Nell’Armenia del dopoguerra, i legislatori prendono di mira la libertà di stampa (Globalvoices 05.05.21)
Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese su OC MEDIA [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione]. Pubblichiamo, in questa sede, previo accordo di partenariato sul contenuto, una versione modificata.
Il 7 febbraio, Victoria Andreasyan, una giornalista che lavora per Infocom, ha visitato la provincia armena del Syunik per trattare le storie degli abitanti che vivono vicino al confine con l’Azerbaigian. Quando lei e il suo cameraman hanno raggiunto l’ingresso del villaggio di confine di Shurnukh, sono stati fermati a un posto di blocco.
“Le truppe di confine ci hanno detto che è necessario un permesso dal National Security Service (NSS) per entrare nel villaggio” ha raccontato Andreasyan a OC Media. Tre giorni dopo la trasferta della giornalista, il NSS ha annunciato [hy] che i giornalisti avrebbero avuto bisogno di un’autorizzazione per lavorare nelle aree di confine.
Dopo alcune trattative, il team di Andreasyan ha ottenuto l’accesso, ma “è stato impedito loro di parlare con i residenti e di girare dei video”, ha raccontato la giornalista.
L’esperienza di Andreasyan non è unica. Sin dalla firma dell’accordo di pace tripartito del 9 novembre 202o, che ha segnato la fine della seconda guerra Nagorno-Karabakh, il lavoro dei giornalisti in Armenia è stato gettato nello scompiglio da nuovi e spesso vaghi regolamenti e leggi.
Nel 2021, due diversi progetti di legge sulla libertà di parola e sulla stampa sono stati presentati al parlamento armeno. Il primo [hy] prevede un aumento di cinque volte delle multe per “ingiurie e diffamazione” – rispettivamente, 5 milioni di dracme (9500 dollari) e 10 milioni di dracme (19.000 dollari) – e ha già superato la sua prima udienza in parlamento. Il secondo progetto [hy] propone di multare fino a 500.000 dracme (1000 dollari) gli organi di stampa che citano come fonti siti o account di social media la cui proprietà non è pubblicamente nota.
Quest’ultimo è ampiamente considerato una risposta alla crescente popolarità dei canali Telegram anonimi durante e dopo la guerra, alcuni dei quali erano tendenzialmente a favore dell’opposizione e pubblicavano occasionalmente disinformazione anti-governativa che veniva poi ripresa dai media dell’opposizione.
Una terza bozza di legge, proposta dal General Prosecutor Office armeno, ma non ancora presentata in parlamento, renderebbe illegale “insultare o diffamare una persona in servizio pubblico in relazione al suo esercizio di funzioni ufficiali.” Le persone giudicate colpevoli rischierebbero una multa fino a 3.000.000 dracme (6300 dollari) o la reclusione fino a due anni.
Numerose organizzazioni armene di vigilanza dei media, tra cui il Media Initiatives Centre, hanno rilasciato [hy] una dichiarazione congiunta denunciando il disegno di legge come “una logica continuazione di una serie di iniziative legislative introdotte dalle autorità negli ultimi mesi” che “prevedono restrizioni inaccettabili alla libertà di espressione.”
“È impossibile ignorare il fatto che gli ufficiali e i politici spesso percepiscano le critiche obiettive dei media come insulti, diffamazione, e provino a vendicarsi attraverso i tribunali” si può leggere nella dichiarazione.
Shushan Doydoyan, presidente del Freedom of Information Center e professoressa associata di Giornalismo alla Yerevan State University, ha raccontato a OC Media che crede che queste leggi si ritorceranno contro i legislatori se saranno approvate.
“La società chiede informazione, e troverà dei modi per soddisfare questa richiesta” ha detto. “Se ai giornalisti è vietato creare storie di qualità, il divario verrà riempito da pettegolezzi e falsità.”
Gegham Vardanyan, caporedattore di Media Initiatives Centre, una ONG che si occupa di alfabetizzazione mediatica, ha dichiarato a OC Media che le leggi creerebbero solo un ambiente mediatico più ostile. “Alcuni anni fa, perfino la Corte Costituzionale ha raccomandato i tribunali di evitare di applicare le ammende massime in quanto potrebbe essere vista come una pressione sui media” ha aggiunto.
Una conseguenza della guerra
Il cambiament0 improvviso nel panorama mediatico armeno è iniziato con l’introduzione della legge marziale, il 27 settembre, il primo giorno di guerra tra Armenia e Azerbaigian. Sotto la legge marziale, ai giornalisti armeni era proibito criticare le azioni degli ufficiali di stato o il comportamento dell’esercito dell’Armenia.
Secondo le forze dell’ordine armene, 13 organi di stampa e 62 individui sono stati multati [hy] prima che le restrizioni alla pubblicazione fossero ritirate [hy] il 2 dicembre. Mentre le restrizioni erano in atto, circa 600 giornalisti stranieri hanno ricevuto l’autorizzazione dalle autorità armene e del Nagorno-Karabakh per documentare nel Nagorno-Karabakh. Solo il permesso di un giornalista è stato sospeso [ru] – quello di Ilya Azar che ha pubblicato un resoconto fortemente critico dei militari armeni nella rivista indipendente russa Novaja Gazeta.
Dopo la guerra, Karen Harutyunyan, caporedattore di CivilNet, ha aspramente criticato le restrizioni imposte ai giornalisti durante la guerra, che hanno generato dei reportage che hanno solo “ulteriormente indebolito il già confuso senso della realtà del pubblico.”
“L’evolversi dei 44 giorni di guerra ha mostrato che se il lavoro dei giornalisti non fosse stato ostacolato, il paese avrebbe subito molti meno danni e tragedie” ha scritto.
Dopo la fine della guerra, il Ministero della Difesa dell’Armenia sembra aver mantenuto una relazione tesa con i media – in particolare attraverso il silenzio. Numerose organizzazioni [hy] mediatiche [hy] riferiscono che le loro richieste di libertà di informazione fatte al Ministero della Difesa sono state rifiutate sulla base del fatto che le informazioni richieste erano un “segreto di Stato”, anche quando si trattava di qualcosa di basilare come il numero dei soldati armeni morti, feriti, e dispersi.
In definitiva, Shushan Doydoyan ha detto che teme che il degrado dell’ambiente informativo del dopoguerra e la censura avventata del governo minacci la libertà dei media, qualcosa che “l’Armenia ha guadagnato con enorme sforzo nel corso degli anni.”