Nagorno Karabakh: uno status quo pieno di mine (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.03.20)
Una storia che si ripete: la guerra tra Armenia e Azerbaijan è terminata ma lo stillicidio di vittime continua. I territori contesi sono infatti disseminati di mine e ordigni inesplosi
La seconda guerra per il Nagorno Karabakh (2020) si è conclusa con un nuovo status quo. Come la prima guerra (1988-1994) le sue conseguenze si protrarranno ben oltre il cessate il fuoco. L’accordo che ha posto fine alle ostilità prevede un sostanziale ritorno sotto la sovranità azera di territori in precedenza sotto il controllo delle de facto autorità karabakhi, nuovi confini di stato fra Armenia e Azerbaijan, e un numero elevato di situazioni dalla complessa gestione, fra cui vie di percorrenza e villaggi che si trovano ora in bilico fra una sovranità e l’altra.
A questo quadro già complesso si aggiunge l’onda lunga della guerra e dei suoi drammi: il difficile ritorno degli sfollati nelle proprie abitazioni, la questione dei prigionieri di guerra, il penoso e arduo recupero dei caduti civili e militari. E mentre si cerca di venire a capo di questi drammi individuali e collettivi, si continua a morire in Karabakh per lo stesso motivo per cui si è continuato a morire durante lo status quo 1994-2002: mine e ordigni inesplosi sono disseminati ovunque.
Il Karabakh minato
Il Karabakh è a lungo stata una delle zone più minate al mondo. Halo Trust, l’organizzazione non governativa internazionale che si è occupata, a partire dal 2000, di sminare il Karabakh sotto il controllo armeno aveva previsto di finire proprio nel 2020 il lavoro di rimozione degli ordigni rimasti dopo la prima guerra. In venti anni ha bonificato più di cinquecento campi minati (qui disponibile una seppur parziale mappa). E in questi anni sono state diverse le vittime delle mine in Karabakh, tra loro anche personale di Halo Trust. I campi minati sono soggetti – come il resto del territorio – agli eventi atmosferici e idrogeologici, e la posizione delle mine risente quindi di scivolamenti a valle, delle inondazioni, delle frane, per cui anche avendo accesso alle informazioni sulla posa originale, cosa che non sempre avviene, questa può non corrispondere più alla reale distribuzione delle mine.
Stando alla presidenza azera il quadro ripete quello degli anni novanta, area estremamente minata, mancanza di trasparenza sulla collocazione dei campi minati, presenza di ordigni inesplosi in aree urbane. Halo Trust conferma la presenza di una quantità non stimabile di mine , sia antiuomo che anticarro, e ha accertato il recupero di ordigni inesplosi conseguenza di tre tipi diversi di bombe a grappolo.
I numeri del dramma
Il 12 gennaio un armeno a Martakert è morto dopo aver urtato una mina con il suo escavatore. Lo stesso giorno un soldato azero è saltato in aria con la macchina su una mina anticarro. Il giorno dopo un azero ha colpito sempre con un escavatore una mina anticarro ed è rimasto ferito. Tre episodi in 24 ore, parte di una lunga e pietosa lista.
Secondo la procura dell’Azerbaijan il bilancio, all’inizio dell’anno, in sessanta giorni è di 5 militari e 9 civili uccisi, 52 militari e 8 civili feriti. Una situazione drammatica che ha spinto lo stesso presidente azero Ilham Aliyev a lanciare un appello : “Voglio fare appello a tutti i cittadini dell’Azerbaijan: chiedo loro di non entrare nelle terre liberate senza permesso. Da un lato capisco questi passaggi di persone che hanno aspettato tanti anni per tornare in patria, ogni ex sfollato vuole tornare in patria, al suo villaggio natale, ma chiedo loro di aspettare, i lavori di sminamento devono prima essere completati. Perché c’è un grande pericolo, sia per i pedoni che per i veicoli”.
Si stanno facendo carico dello sminamento Halo Trust, gli eserciti dei due contendenti, il contingente di peacekeeping russo e Amana, l’apposita agenzia azerbaijana per la bonifica e il contrasto alle mine. In cooperazione con il ministero per le Emergenze russo l’Azerbaijan sta formando inoltre nuovo personale da impiegare nello sminamento.
I numeri sono già ora impressionanti. Amana sostiene di aver già rimosso e distrutto quasi 9000 mine fra anti-uomo e anti-carro, il bollettino quotidiano dei peacekeepers russi recita: “Dal 23 novembre 2020 sono stati rimossi ordigni esplosivi in 1.404 ettari di territorio, 438 km di strade, 1.340 edifici residenziali, comprese 29 strutture pubbliche; sono stati trovati e neutralizzati 24.294 oggetti esplosivi” (dati al 16 febbraio 2020 ).
Ottawa non è all’orizzonte
La disarmante sensazione è che si sia punto e a capo: una tragedia che si ripete di vittime che si moltiplicano a guerra finita, in un territorio martoriato da ordigni insidiosi che possono continuare a colpire per anni.
Questo nuovo status quo dovrebbe portare a una normalizzazione dei rapporti fra Armenia e Azerbaijan e all’apertura delle vie di trasporto e commercio. Già fervono i lavori in questa direzione. Si sostiene che questo intrecciarsi di commerci e interessi dovrebbe rendere una nuova guerra impossibile. In questo senso un segnale forte dovrebbe venire da Yerevan e Baku, un segnale che ha riassunto bene in un tweet Zacharie Gross, ambasciatore francese in Azerbaijan: “Poiché la guerra è finita e l’enorme compito di sminamento è iniziato, sarebbe incoraggiante se l’Azerbaigian e l’Armenia potessero aderire insieme alla Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine. 164 paesi fanno già parte del trattato”.
La così detta Convenzione di Ottawa è la Convenzione sul divieto di utilizzo, stoccaggio, produzione e trasferimento di mine antiuomo e sulla loro distruzione. È stata firmata il 18 settembre 1997 ed è entrata in vigore il 1 marzo del 1999. Armenia e Azerbaijan non l’hanno mai sottoscritta.
E la storia si ripete: stessi incidenti, nuove vittime.