NAGORNO-KARABAKH: Tante le questioni da risolvere (East Journal 17.04.21)
Dopo la fine del conflitto in Nagorno-Karabakh, la regione caucasica sta attraversando un periodo di instabilità e incertezza politica, dovuta alla poca chiarezza di alcune clausole dell’accordo di pace dello scorso 10 novembre tra Armenia e Azerbaigian, oltre che all’ingombrante presenza russa. Tra gli strascichi del conflitto, hanno acquisito particolare rilevanza nell’ultimo periodo l’impasse diplomatica nel rilascio dei prigionieri di guerra e la nebulosa gestione dei visti d’ingresso al territorio del Nagorno-Karabakh rimasto sotto il controllo armeno, con il totale blocco degli accrediti stampa per i giornalisti stranieri.
Il blocco dei visti
Tra i principali punti dell’accordo di pace firmato dai capi di governo, Nikol Pashinyan, e Ilham Aliyev, mediato da Vladimir Putin, vi è la dislocazione di 2000 peacekeeper russi nella regione, al fine di garantire la pace e facilitare il passaggio di territori armeni in mano azera avvenuto lo scorso dicembre. Tuttavia, oltre alla missione ufficiale, sembra che il dispiegamento di forze da parte russa sia un pretesto per gestire dall’interno le situazioni più delicate, evitando agli osservatori internazionali di monitorare la situazione.
Tra le notizie più gravi, vi è la quasi totale sospensione del rilascio di visti giornalistici per la stampa internazionale, che fino agli accordi di pace aveva libero accesso al Nagorno-Karabakh. Da febbraio, la nuova procedura di richiesta di visto, che prevede una prima domanda presso il ministero degli Esteri armeno e l’approvazione finale del governo di Stepanakert, ha reso estremamente difficile per i giornalisti stranieri l’accesso alla regione. Come segnalato da Reporters without Borders, diversi giornalisti provenienti da illustri testate quali France24, CNN e The Guardian, si sono visti rifiutare la richiesta di visto dai peacekeeper russi che pare quindi abbiano una voce decisiva sulla procedura.
Tra le domande rifiutate, vi è la testimonianza diretta di un collaboratore di East Journal, che si è visto negare l’accesso dopo aver fatto regolare richiesta. Secondo le parole del nostro collega, la domanda è stata inizialmente accolta dal ministero degli Esteri di Erevan. Tuttavia, dopo circa un mese e mezzo di attesa per la ricezione del visto, la richiesta è stata cancellata dallo stesso ministero, senza addurre nessuna motivazione aggiuntiva.
Le conseguenze della guerra in Armenia e Azerbaigian
Tra le conseguenze più spinose e ancora irrisolte del conflitto, vi è certamente la complessa gestione dei prigionieri di guerra. Come riportato da Open Democracy, circa 240 soldati armeni sono stati catturati dall’esercito azero al termine della guerra e solo 69 di essi sono stati finora rilasciati. Inoltre, gli avvocati per i diritti umani che stanno seguendo il caso affermano che il 10% dei detenuti sono civili. Secondo alcuni giornalisti locali, l’esercito azero, dopo la fine del conflitto, ha violato le norme stabilite dalla Quarta Convenzione di Ginevra, detenendo illegalmente e causando la morte di alcuni civili residenti a Stepanakert, la capitale de facto del Nagorno-Karabakh.
Il 9 aprile è stata diffusa la notizia che un aereo, contenente un gruppo di prigionieri di guerra liberati, era in arrivo da Baku all’aeroporto di Erevan. Tuttavia, una volta atterrato, la folla di parenti che si era radunata al gate di uscita, è rimasta sconvolta nel constatare che l’unico passeggero dell’aereo era Rustam Muradov, leader dei peacekeeper russi. Il ministero degli Interni armeno ha cercato di correre ai ripari, affermando che il processo di liberazione dei detenuti ha subito ulteriori ritardi e denunciando una “violazione del processo umanitario”.
Simili proteste si sono svolte a Baku, dove i familiari di alcuni ufficiali impiegati nel conflitto di ottobre hanno denunciato il loro mancato ritorno. La manifestazione è stata tuttavia dispersa dalla polizia, mentre il presidente Aliyev ha incontrato i manifestanti, promettendo di fare il massimo per risolvere il problema.
D’altra parte, l’amministrazione azera prosegue il processo di celebrazione della vittoria, culminata il 12 aprile con l’apertura di un Parco della Vittoria, dove vengono esposti diversi mezzi militari impiegati durante il conflitto. A testimonianza della vittoria, vi è la scritta “il Karabakh è Azerbaigian”, composta con le targhe di circa 2000 veicoli militari armeni catturati. Tra gli elementi esposti nel museo che hanno destato scalpore sulla stampa internazionale, vi è una collezione di caschi appartenenti ai soldati armeni caduti in battaglia, così come dei manichini che indossano la divisa dell’esercito sconfitto.
L’incerto futuro del Nagorno-Karabakh
Se Baku e Erevan sono alle prese con la difficile gestione delle conseguenze post-belliche, la situazione più difficile è sicuramente quella vissuta a Stepanakert. La crisi politica e umanitaria aperta dal conflitto ha causato un vuoto di potere nella repubblica de facto di cui al momento non si riesce a intravedere la soluzione. Nonostante la sconfitta e la perdita di territori lasciassero pensare che le sue dimissioni fossero imminenti, infatti, il presidente del Nagorno-Karabakh, Harayk Harutyunyan, non si è ancora dimesso e ha nominato il suo avversario alle ultime elezioni, Vitaly Balasanyan, capo della sicurezza della regione. Secondo alcune fonti, nel futuro prossimo potrebbe avverarsi un passaggio di consegne tra i due.
In questa situazione, l’Armenia è caduta in una grave crisi politica che porterà a nuove elezioni a fine giugno, mentre l’Azerbaigian ha avviato una serie di fondi di investimento per la ricostruzione dei territori passati sotto il suo controllo. I risultati del conflitto hanno sostanzialmente ampliato le dinamiche già presenti nella regione caucasica: Baku ha rafforzato la sua indipendenza da Mosca, mentre Erevan sembra essere sempre più dipendente dai russi, come testimoniato dall’ultimo incontro tra Putin e Pashinyan, con quest’ultimo impegnato ad affermare l’importanza dell’esercito russo come garante della pace.