Nagorno-Karabakh, perché una guerra senza jihadisti è una guerra di serie B (Huffingtonpost.it 05.04.16)
giornali italiani si sono accorti che c’è una guerra in Nagorno Karabakh. La guerra, in realtà, c’è dagli anni Ottanta, quando ha ha giocato un ruolo fondamentale nella disintegrazione dell’Urss, ma di solito si fa finta che non ci sia, un po’ perché questo posto ha un nome impossibile da pronunciare, un po’ perché il conflitto è congelato da 20 anni e di solito i due contendenti – Armenia e Azerbaijan – si sparano solo qualche colpo di mitra.
In questi tre giorni però, sono morte circa 300 persone. Mica poche. Famiglie che vivono in paesini poverissimi arroccati sulle montagne che circondano questa enclave sono finite in mezzo agli spari. Nel Giardino Nero del Caucaso, come si traduce Nagorno Karabakh, i contadini sono stati trucidati in casa solo perché si trovano al confine di una regione contesa tra due Paesi che non si decidono ad arrendersi. E sì, i due Paesi hanno religioni diverse, l’Azerbaijan è musulmano e l’Armenia è cristiana, ma della guerra santa e dei jihadisti qui non c’è traccia. Si tratta invece di orgoglio nazionale e di retorica patriottica usati e abusati per restare al potere: la famiglia Aliyev è a capo dell’Azerbaijan da 23 anni, il partito del presidente Sarghsyan governa l’Armenia dal 1999. Il Nagorno Karabakh oggi è abitato solo da armeni ed è riconosciuto come Stato solo dall’Armenia, con la quale è collegato da un corridoio di terra abbastanza ampio. Ma si trova nel territorio dell’Azerbaijan, che conta ancora di farvi tornare tutti i profughi azerbaijani che sono stati cacciati dalla pulizia etnica negli anni Novanta.
Se negli ultimi anni vent’anni i due Paesi si sono limitati a scontrarsi verbalmente, con qualche colpo di fucile ogni tanto in modo da conservare la militarizzazione del territorio e il fiorente commercio di armi, è perché li ha tenuti a bada la Russia. Entrambi i Paesi – ex repubbliche Urss – ci tengono a mantenere buoni rapporti con Mosca e a non farla irritare. Ma l’Azerbaijan è di etnia turcofona ed è molto amico di Ankara, che invece odia l’Armenia. Nello scontro armato che è scoppiato in questi giorni c’è chi vede una guerra per procura tra Turchia e Russia, che con il conflitto in Siria sono venute ai ferri corti. Ma la realtà probabilmente è più semplice.
Anche se le due parti si accusano a vicenda di aver iniziato gli scontri, sembra che sia stato l’Azerbaijan a prendere l’iniziativa. Come scrive Osservatorio Balcani, infatti, le truppe armene del Karabakh hanno perso diverse posizioni e nella regione è stato ritrovato un elicottero azero abbattuto, segno di una possibile offensiva aerea.
L’Azerbaijan potrebbe aver contato proprio sulle tensioni tra Russia e Turchia in territorio mediorientale per evitare che questi Stati intervenissero a sedare la crisi. In più, con tutti terroristi islamici che terrorizzano l’occidente è difficile che oggi l’Europa perda tempo e energie a produrre sanzioni per gli azerbaijani, che invece dichiarano di volere l’Occidente al loro fianco. Gli scontri, infatti, sono scoppiati mentre il presidente Aliyev era a Washington in amichevole colloquio con Joe Biden e nei giorni successivi anche Israele, a cui l’Azerbaijan fornisce il 40 per cento delle risorse petrolifere, è stato invitato da Baku a condannare l’Armenia.
Che l’attacco sia partito dagli armeni o dagli azerbaijani una cosa sembra certa: le grandi potenze sono troppo impegnate a intessere una fragilissima alleanza contro lo Stato Islamico – in Siria e in Libia – per volersi intromettere in un altro conflitto. Il risultato è che a combattere questa guerra per ora ci sono solo Armenia e Azerbaijan, che hanno passato gli ultimi vent’anni a comprare carri armati e mitragliatrici. L’unica speranza per i poveri abitanti del Karabakh sono gli interessi delle nostre compagnie petrolifere, che troppo hanno investito negli idrocarburi dell’Azerbaijan per vederli bloccati in patria da una guerra senza fine.