Nakhichevan e l’architettura di uno scontro tra le civiltà (Interris 15.08.20)
Alla luce dell’inasprimento del conflitto tra Armenia e Azerbaijan, i riflettori dei media internazionali puntano ora sul Nakhichevan – un fazzoletto di terra, di 5.5 mila chilometri quadrati, che storicamente faceva parte dell’Armenia. Il Nakhichevan è stato quasi completamente distrutto e ricostruito dagli invasori musulmani che si sono susseguiti nei secoli e poi, infine, strappato dagli Armeni e annesso alla Repubblica di Azerbaijan il 16 marzo 1921.
Il caso Nakhichevan
L’annessione avvenne per mezzo di un trattato concluso tra la Russia Sovietica e la Turchia – un trattato palesemente illegale dal punto di vista del diritto internazionale, in quanto prevedeva la consegna di un territorio di un terzo Stato (l’Armenia) riconosciuto come stato sovrano dalle parti negoziali, ad un quarto Stato (Azerbaijan), senza, peraltro, la partecipazione dell’Armenia o dell’Azerbaijan, e senza neanche chiedere la loro opinione. Si trattava di una zona ricca, con una cultura sviluppata, testimoniata da monumenti storici e architettonici, tra i quali oltre 10,000 khachkar nel Cimitero Armeno di Jugha.
Un luogo simbolico
Il cimitero che comprendeva l’area più vasta di khachkar venne sistematicamente distrutto tra il 1998 e il 2005 dagli azeri con il coinvolgimento dell’esercito azero, in un evento tragico che è stato definito dalla Guardian come il peggior genocidio culturale del ventesimo secolo, e una vasta campagna di epurazione culturale. Ecco, allora, il locus del rafforzamento delle capacità dei vertici neo-ottomani – un luogo simbolico, di scontri tra due civiltà – quella cristiana e quella musulmana. Un luogo speciale, dove, secondo la tradizione biblica, Noè si fermò dopo la discesa dall’Arca e fondò una città. (Nella lingua Armena il nome Nakhijevan («Նախիջևան») significa appunto “luogo della prima permanenza”. Secondo un’altra interpretazione, il toponimo deriva dalle radici “nakhchi[r]” e “van” e significa “posto di caccia”).
Gli scontri
Un luogo dove quattro anni dopo l’annientamento delle tracce della civiltà cristiana Armena, nel 2009, venne creato il Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni o Consiglio turco da Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan e Turchia, i leader dei quali firmarono il cosiddetto “Accordo di Nakhchivan” (Nakhichevan) sul quale si fonda il Consiglio. Oggi, invece, vediamo il Nakhichevan come palcoscenico delle esercitazioni militari congiunte “su larga scala”, organizzate dall’Azerbaijan e dalla Turchia, come ennesimo atto provocatorio, a poco più di due settimane dagli scontri provocati dall’Azerbaijan nella direzione di Tavush (confine nord-est dell’Armenia) seguiti subito dalla visita in Ankara della delegazione militare dell’Azerbaijan guidata dal vice-ministro della difesa azero Ramiz Tairov lo scorso 16 luglio.
Tensioni in Armenia
Dobbiamo anche notare che tutto ciò accade nel contesto degli attacchi provocatori dell’Azerbaijan e segue anche il suo rifiuto unilaterale da parte dell’élite di comando azera dell’introduzione dei meccanismi di investigazione e sorveglianza sul confine tra i due Stati. Nel frattempo, gli aftershock degli scontri del mese scorso hanno compreso, tra l’altro, delle vere e proprie minacce terroristiche lanciate a livello interstatale, basti pensare alla dichiarazione della parte azera di voler bombardare la Centrale nucleare di Metsamor in Armenia) e lo show-off militare sui confini con la Repubblica d’Armenia e la Repubblica de facto di Artsakh (Nagorno Karabakh).
Le esercitazioni sul confine con l’Armenia, come fenomeno, s’inquadrano nella logica delle minacce neo-ottomane, espresse regolarmente tramite le dichiarazioni ambiziose a guerrafondaie contro l’Armenia, contro il primo popolo cristiano, e contro la presenza degli Armeni nelle loro terre storiche, la maggior parte di quali divennero, loro malgrado, oggetto di compromessi politici tra grandi potenze geopolitiche.
Grigor Ghazaryan