una nuova storia dai storiografi ad-hoc del regime dittatoriale di Aliyev.
Dunque, ci sono due processi concorrenti – pulizia etnica e genocidio culturale contro gli armeni, entrambi organizzati e messi in atto dal tandem turco-azero.
Mentre in Europa si continua a trascurare il dolore dell’Armenia e dell’Artsakh e a proteggere i diritti dell’ Islam, stigmatizzando chi vorrebbe esprimersi contro, con il marchio di “islamofobo”, sul confine est dell’Europa i cecchini terroristi e mercenari dell’Azerbaijan prendono in ostaggio 11 civili armeni dell’Artsakh, cacciano gli ultimi preti dai monasteri armeni dei territori conquistati dal tandem turco-azero, per poi dissacrarle e vandalizzarli come hanno fatto con migliaia di monumenti storici armeni del Nakhichevan․
Le iniziative di richiamare i barbari a responsabilità sono marginalizzati, per nominare solo un esempio, notiamo le Sanzioni contro Ilham e moglie da parte del governi di singoli paesi (come, ad esempio, i Paesi Bassi contro l’Azerbaijan e la Turchia, per le violenze ei crimini di guerra contro il Nagorno Karabakh).
Comunque, i grandi media aggirano questi dettagli, se non tacciono completamente sul dolore degli armeni. Si parla, invece, della messa in funzione della TAP…. “Domenica 15 novembre ha cominciato l’attività commerciale con le consegne di metano in Italia il gasdotto Tap, che comincia nell’Azerbaigian appena uscito da una guerra convulsa e brevissima con l’Armenia”. E in quel contesto, si parla, ironicamente, di aiutare gli aggressori turco-azeri, “affinchè il ritorno all’Azerbaijan del controllo di alcune aree del Nagorno-Karabakh sia solo il primo tassello di una ripartenza all’insegna di nuove, reciproche, prospettive strategiche”.
Insomma, una pagina cupa per il popolo armeno e non meno vergognosa per l’Europa, nella maggior parte inerme, la quale praticamente ha sacrificato una giovane democrazia – quella dell’Artsakh – e allo stesso tempo, la propria sicurezza a lungo termine, dato il fatto che nelle realtà parallele di questo annus horribilis abbiamo ugualmente assistito alle decapitazioni dei soldati armeni in Artsakh e, dall’altro lato, alle decapitazioni dei cittadini dell’Ue, sulla base della stessa ideologia islamista-estremista.
Qui andrebbe sottolineato il fatto che nell’arco degli ultimi 30 anni il regime dittatoriale degli Aliyev ha coltivato una generazione armenofoba, iniziando dall’asilo nido e fino al livello di scuole e università dove si impara pure la lingua armena come la lingua del “nemico aggressore”; i seguaci/vittime di questa politica antiarmena poi vengono usati nella propaganda anti-armena e pubblicano “ricerche” falsificando i fatti storici e presentando tutta l’Armenia come parte di un “storico Azerbaijan”, nome che nemmeno si trovava sulla mappa del mondo prima del 1918.
I soldati armeni presi in ostaggio vivono orrori senza fine, vedendo la tortura e la decapitazione dei compatrioti. L’Armenia, l’Artsakh e le organizzazioni internazionali come la Human Rights Watch hanno denunciato le violenza, la tortura e il maltrattamento degli ostaggi armeni e prigioneri di guerra , reati commessi sul suolo etnico e religioso dai militari di una generazione azera che sogna ancora un massacro contro il popolo armeno. Al contrario, gli armeni in molti casi documentati, hanno aiutato i feriti dell’esercito azero.
Il paradosso sta nel fatto che l’Europa, già sotto il peso di un modello “ultra-democratico” che ha fatto fiorire, tra l’altro, l’estrema destra ultranazionalista, xenofoba, panturchista e islamista, sta cercando di prevenire i cruenti attacchi contro i civili dei paesi europei (ricordiamoci del caso dei Lupi grigi)ma allo stesso tempo, continua, in modo indiretto, a fomentare fascismo e terrorismo nel Caucaso del sud, in nome dei grossi interessi energetici.