Nagorno Karabakh: non chiamateli separatisti! (L’Opinione 08.04.16)
Nell’esaminare la rassegna stampa sui recenti, gravi sviluppi nel Nagorno Karabakh sono state rilevate numerose inesattezze, giustificate da una non completa conoscenza della materia. Noi dell’Iniziativa italiana per il Karabakh ci permettiamo pertanto di sintetizzare alcuni aspetti che ci paiono necessari di chiarimenti.
Non chiamateli separatisti: la Repubblica del Nagorno Karabakh non ha mai fatto storicamente parte della repubblica dell’Azerbaigian.
Nel 1921 Stalin inserì il soviet del Nk a quello dell’Azerbaigian (nonostante il 95 per cento nulla avesse a che spartire per razza, lingua e religione con gli azeri) e, nell’ambito della successiva Rss Azera venne creata nel 1923 la regione autonoma (oblast) del Nagorno Karabakh. Quando la Rss Azera decise di lasciare l’Urss (30.08.91), il soviet karabako in forza della legislazione vigente (legge 7.04.90, Norme che regolano la secessione di una repubblica dall’Urss) diede vita a un’entità statale autonoma che nulla aveva a che fare con la nuova repubblica dell’Azerbaigian. Non c’è stata alcuna separazione o secessione, ma con la nascita del nuovo Azerbaigian (che oltretutto nel suo atto costitutivo ripudiava tutta la precedente esperienza sovietica, quindi anche il “regalo” fatto da Stalin…) si sono create due distinte realtà autonome, come peraltro fu confermato dalla Corte Costituzionale di Mosca nel novembre successivo.
Gli armeni del Nk non sono “ribelli”: vivono da 25 anni in un loro Stato dove operano democratiche istituzioni, si tengono con cadenza periodica elezioni presidenziali, politiche e amministrative.
I 150mila abitanti del Nagorno Karabakh non si devono “ribellare” ad alcuna autorità, vivono pacificamente nel loro Stato, ne difendono i confini dalle mire territoriali dell’Azerbaigian.
L’origine del conflitto: 4400 km2 senza petrolio e senza risorse particolari, solo montagne e monasteri armeni.
L’oblast sovietica del Nk era un fazzoletto di terra, un’enclave armena nel mare azero; il corridoio di Lachin la separava dalla stessa Armenia. Al termine del processo di autodeterminazione democratica l’Azerbaigian, per il tipico spirito ultranazionalista e armenofobo che contraddistingue la razza turca, rispose militarmente con l’intento di spazzare via gli armeni da quella loro terra. La guerra si concluse con una disfatta azera, gli armeni mantennero il controllo della regione e anche di alcuni territori circostanti la cui conquista permise la contiguità territoriale con l’Armenia e quindi la sicurezza di avere le spalle protette. Se l’Azerbaigian avesse concesso ampia autonomia in epoca sovietica o avesse rispettato la decisione del soviet del Karabakh, la questione si sarebbe risolta. Invece ha cercato lo scontro militare e lo ha perso.
Il conflitto congelato: chi ha interesse a soffiare sul fuoco della guerra
Dalla firma dell’accordo di cessate-il-fuoco di Bishkekh nel 1994, l’Azerbaigian ha continuato ad alimentare la sua armenofobia che già aveva sfogato in ripetuti massacri (Sumgait, Baku, Kirovabad,…) prima ancora della conclusione del processo di autodeterminazione. Gli armeni sono diventati un nemico da abbattere non tanto per la questione territoriale, quanto perché il “nemico” esterno serve al regime azero per coprire i suoi problemi interni. L’Azerbaigian nelle classifiche di Rsf e Freedom Press sulla libertà di espressione è agli ultimissimi posti nel mondo, un’unica famiglia governa potere e affari dal trenta anni, l’opposizione politica non esiste, decine di giornalisti sono incarcerati: gli armeni divengono una comoda valvola di sfogo per l’opinione pubblica. In tutti questi anni, con un crescendo negli ultimi tempi, si sono intensificate le violazioni dell’accordo: è pleonastico sottolineare come gli armeni del Nk non abbiano alcun interesse ad alzare il livello della tensione visto che difendono i loro confini e sono gli azeri ad attaccare. Più passa il tempo e più si consolida la realtà statuale della repubblica del Nagorno Karabakh.
L’attacco azero e la cosiddetta “aggressione” armena: gli azeri dal 2 aprile hanno sferrato un attacco senza precedenti ma parlano di aggressione…
Utilizzando centinaia di uomini e mezzi l’Azerbaigian ha cercato di travolgere il piccolo Nagorno Karabakh cogliendolo di sorpresa, penetrando nel settore nord orientale per alcune decine di chilometri nel territorio armeno e attaccando su tutta la linea del fronte. Dopo l’iniziale smarrimento gli armeni hanno cominciato a riorganizzarsi e a ricacciare indietro gli invasori. Incredibilmente l’Azerbaigian parla di “aggressione”, ossia sottintende che siano stati gli armeni ad attaccare per primi: Aliyev deve però giustificare le decine di cadaveri di suoi soldati e le decine di mezzi che si trovano in territorio armeno. Il tentativo diplomatico e mediatico di far passare un attacco (in violazione di tutti gli appelli al non uso della forza) come un’aggressione armena non ha bisogno di commenti. Eppure gli azeri scrivono alla stampa e organizzano manifestazioni contro la “aggressione armena”. Inoltre, una volta costretti a ritornare dietro alla linea di confine, gli azeri hanno cominciato a sparare razzi Grad e Smerch contro gli insediamenti civili del Nk.
L’orrore alle spalle: la ritirata dei soldati azeri ha lasciato testimonianze di brutalità. Famiglie torturate e trucidate, combattenti Isis in appoggio
Nelle poche ore di permanenza sul suolo armeno gli azeri hanno dato perfetto esempio del loro sentimento verso gli armeni: orecchie mozzate ad anziani agricoltori, soldati nemici sgozzati. Sono state confermate da dati attendibili le voci che volevano combattenti dell’Isis (parlavano turco e arabo, non avevano divisa, avevano un’età superiore alla media dei soldati) a spalleggiare l’esercito dell’Azerbaigian nel tentativo di conquistare il Nk. Le verità nascoste dell’Azerbaigian: migliaia tra morti e feriti Conversazioni telefoniche tra civili captate dall’intelligence armena confermano i sospetti: Aliyev ha spedito al massacro il suo esercito. Sono almeno duemila i feriti ricoverati negli ospedali, camion trasportano carichi di cadaveri. Ma il governo riferisce solo 16 vittime…