Nel Caucaso si profila una nuova geografia della guerra (Asianews 13.10.22)
Nelle trattative tra Erevan e Baku entrano in scena Unione europea e Turchia. In calo la fiducia verso la mediazione della Russia, indebolita dal conflitto ucraino. Il problema del Karabakh e dei “corridoi” azerbaigiani verso Turchia e Iran.
Mosca (AsiaNews) – Una delle conseguenze più importanti del summit di Praga della Comunità politica d’Europa dello scorso 6 ottobre è stata la ripresa delle trattative tra Armenia e Azerbaigian, con l’intervento della Turchia per trovare una soluzione al conflitto. I risultati sono ancora tutti da verificare, ma diversi osservatori hanno rimarcato il salto di qualità del rapporto tra l’Europa e la regione caucasica.
Nella capitale ceca si è svolto anche un incontro a quattro tra i leader di Azerbaigian, Armenia, Francia e Consiglio Ue. Le parti hanno raggiunto il riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale sui confini del 1991, a lungo invocato dagli armeni, e l’accordo sullo stanziamento nella zona di frontiera dalla parte armena di una missione civile di osservatori dell’Unione europea.
Shayn Gadzjev, redattore dell’agenzia azerbaigiana Turan, ritiene che sia stato compiuto un grande passo in avanti, ma che ancora non siano state eliminate le cause principali del conflitto: “Tutte gli attori cercano di risolvere alcuni problemi a proprio vantaggio, sia i due Paesi in conflitto sia la Turchia e l’Occidente collettivo”. Il giornalista sottolinea che “un intrigo particolare è rappresentato dal viaggio successivo di Pašinyan in Francia, a cui sono seguite altre visite di rappresentanti armeni e dello stesso premier di Erevan negli Stati Uniti”.
L’impressione generale è che l’Armenia stia cercando di ridurre il ruolo della Russia nel controllo dei territori. Mosca avrebbe molto deluso le attese anche a causa della guerra ucraina, che sta esaurendo le sue capacità d’intervento. Il nuovo orientamento filo-occidentale di Erevan intende superare la fase degli accordi “di carta”, come quello di agosto, a cui sono seguite due settimane di violenti scontri.
Anche il richiamo allo status quo del 1991 non ha un valore definitivo, perché non esaurisce la pretesa del Karabakh di essere considerata una regione armena con il nome di Artsakh: un problema che sussiste fin dalla fine della stagione sovietica. Il compromesso per ora lascia tra parentesi questa definizione, che Pašinyan vorrebbe chiudere una volta per tutte, ma non può andare contro i desideri del suo popolo, non solo delle opposizioni politiche, e soprattutto degli abitanti delle zone interessate dal conflitto.
Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev sembra a sua volta abbastanza ben disposto, ma in tutte le sue dichiarazioni i toni s’induriscono quando si tocca il tema dei canali di comunicazione, i “corridoi” verso Iran e Turchia che sono il vero obiettivo della guerra di Baku, più che l’identità in sé del Nagorno Karabakh. La vera questione riguarda il regime del corridoio di Lačinsk, in parallelo con la strada che porta dall’Azerbaigian a Nakhičevan, se permetteranno a Baku di disporre i propri posti di controllo doganali.
Tutto si concentra sul regime di controllo delle strade, e negli ultimi incontri si è apertamente parlato di “libertà dei trasporti, dei carichi commerciali e delle persone”. Gli armeni si riferiscono però a una tratta più ridotta di quella che pretendono gli azerbaigiani. Gli armeni vogliono il controllo e il libero accesso dei propri cittadini, costringendo Baku a passare attraverso i controlli, ciò che non accetterà mai. Secondo le trattative, questi controlli potrebbero essere gestiti dai russi, o forse dagli europei.
Gli equilibri oscillano verso parti opposte: l’Azerbaigian sembra fidarsi più di Mosca, mentre gli armeni guardano a Occidente. Le strade dell’Eurasia sono una via per il futuro di tutti gli equilibri internazionale, e nel Caucaso si gioca una partita ben più grande degli interessi particolari di due nazioni apparentemente periferiche nel panorama internazionale.