Nagorno-Karabakh: il tempo congelato (Osservatorio Balcani e Caucaso 02.10.15)
Gli scontri tra Azerbaijan e Armenia aumentano di intensità, non solo sulla frontiera del Karabakh. Reportage dalla linea del fronte
A cent’anni dalla prima guerra mondiale, nell’indifferenza di tutti, in Europa si continua morire nelle trincee. Giovani in piedi con in braccio un fucile – spesso un vecchio Kalashnikov – in attesa di un possibile attacco. Settimane, a volte mesi, senza che si spari un colpo, poi all’improvviso arriva una granata, un razzo o un colpo di mortaio. Spesso succede di notte.
Barattoli vuoti di latta, presi dal rancio dei soldati, corrono lungo la linea di contatto insieme al filo spinato per segnalare col rumore un’eventuale incursione. Un pastore tedesco, che vedo legato a una catena in una trincea, serve per lo stesso motivo. E poi le mine, frequenti lungo l’interminabile frontiera, segnalate da una “M” scritta in grande per evitare che le reclute inesperte finiscano vittime di questi ordigni infami.
Una guerra che è soprattutto di giovani e l’improvvisazione è tanta: dopo pochi mesi di addestramento si è spediti dritti in prima linea. Una guerra di logoramento, fisico, psicologico e umano. Si deve resistere al freddo: a queste latitudini l’inverno è lungo, e si scende tranquillamente a venti gradi sotto zero. Si deve resistere alla fatica e alla stanchezza: l’addestramento, le marce senza fine, anche nel fango e nella neve, e poi ore e ore passate in piedi, schierati o di vedetta. Si deve resistere alla tensione, alla solitudine, e al nonnismo dei commilitoni e degli ufficiali.
Questa è la guerra del Nagorno-Karabakh, per come l’ho vista due settimane fa in una base di reclute nei pressi di Martuni, e sulla prima linea del fronte a pochi chilometri da lì. Continua